Pensieri Liberi, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze

Cronache postpsichiatriche: la crisi arriva alla fine della guerra!

Leggo in uno dei libri di psicologia che mi è stato regalato in questi giorni che la tendenza al suicidio non si rivela mai quando sei in guerra, quando stai combattendo, ma “il lasciarsi andare è classico della quiete dopo la tempesta emotiva“.

Io non capivo perché avessi voglia di morire dopo essere sopravvissuta ad una famiglia violenta, ad un padre padrone e ad un ex marito che mi ha quasi uccisa. Non capivo perché non fossi depressa quando lottavo tutti i giorni per sopravvivere, quando facevo due lavori per campare e quando tentavo in tutti i modi di perseguire i miei obiettivi pur tra mille difficoltà. Invece alla fine è arrivata, la depressione, mi ha presa dopo anni in cui avevo costruito una sorta di stabilità emotiva e affettiva. Quando avevo stabilito le mie priorità e avevo capito anche da cosa ero riuscita a fuggire, elaborandone i pericoli intimamente e politicamente. Mi ha presa quando il mio personal politico avrebbe dovuto essere risolto e io avrei dovuto semplicemente percorrere una strada a quel punto in discesa, con le difficoltà di tutti i giorni ma senza gli impedimenti violenti che avevano caratterizzato l’infanzia, l’adolescenza e la prima parte dell’età adulta.

In tempi di pace la depressione mi ha presa, ho iniziato a non voler più uscire, a rinunciare, ad aver paura di tutto e man mano mi rendevo conto che è in tempi di pace che quella tempesta emotiva si scagliava su di me trovandomi impreparata, vulnerabile, non più armata di guerra, senza difese. Tutto mi è ripiombato addosso, ogni trauma, ogni parola, ogni sofferenza. Nulla era stato cancellato o superato. Ero cresciuta eppure tornavo a ripensarmi priva di equilibrio. Senza capacità di aver fiducia nel prossimo e questa sfiducia mi ha scoraggiata dall’affidarmi a qualcuno per chiedere aiuto. Piuttosto mi vergognavo. Dicevo a me stessa di essere stata brava, in fondo. Ero riuscita a determinare un centesimo del mio percorso. Ero in grado di empatizzare, ascoltare, leggere e interpretare lucidamente gli eventi. Partecipavo alle iniziative politiche, venivo eletta a punto di riferimento da tante sorelle che ancora soffrivano in situazioni di violenza di genere, discutevo sulle soluzioni possibili che intravedevo a partire da me, perché il femminismo è sempre a partire da se’.

Avevo questa idea di voler realizzare una enorme casa per ospitare donne in difficoltà ma non avendo né i soldi né le possibilità pensavo fosse utile almeno realizzare uno spazio virtuale che mettesse in rete donne che avevano bisogno di un posto sicuro in cui essere ascoltate, viste per la prima volta. E nel frattempo vivevo la mia precarietà, le mie difficoltà nel lavoro, sempre temporaneo, a progetto, e poi la distanza con la mia famiglia di origine segnata dal tradimento perché mi ero sottratta al ruolo di cura. Insomma c’ero, ero io, sapevo cosa essere e cosa fare per resistere ed esistere. Con persone accanto che sono diventate la mia famiglia putativa, persone che mi amavano e mi comprendevano fino in fondo. Dunque perché? Perché proprio in quel momento mi sono chiusa tanto in me stessa al punto da non riuscire più neppure a rispondere al telefono, spiegare come stavo alle amiche che chiedevano di me.

Era il momento giusto, potevo pensare a me stessa, esplorare la nuova città in cui ero venuta ad abitare, seppur provando nostalgia per le mie amiche rimaste laggiù. Così per la prima volta tento di dare un nome alle sofferenze provate, sarebbe stato il momento opportuno per risolverle e liberarmene. Cominciai individuando i disturbi alimentari e poi, solo poi, superando tutti gli stigmi che la mia famiglia poneva sulle malattie mentali, ebbi il coraggio di andare da qualcuno dicendo “io soffro di depressione”. Ricordo ancora l’espressione di quello psichiatra specializzando che ridendo disse “ha già una diagnosi, dunque io a che le servo?”. Poi ci chiarimmo e da lì fu un cammino difficile, lento, che non mi portò da nessuna parte. Assumevo farmaci ma mi rincoglionivano, la mia libido scese a zero, le mie relazioni personali peggiorarono, io non fui in grado di spiegare niente a nessuno perché mi vergognavo come una ladra.

Avevo lo stigma stampato sul cranio, figuriamoci parlarne in pubblico e dopo anni di assunzione di farmaci, senza avere la forza di iniziare una psicoterapia per mancanza di soldi e perché non ce la facevo ad andare, mi sono ridotta a non poter più nemmeno uscire di casa, rimasta fissa sul divano a mantenere dapprima qualche contatto virtuale e poi più nemmeno quello. Il buio. Fissavo un punto di una parete senza vedere niente. Mi svegliavo e aspettavo il buio per andare a dormire. A volte dormivo tutto il giorno e restavo sveglia la notte senza poter concludere niente. Mi sono disaffezionata dalla scrittura e dalla lettura. Non ero più io. Poi il mio compagno dice che vuole separarsi ed è stato come un fulmine a ciel sereno. Io non avevo visto, non volevo vedere, per lui era passato troppo tempo, per me tutto arrivava all’improvviso. Così pensavo al fatto che uscire mi terrorizzava, sentivo sprofondare il terreno sotto i piedi, mi sentivo risucchiare dall’asfalto, vedevo i contorni delle cose e delle persone come in un incubo. Non potevo uscire, non sapevo dove andare, non sapevo cosa fare, non valeva la pena di vivere, tentai il suicidio.

Non è stato giusto nei suoi confronti e neppure nei miei ma se quel tentativo fosse riuscito allora pace, sarei a dormire. Invece mi sono risvegliata in ospedale, in un reparto psichiatrico, e da lì è cominciata la mia nuova battaglia. Ora sono di nuovo in guerra, con me stessa, con le mie emozioni che continuano a stritolarmi il cuore facendomi sentire piccola e indifesa. Sono in guerra per tentare di accedere ai miei diritti, per rivendicare spazio nel sistema istituzionale e della salute mentale. Sono in lotta e mentre mi occupo di questo non mi viene in mente di morire. Perché dovrei. Devo solo rialzarmi in piedi e camminare.

La vita è strana, la psiche è strana. Trovo quello che mi è successo ingiusto perché mi sento peggio quando dovrei sentirmi meglio. Come fossi abituata a vivere in costante stato di emergenza ma senza saper tirare il fiato e riposare quando l’emergenza è finita. Mi sento distrutta, frantumata e devo ricostruire me stessa cercando di capire da dove iniziare. Da me, forse. certo. Con la mia solitudine. Devo iniziare da me.

Grazie a tutti voi per il sostegno.

Eretica Antonella

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