Culture, Pensieri Liberi, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze

Cronache postpsichiatriche: da Palermo a Firenze

Appunti per la mia Autobiografia.

Nel 2002 mi sono trasferita da Palermo a Firenze. Sembra niente ma per me fu tanto. Palermo, la mia città, quella in cui avevo esercitato il diritto a far sentire la mia voce, il luogo in cui avevo cementato legami forti e sperimentato me stessa in mille modi. Palermo, con il suo mare, il sole, il pesce fresco da mangiare alla Vuccirìa, dove abitavo, le gare canore all’aria aperta con chitarre, trombe, sassofoni, voci. I venerdì e i sabato sera ai Candelai, ballando musica etno, soul, blues, jazz. Le serate di cabaret improvvisato e poi quel baretto dove si concludeva la serata cantando Che Guevara con le amiche. Palermo non era solo la famiglia, le amiche, le facce conosciute. Palermo era nelle mie ossa, nel mio sangue, nella mia testa. Quell’insieme di stili, uno sull’altro, uno accanto all’altro, dal barocco, all’arabo, allo spagnolo, al liberty. Ogni angolo una storia, ogni viuzza, un ricordo. Di Palermo mi sarebbe mancato tutto, incluso il fetore dell’immondizia lasciata per strada.

La prima cosa che notai a Firenze fu il silenzio, niente suoni dei clacson impazienti di passare col rosso, niente fuori posto, stili tutti uguali, Rinascimento ovunque. E dove stanno le moschee? No, dicevano, forse un po’ di medio evo. Che palle. Non perché sia brutto ma a me piace Palermo, che vuoi farci. Sono sempre stata una creatura curiosa, felice di approdare in luoghi nuovi, per un po’, ma abitarci è un’altra storia. I primi tempi devo essere sembrata decisamente ossessionata. Vedi quella roba là? Bella, vero? Sì sì ma Palermo è meglio, un’altra cosa. E vedi quell’altra cosa? Sì ma Palermo è meglio e poi qui, che umido, che freddo, stagioni invertite, tre mesi estivi di afa irrespirabile e nove mesi di freddo glaciale. Il freddo mi colpì i neuroni, credo, perché avevo la parlata congelata sulle bellezze di Palermo disprezzando Firenze per il suo provincialismo. Piccola, Firenze. Palermo è un milione di abitanti.

E poi la ricerca affannata di cibi che potessero almeno ricordarmi i sapori di Palermo. Il gelato alla cannella, il cannolo con la ricotta buona, altri dolci tipici palermitani. E qui? Solo biscottini da bagnare nel Vin Santo. Che penuria, signora mia. E nel frattempo i miei colori cambiavano. Senza sole la pelle diventava pallida e i capelli grigio fumo. Colore dell’inquinamento. Ecco perché qui li tingono, pensavo. Mi mancava la capra al seguito e le valigie di cartone e poi ero la perfetta immigrata dal sud al Nord. E il pane? perché non mettono il sale? Qui è tutto senza sale, mannaggia. E poi le zanzare, mai viste zanzare tanto grosse in vita mia. Delle punture che a grattarle ci vuole lo spazzolone. E dov’è la culla della letteratura italiana che avevo studiato per anni? Qui non sanno neppure parlare l’italiano.

Insomma, tu trovami qualcosa e io ti dico in che altro è meglio Palermo. ODIO FIRENZE. Allora tentavo di corrompere il mio compagno, anche in natura se necessario. Su trasferiamoci. E lui, concreto come il re della concretezza, diceva che giammai a sud avrebbe goduto di un lavoro con contratto a tempo indeterminato, con tutti i diritti che qui venivano riconosciuti ai lavoratori. Sì, ma vuoi mettere la qualità della vita? Guadagni meno ma poi fai una passeggiata al mare e ti passa tutto. Ma tu prova ad integrarti, qui trovi gente simpatica, sono esseri umani, sai? Ma certo, li conosco, i compagni delle case occupate, i centri sociali, le femministe. Ecco le mie relazioni sociali. Ma C’erano anche a Palermo e ci sono a Bologna. Allora perché non a Bologna? A Bologna fa più freddo.

Perciò sfruttavo il fatto che Firenze fosse centrale rispetto ad un sacco di posti. Vuoi mettere i viaggi della speranza per raggiungere la manifestazione romana da Palermo se invece da Firenze impiegavi solo poche ore? Vuoi mettere il fatto che siamo a solo un’ora da Bologna e puoi andare a trovare lì le tue amiche? E quelle di Torino o di altre città italiane? Sì ma…

Infine pare io mi sia adattata, non del tutto perché se parlavo della Sicilia, la mia terra, le mie radici, mi si accendeva una luce nello sguardo che si affievoliva subito dopo. Integrarmi non era difficile, sono una creatura socievole, so parlare con chiunque, anche in Sicilia era arrivata l’alfabetizzazione e io ero scolarizzata a puntino. Parlavo un buon italiano e dunque era tutto a posto. Ma socializzavo più spesso con persone che vivevano a Firenze ma venivano da altri luoghi. Perché i fiorentini sono gente chiusa, mi dicevano. Ma chiusa quanto? Chiedevo. Chiusa. Ti pigliano sotto la loro ala solo se superi delle prove. Che prove? E mi scervellavo sulla tipologia delle prove. Ma c’è un manuale per prepararmi a ‘sti esami? Intanto devi saper bestemmiare. Ah, tipo minchia? Ma è sessista? Se dico Figa? No no. Qui hanno un miscuglio di bestemmie indirizzate alla maremma maiala, per dire, poi sono tutti un porcoddio dopo l’altro. E perché?

Così per farmi appassionare alla materia mi spiegarono che, per esempio, la toscana e l’umbria parteciparono allo sciopero del sale quando il vaticano aumentò le tasse. Ecco il pane senza sale. E in questa terra sono stramaledetti anticlericali perché sempre in guerra con il clero. Vedi che le statue hanno i cosi di fuori? Dici il pene? Sì sì, è perché qui non seguivano quella morale e fu patria per tanti artisti che il clero cacciava via. Ma sei sicuro? Pare di sì. Dunque sono anticlericali e hanno l’orgoglio antiautoritario. Bene bene. Un po’ anarchici. No, in realtà comunisti, ora piddini. Ma i piddini sono un miscuglio di cattocomunisti. E allora, ne cerchi sempre una. Ma no. E’ che non ci capisco niente. Credo andrò a trovare informazioni da sola. Voglio sapere dove abito.

Trovai molte belle informazioni ma ogni volta che andavo in centro mi pareva una bottega per turisti che non si guardavano mai negli occhi tra di loro. Il centro storico di Palermo invece era roba vissuta. In svendita ai migliori acquirenti che vorrebbero farci un mega shopping center ma ancora con i pescivendoli che cucinano il pesce in mezzo alla strada per i passanti, con i colori delle spezie l’una accanto all’altra e i profumi dei cibi appena cotti.

In un modo o nell’altro ho sempre vissuto Firenze come città di passaggio, buona per prendere un aereo a minor costo per andare in paesi europei o un treno per altre città. Quando tornavo qui restavo per la maggior parte a casa e poi vi rimasi troppo a lungo, fino all’agorafobia e alla depressione. Ora so che Palermo è piena di problemi e non potrei più tornarci ma resto pur sempre un’immigrata e come tutti gli immigrati mi sono prima ammalata di nostalgia, poi di malinconia. Non perché Firenze sia brutta perché non lo è e neppure perché non vi sia una sorellanza fantastica perché io l’ho trovata. Ma perché un’isolana resta un’isolana, credo. Almeno fino a quando non si mette in testa di diventare qualcos’altro. Però a Firenze chi mai potrebbe capire la carnalità palermitana e chiamarmi “Sangu’ miu” (sangue mio)? Lo psicologo capirà tutto questo?

Eretica Antonella

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