Inês Rôlo
2019 Nov30 ·
I Was in an Abusive Polyamorous Relationship for 7 Years
– Tradotto liberamente aggiungendo note a piacere (e senza editing) di corsa e su un piede solo da Venusia e Reisa
Mi ci sono voluti tre anni e un sacco di terapia per poter scrivere quello che stai leggendo. Scrivo principalmente per chi potrebbe averne bisogno, o per chi sta prendendo in considerazione il poliamore o qualche altra forma di non monogamia etica, o per chi lo sta già praticando, o per chi è appena uscit* da una brutta relazione di qualsiasi tipo e sta ancora cercando di capire cosa è successo, o per chi è semplicemente in cerca di una relazione romantica. Anche se sei monogam*, dovresti continuare a leggere, perché si tratta di relazioni romantiche e abusi emotivi e psicologici.
Ho frequentato un narcisista per sette anni. La nostra relazione era poliamorosa sin dall’inizio. Vivevo con il mio ragazzo e la sua ragazza ed eravamo una famiglia in tre. Ognun* era liber* di frequentare chiunque desiderasse. Questo in teoria. Dopo cinque anni di questa relazione, mi sono innamorata di una donna e abbiamo iniziato a frequentarci. Uscivo con un uomo e una donna e vivevo con una parte della mia polecola[1]. Le persone andavano e venivano e la nostra famiglia è cambiata nel corso degli anni. Siamo diventati noti nella comunità per aver parlato del nostro orientamento relazionale e per il nostro attivismo. Fin qui tutto bene. Se non per il piccolo dettaglio che uno dei miei partner – quello con cui ho vissuto e con cui ho mantenuto una relazione per sette anni – era manipolativo, emotivamente offensivo, controllante e privo di empatia.
Qualsiasi qualità gli mancasse, la cercava nelle sue molteplici fidanzate. Eravamo tutte donne simpatiche, calde, sincere, forti ed empatiche. Eravamo anche femministe e partecipanti attive nella comunità LGBTQ. Abbiamo mantenuto pulita la sua reputazione. Non importa quanto a volte risultasse sospetto, noi c’eravamo: donne intelligenti, femministe, che ancora lo frequentavano, lo difendevano e in generale alzavamo voce per mantenerlo al di sopra di ogni sospetto. Mi addolora ancora parlarne. Scriverne è ancora più spaventoso. Le parole sono la mia specialità. Eppure, come Tori Amos nella canzone, sono rimasta in silenzio per tutti questi anni. Ho dovuto mettercela tutta per interrompere questa relazione e lasciare quella casa. Quando me ne sono andata, l’ho fatto senza sapere perché lo facevo. Sentivo di farlo e basta. Gli allarmi mi scattavano in testa, la mia ansia era talmente alta che non riuscivo a dormire e non sapevo perché. In precedenza ero riuscita a silenziare tutti gli allarmi, ma questa volta non ci sono riuscita. Me ne sono andata, dicendomi che quello che avevo provato per lui era andato via da tempo. L’amore è morto, pensavo. Succede a tutti, pensavo. Mi ci è voluto quasi un anno di terapia per capire che l’amore che muore non c’entrava niente. L’amore all’inizio era stato lì, sì, ma era annegato in anni di abusi.
L’amore non si accompagna agli abusi. Ma l’amore – o ciò che pensiamo sia amore – ci terrà intrappolat* in relazioni pericolose. Quindi, cosa c’entra tutto questo con l’essere non monogam*? Inutile dire che le relazioni abusive e tossiche possono prendere qualsiasi forma. L’abuso si verifica in qualsiasi configurazione. Parlare di abuso in relazioni monogame eterosessuali è sempre più frequente oggi, ma siamo ancora lontane/i dal guardare in questo modo alle relazioni omosessuali e non monogame.
Sappiamo che può succedere nelle relazioni tra persone dello stesso sesso. Sappiamo che può succedere ovunque e ovunque. Non ne parliamo.
…
In tutti quegli anni di non monogamia, ho letto quasi tutto quello su cui riuscivo a mettere le mani riguardo al poliamore e sulla non monogamia etica. Ho raccontato della mia esperienza. Sono stata intervistata per TV, riviste, radio. Sono stata sulla copertina di riviste nazionali come uno dei giovani volti del poliamore nel mio paese. Come attivista poli, partecipavo a quasi tutti i raduni LGBTQ, condividendo la mia esperienza di donna poli queer in un piccolo paese dove si sapeva poco della questione. Dato che la mia vita e il mio lavoro come attivista non retribuita erano poli, ho letto tutto ciò che potevo al riguardo. Mi sono rivolta a poli libri di auto-aiuto ogni volta che avevo dubbi. Ho letto tutte le poli-bibbie, poi ho letto le relative critiche, ho scritto di poliamore sia nei suoi aspetti pratici che teorici, ho condiviso la mia esperienza quotidiana online, ho letto le esperienze altrui. In quegli anni mi sembrava di fare un dottorato di ricerca sulle relazioni. Sono sempre stata brava a imparare cose. Ero, e lo sono ancora, un pò come Hermione Granger, sempre alla ricerca delle risposte sulla vita nei libri. I poli-libri sono diventati il mio punto di riferimento quando l’ansia ha raggiunto il picco, quando mi sono sentito perso, quando non sapevo cosa fare o come affrontare una nuova sfida. Quando non trovavo la soluzione in un libro la cercavo nel libro successivo. Sono brava nello studio. Sono diventata molto brava nella teoria poliamorosa. Era il lato pratico che mi metteva in crisi, ma eccomi lì, molti anni in una poli relazione – e questo non dimostrava che funzionava? Gli anni in cui sono uscita con il mio ragazzo e la mia ragazza sono stati i migliori e anche i peggiori. Ho dimostrato a me stessa che ero in grado di farlo. Non solo ero stata in grado di affrontare il fatto che i miei partner avessero altri amori, ma ero riuscita io stessa a fare altrettanto. Mi ero laureata al dottorato in poli-relazioni. Il poliamore aveva funzionato. E poi lentamente e tutto ad un tratto non ha funzionato più.
Quando la mia ragazza di allora mi ha lasciato, ho sentito, per la prima volta nella mia vita, che avrei potuto morire di crepacuore. Stavo provando così tanto a fare tutto nel modo giusto che mi son sentita soffocare quando tutto è andato in malora. Questa volta i libri non avevano la risposta. L’ho cercata ovunque e invano. Google non ha potuto aiutarmi. Quella rottura mi ha aperto un buco nel petto, ma anche un buco profondo nella nostra poli-favola. Tutto il marciume che giaceva nascosto sotto di essa è affiorato in superficie. Per quasi un anno, ho cercato di tenermi a galla su quel marciume. Pensavo di essere marcia anch’io. Piansi ogni giorno e ancora non vedevo il vero problema. Ma quella rottura mi ha fatto venir voglia di morire e questo, a sua volta, mi ha dato la spinta a cercare aiuto. Ho iniziato ad andare in terapia e a prendere farmaci per la depressione e l’ansia. Ho quindi lasciato il mio compagno, sono tornata dalla mia ragazza, solo per rompere con lei più tardi quando lei ha iniziato a uscire con altre persone, cosa che non riuscivo proprio a gestire. Mi sentivo svuotata di tutto. Non avevo più nient’altro da dare. Come la maggior parte dei dottorati, quello mi aveva quasi succhiato via la vita.
Non entrerò nei dettagli di ciò che mi ha fatto. Descriverò solo un quadro generale. Ha fatto quello che fa la maggior parte degli abusatori. Non mi ha mai colpito, ovviamente. Non mi ha mai apertamente maltrattato. Era discreto e attento fino alla perfezione. Mi ha fatto chiedere scusa per cose che non ho fatto, mi ha fatto prendere la colpa se le cose tra noi non andavano bene, ha istituito regole nella nostra relazione che andassero a suo completo vantaggio, ha iniziato conversazioni macchinose e che andavano avanti per ore e ore, fino alla (mia)totale spossatezza, continuava a testare i miei limiti e confini, non sempre si fermava quando dicevo no o trasmettevo il mio disagio, utilizzava il mio lavoro intellettuale per migliorare il suo, usava mie idee per promuovere la sua carriera, esauriva tutta la mia empatia perché lui ne era privo, controllava chi frequentavo e l’evoluzione delle mie relazioni, mi ostacolava con le donne che piacevano anche a lui, sfruttando la mia introversione a suo vantaggio, usava la mia reputazione per proteggere la sua, usava la mia gentilezza a suo favore (anche, sì, per avvicinarsi alle donne che mi erano vicine), faceva affidamento sul mio lavoro emotivo, manipolava conversazioni e situazioni a suo interesse, approfittandosene persino sulle routines e il lavoro domestico. Inutile dire che ha fatto le stesse cose alle altre sue partner, anche cose peggiori. Questa parte della storia riguarda me . C’è di più: le sue partner successive erano mie amiche. Sono stata io a presentarli. Questo è il suo schema consueto. Io stessa l’ho conosciuto tramite una delle mie amiche ci usciva. Tutte le sue partner hanno all’incirca quell’età quando le incontra. Anche adesso. Hanno anche altre cose in comune: di solito stanno attraversando un periodo difficile e hanno bisogno di qualcuno che le capisca. Finora ha usato le sue attuali fidanzate per arrivare a quelle successive. Sono stata un portale.
C’è di più in questa storia. Non solo di più, ma peggio. Consideralo la punta dell’iceberg. Le sue azioni hanno interessato anche le persone a noi vicine. Maggiore è la nostra costellazione, maggiore diventa il suo anello di azione e influenza. Questo è uno degli aspetti più complicati dell’essere poli. Ha avuto facile accesso a più persone perché eravamo poli. Naturalmente il lato perverso dell’abuso è che, mentre faceva tutte queste cose, si comportava da partner amorevole.
Gli abusi non sono cose in bianco e nero. C’è ogni sfumatura. Gli abusi hanno sì caratteristiche comuni, i cosiddetti “campanelli d’allarme” (red flags), ma allo stesso tempo ogni caso è diverso, la varietà di fattori- circostanze, altre persone – lo rende personale e unico. E più difficile da individuare.
Ci sono cose con le quali soltanto ora sto facendo i conti. Ogni giorno ringrazio per aver trovato un terapeuta che mi ha aiutato ad arrivare fin qui. Il mio terapeuta non mi ha salvato la vita, mi ha aiutato a salvarmi. E mentre mi salvavo, ho intrapreso un processo di autoriflessione che mi ha portato ad alcune intuizioni interessanti che voglio condividere qui.
Sono convinta che la non monogamia etica e il poliamore non siano intrinsecamente abusive. E neanche la monogamia. Ma ho notato che ci sono alcuni aspetti del poliamore e della non monogamia che potrebbero rendere ancora più difficile individuare comportamenti abusivi. Gli stessi aspetti che hanno portato a quello che è successo a me.
…
1. IL DISCORSO POLY-MAINSTREAM NON PARLA ABBASTANZA DEGLI ABUSI
Mi ci è voluto molto tempo per capire perché alcuni dei libri più famosi sul poliamore e le più comuni strategie di comunicazione non funzionavano per me. Ovviamente non intendo dire che non ci sono libri o persone che affrontano il problema degli abusi all’interno delle comunità poli / non monogame. Mi riferisco solo ai libri che ho letto personalmente e a quelli più spesso citati / citati o celebrati. Il discorso poli mainstream è fatto per persone sane di mente. O almeno per una persona poli ideale che non esiste. Si rivolge raramente alle esperienze delle persone che hanno a che fare con problemi di salute mentale, che soffrono di disturbi d’ansia, attacchi di panico, C-PTSD ( disturbo da stress post-traumatico complesso [2]) o persone che vivono con traumi o depressione. Le poli-bibbie di tutto il mondo intendono farti affrontare tutto: la tua gelosia, la tua paura dell’abbandono, le tue insicurezze. La maggior parte di quel discorso presuppone che tu possa farlo così come la persona accanto. Non tiene conto del fatto che se si soffre, ad esempio, di un disturbo post traumatico da stress complesso (C-PTSD), potrebbe non essere possibile utilizzare gli standard di comunicazione creati per persone neurotipiche. Oppure potresti provarci, e poi ritrovarti con una crisi d’ansia per sei ore – o passare anni a pensare che il dolore e l’ansia siano una parte normale dell’essere in una relazione di questo tipo (ovvero quanto è successo a me). E se vivi per vedere il giorno successivo, l’anno successivo, forse ha funzionato, giusto? Giusto?
Ho provato così tanto a fare ciò che dicevano quei libri. Avevo una cartella di lavoro sulla gelosia, per piangere e gridare! Una cartella di lavoro. Un pò troppo, vero? Ero, e lo sono ancora, qualcuno che soffre di disturbo d’ansia generalizzata e con C-PTSD. La vita poli può essere un fattore scatenante per persone come me. Per anni, ho affrontato tutto il mio trauma profondamente radicato senza alcun aiuto professionale e senza gli strumenti necessari. Sono stato esposta a tutte le mie paure di abbandono, rifiuto e confronto, e ho continuato ad andare avanti. Ho avuto diversi attacchi di panico senza sapere che erano chiamati così. Per anni ho vissuto con un’ansia quasi costante e ho pensato che fosse normale vivere in quel modo perché vivevo poli e poli pare debba essere difficile. Quando fai parte di una minoranza, ti rivolgi alla tua comunità per chiedere aiuto. La mia comunità era l’auto-aiuto poli-tradizionale. Mi ha detto di continuare a provare, che fosse dura era normale, che vivere poli era un lavoro molto faticoso, sai, come un lavoro.
Di recente, ho trovato le opere di Clementine Morrigan su Trauma Informed Polyamory, ed è stato come se qualcosa si fosse illuminato nel mio cervello. Quei discorsi tradizionali che stavo ascoltando erano violenza. Potrebbero funzionare per alcune persone, ma possono essere pericolosi per le persone che vivono con un trauma. Durante i miei anni da poli, ho spesso pensato di “chiudere” la relazione. Mantenere i partner che erano già lì e non far entrare nessuno nuovo. Ci sono state volte in cui ho sofferto così tanto, che non mi sentivo in grado di affrontare il mio partner per iniziare una nuova relazione. Non ho mai chiesto che non lo facessero, perché sentivo che nel momento in cui l’avrei fatto avrei perso le mie credenziali poli vinte duramente. Avrei fallito. Continuavo a ripetere come un mantra: «nel momento in cui te lo chiedo, sono io quella che deve andarsene». Ho pensato sia che avrei potuto tenere tutto sia che non potevo essere poli e avrei dovuto rompere con tutti e partire. Era tutto o niente.
Così sono andata avanti, con estrema sofferenza e ansia a volte. Sono arrivata al punto in cui iniziai ad avere crolli sul lavoro, piangendo ogni giorno, sul punto di perdere la testa. Questo è successo con entrambi i/le mie/i partner, in diversi momenti della vita e per diversi motivi. La mia ragazza non è mai stata violenta, ma ho lottato con ansia quasi costante quando ha iniziato a uscire con altre persone. Nulla di cui abbiamo parlato o fatto ha contribuito ad alleviare il mio terrore. Ho iniziato a comportarmi in modo controllante guidata dalla paura. Ero terrorizzata a perdere la mia ragazza con quelle altre persone che continuava a incontrare e di cui si innamorava. Ho incontrato le sue partners nella speranza di diventare loro amica e smettere di sentirmi così minacciata. Era anche peggio. Ho fatto un giro di paragone con loro e la conclusione era sempre la stessa: erano meglio di me. Ho sentito che dopo anni di lavoro, ho dovuto ricominciare tutto da capo. Ero tornata all’inizio, sentendo di non aver imparato nulla. Non volevo essere una persona insicura e controllante. Temevo di essere impazzita. Ero profondamente infelice. Era troppo per me e qualcosa alla fine si è rotto. Non ce la facevo più. Decisi che saremmo state entrambe meglio se ci fossimo lasciate. E così me ne sono andata.
Di recente, ho letto che Clementine Morrigan ha chiesto al loro partner di lunga data una pausa nella loro non monogamia. Hanno concordato di mettere in pausa per un po ‘. Ero sbalordito. Non sapevo nemmeno che mi fosse permesso di farlo ed essere ancora poli e non sentirmi come se avessi fallito. Per la prima volta sono stato confortato dall’idea che non sono l’unico a lottare. Ho capito che non essere in grado di gestire le cose è valido. È anche possibile, senza dover rinunciare a tutto. L’ho anche capito amare qualcuno sta valorizzando il loro benessere. Impegnarsi con qualcuno può significare che non inseguirai sempre ogni possibile relazione, anche se non sei monogama.E nessuno dei miei partner lo ha mai fatto per me. Mi ci sono voluti anni per capire che chiedere questo non è troppo. Non sono troppo.
L’amore è prendere in considerazione i traumi e i confini de** tu** partner(s). L’ ‘amore è prendersi cura de** partner(s). Se non lo fa, non è amore.
2. SOLO PERCHÉ SEI UNA FEMMINISTA NON SIGNIFICA CHE NON POSSA SUCCEDERE A TE
Per molto tempo mi sono sentita così sicura che, poiché ero una femminista, non sarei mai stata con qualcuno che non mi rispettava. Mi sentivo sicura di me e protetta in questa idea di uscire con un uomo femminista. La nostra relazione era femminista. Il discorso poli è femminista sin dal suo inizio. Poiché il parlare di non-monogamie etiche deve confrontarsi con i pregiudizi e gli standard mono-normativi, tende a essere come un discorso iper-positivo. La gelosia è una seccatura e può essere risolta se segui questi 3 semplici passaggi. I sentimenti di abbandono e solitudine sono questioni di passaggio, basta andare ad un appuntamento con te stessa/o oppure chiamare il tuo amante e parlargli, ti sentirai meglio. Il discorso poli è sex-positive, body-positive. Puoi vedere la tendenza: è tutto positivo. È anche positively dangerous. La maggior parte delle femministe sa che la monogamia eterosessuale è una cosa complicata. Lo squilibrio di potere tra uomini e donne e la struttura della monogamia hanno il peso della tradizione e dei ruoli di genere. Come femministe, siamo consapevoli di questa struttura e particolarmente consapevoli di questo quando entriamo in quelle relazioni. Quando una femminista sceglie il poliamore, potrebbe pensare di star fuori dall’eredità e i problemi della monogamia.
La natura apparentemente femminista del poliamore ci fa credere di avere un sistema di sicurezza. Ci rende inconsapevoli della possibilità di vivere gli stessi incubi. E il discorso poli-mainstream non fa nulla per smantellare questa idea. Gli aspetti positivi sono enfatizzati e i problemi vengono trattati con un approccio da self-help, mentre i problemi reali finiscono per essere inghiottiti nel silenzio. Il discorso mainstream sul poliamore vuole dimostrare di essere concentrato sulla comunicazione e sul consenso. Ma la sua nozione di comunicazione e consenso riguarda un approccio-base, che non tiene conto del pericolo di abuso. È difficile notare un abuso quando tutto ciò che stai facendo è basato sulla nozione di femminismo. È ancora più difficile se sei una femminista, se hai un master in Gender Studies e se la tua partner abusivo/a è un/a ben noto/a femminista nella comunità e una rispettato/a studiosa/o di studi sul poliamore e di genere. Questo apre un’ ottima strada per il gaslighting.
Quando ti inginocchi sull’altare della Divinità della Comunicazione, finisci per pensare che tutti i tuoi problemi possano essere risolti con una comunicazione onesta. È una bugia. La comunicazione può essere uno strumento di abuso. Un manipolatore prospera nella comunicazione e nel giocare con nozioni di negazione, contraddizione e percezione. Ho trascorso la maggior parte dei miei anni come poli, comunicando costantemente. Tutto è stato analizzato fino al punto di esaurimento. I miei pensieri, i miei desideri, i miei dubbi, la mia intimità erano tutti in discussione con il mio partner. Era tutto nell’interesse di diventare puri, di essere onesti. Anche se in seguito ho notato un doppio standard, il mio partner avrebbe anche analizzato i propri sentimenti e ne avrebbe discusso in dettaglio con me – ma dal momento che era un manipolatore, avrebbe probabilmente scelto ciò che era più conveniente condividere per lui. Questi discorsi avvenivano ogni volta che avevo un leggero interesse per qualcun/a altro/a. La maggior parte di quei discorsi finì per essere inutile.
Dopo aver esaminato i miei sentimenti così da vicino, ho finito per non coinvolgermi con nessuno/a. Il comandamento della comunicazione e del consenso[3] è stato usato per controllarmi. Ha persino controllato in anticipo i miei sentimenti, perché qualunque cosa sentissi, sapevo che avrei dovuto parlarne. A volte, ho scelto di non ascoltarmi. Non pensavo che valesse la pena. Altre volte, sono stata costretto a conversazioni in cui ho cercato di arrivare in fondo ai miei sentimenti, alla supposta verità, e in quel processo i miei sentimenti hanno subito cambiamenti. Come se fossero sotto assalto. Qualunque cosa io abbia sentito all’inizio della conversazione, alla fine era diventata un peso così grande che ho finito per lasciarla andare. E naturalmente questo ha naturalmente ucciso tutte le possibilità di spontaneità e seguendo il mio ritmo.
Questa richiesta di comunicazione non lasciava spazio alla privacy. L’ho capito solo quando è emerso come risposta al trauma nelle mie relazioni intime più recenti. Ho sentito che questa compulsione a rendere chiare da cose che non avrei dovuto chiarire, perché facevano parte della mia vita interiore emotiva e quindi non erano in discussione. In effetti, la violazione della privacy è stata la ragione del nostro primo litigio, a meno di poche settimane dall’inizio della nostra relazione. Ha detto che se ne è pentito. Ha pianto. Mi ha offerto una rosa. Ha promesso che non sarebbe mai più successo. E con me non è successo – almeno non allo stesso modo. Continuava a succedere sotto un’altra maschera. L’ho perdonato in quel momento. Ho pensato che fosse un onesto errore quando provi il poliamore e hai a che fare con i confini e i sentimenti degli altri. Il poliamore apre questo spazio di acque confuse. È difficile dire dove si colloca la linea tra privacy e sicurezza, tra errori e abusi.
3. SOLO PERCHÉ MOLTE PERSONE NON RIESCONO A VEDERLO, NON SIGNIFICA CHE NON STIA ACCADENDO
Sai cosa c’è di bello nel poliamore ma anche un po ‘schifo? Il poliamore riguarda tutto il l’essere “poli”, inteso come più persone, non uno-a-uno. Cosa succede quando ne hai molte? Si formano gruppi. I gruppi sono fantastici. Ma sai cos’altro sono? Complessi. Sollevano una cosa chiamata dinamica di gruppo. Non sono uno psicologo, quindi vado con le basi qui. I gruppi possono essere una fonte di identificazione e appartenenza. Ma possono anche renderti ignaro dei modelli comportamentali: i tuoi e quelli degli altri. I gruppi possono ostacolare o alterare la tua percezione delle cose. Odio la parola influenza – un’idea comune è che i gruppi possono influenzarci e farci agire in modi che altrimenti non faremmo. Non sono qualcuno che è facilmente influenzato.Ma nel poliamore c’è qualcosa che ha un modo di farti sentire parte di qualcosa di speciale, che poche persone al di fuori della tua polecola capiranno. All’inizio, potresti sentirti così solo nella scelta di una vita non monogama, che il tuo gruppo diventa molto importante. Il gruppo è la tua famiglia, la tua casa.
Da qualche parte in quegli anni, ho incrociato su un blog il post virale chiamato Il gradino mancante[4] . Il termine è stato coniato da Cliff Pervocracy. La metafora è buona: Sei mai stato/a in una casa in cui c’era qualcosa di clamorosamente sbagliato? Qualcosa di enormemente pericoloso, scomodo e contro ogni sicurezza, ma tutte le persone vivono lì da molto tempo e ci si sono abituate? « Oh sì, quasi dimenticavo di dirti che sulla scala poco illuminata e senza ringhiere c’è un gradino traballante ma è ok perchè basta che ci ricordiamo di saltarlo » L’ho letto, capito, l’ho attaccato su qualcuno che conoscevo dalla mia comunità e sono andata avanti. Non mi rendevo conto che vivevo anche io in una casa con uno scalino mancante. Quando ho iniziato a uscire con il mio abuser, a volte dava fuori di sé: o era arrabbiato con qualcosa, o frustrato o semplicemente annoiato, avrebbe iniziato a trattare tutti quelli che lo circondavano come merda.
La cosa arrivava velocemente come se ne andava, ma è quello di cui mi ricordo di più. All’inizio ero scioccata: “perché mi stai urlando?” Oppure: « Perché mi metti il muso? Non starò qui ed essere trattata in questo modo.». Tranne che l’ho fatto. Avremmo discusso all’infinito o sarei stata trattata con mutismo e rabbia. Più tardi, la fidanzata del mio ragazzo sarebbe venuta a parlare con me e mi avrebbe spiegato che quando “è così” è meglio se non dici niente, “verrà lui”. Ora, mentre lo scrivo, so come suona. Sembra che mi stessero insegnando come tollerare gli abusi. E infatti. Non l’ha fatto per farmi del male, però.Stava condividendo le sue conoscenze su come affrontare la scala mancante. Mi stava aiutando nel modo migliore che conosceva. E ha funzionato. Ho smesso di litigare con lui e l’ho aspettato. Non mi rendevo conto che si trattava di un abuso – dopotutto, ero già sopravvissuta ad altri tipi di abuso e la tecnica di farsi un giro mi era familiare. Ero stato messa fuori combattimento per aver affrontato gli abusi frontalmente. Ora avevo imparato un nuovo modo di affrontarlo. Tranne che non sapevo che fosse lo stesso. Pensavo non avesse nulla a che fare con questo.
Ho quindi aiutato le sue future ragazze dando loro lo stesso consiglio che avevo ricevuto. Il fatto che tutte noi avessimo imparato a gestire le sue esplosioni violente (le chiamavamo il suo temperamento ) e persino a condividere le nostre conoscenze reciproche, gli consentì di continuare a farlo e impedì a nuove voci di dissenso di chiamarlo fuori. Il gruppo ci ha resi conformi.
Ho deciso di uscire con lui solo dopo aver visto il modo in cui trattava le sue altre partners. Ricordo di aver pensato che il modo in cui mostrava rispetto e amore per le le partners dimostrava che potevo fidarmi di lui. Gliel’ho persino detto. Non sapevo, quindi, che la maggior parte delle cose che faceva, le faceva per un pubblico. Il suo comportamento è stato calcolato. Quando il pubblico non c’era, lui cambiava. Mi ci sono voluti anni dopo che l’ho lasciato – e diversi colloqui con alcune delle sue altre ex fidanzate – per notare questo schema. Non dovrebbe sorprendere che le comunità LGBTQ non siano prive di abusi all’interno dei loro spazi.
Durante i miei anni come attivista, mi sono trovata di fronte al fatto che membri importanti della nostra comunità sono stati / sono abusatori e / o persone protette che sono abusanti, anche di fronte ai resoconti della vittima. Ho anche imparato che la mia comunità non ha fatto quasi nulla per risolvere questo problema. Negli ultimi anni, la cultura del calling out[5] ci ha portato in un luogo in cui non sappiamo più cosa è sbagliato e cosa è giusto. Ci sorvegliamo l’un l’altro, la nostra lingua, i nostri errori, sempre pronti a indicare gli altri e lanciare loro un insulto o altro. In molti casi, il “calling-out” è usato come arma per mettere a tacere le voci solitarie inaudite.
Diffonde la paura di parlare. Permette che alcune forme di abuso passino inosservate. Ecco il modo in cui generalmente affrontiamo gli abusi nelle nostre comunità: le persone si conosceranno e si avvertiranno a vicenda privatamente, riguardo al comportamento di questa o quella persona. Non c’è dialogo pubblico. Succede tutto sulle nostre scatole DM.Tutti lo sanno, quasi nessuno fa un passo avanti con quella conoscenza. Quando uscirà allo scoperto, alcune persone ignoreranno il problema, altri continueranno a difendere pubblicamente gli abusatori, ma altri parleranno di diffamazione e calunnia. Nel frattempo, gli abusatori continuano ad abusare.
Mantengono quasi intatta la loro reputazione all’interno della comunità, si muovono liberamente e trovano le loro prossime vittime. Dopo lo scioglimento, mi sono rimossa da ogni gruppo in cui mi trovavo. Sono rimasta lontana per la mia sanità mentale, ma ciò significava perdere spazi che sembravano casa. Significava ricominciare dagli scarti. Significava trovare nuovi amici altrove. Significava perdere quasi tutti quelli che conoscevo. Significava che dovevo stare lontano da eventi e cose di cui volevo far parte. Significava perdere il senso di appartenenza. Ad un certo punto, ho smesso di voler essere lì del tutto. Non voglio essere in un posto dove lui – e altri/e come lui – sono benvenuti/e.
Per una comunità presumibilmente costruita da e per i senza potere, finisce dalla parte dei potenti il più delle volte. Il poliamore ha un modo per far sentire speciali. Le persone presumono che le poli-relazioni siano automaticamente più consensuali, più consapevoli, più queer, più paritarie. Quando sei poli, potresti sentirti diverso/a dagli/lle altre/i. Più illuminata/o. Scoprire che essere poli non ti rende necessariamente migliore nel comunicare o nel rilevare abusi o addirittura nel sesso. Non ti rende migliore. Periodo. Ma ti fa sentire diverso dalla norma.
Quando ti senti diversa/o e provi disagio, finisci per pensare che sia normale. Dopo tutto, stai facendo qualcosa che le altre persone non fanno. La società non ti contempla. Le persone discriminano te e il tuo modo di vivere. Quindi ti rivolgi alle “tue” persone. Quando sei poli, la tua cerchia sociale diventa le persone con cui stai uscendo e le persone con cui loro stanno uscendo. Tutte le persone che ho incontrato, le ho incontrate attraverso i miei e le mie partner e i partner dei miei partner. Quando me ne sono andata, non avevo quasi amicizie “esterne”. Ho accettato il disagio e il disagio emotivo perché pensavo fossero normali. Ho parlato pubblicamente di questi sentimenti e ho ottenuto un’immensa convalida dalla mia comunità. Pensavo che soffrire fosse parte della cosa. La sofferenza ne faceva parte. Come dicevano tutti i libri.
Non sapevo che il dolore è sempre un avvertimento. I nostri corpi e sentimenti sanno qual è l’accordo prima di farlo. Anche se i nostri cervelli ci convincono diversamente. Prestare attenzione a ciò che sento è stata una delle più grandi lezioni che ho imparato. Nota con chi sei quando soffri o provi disagio. I sentimenti non sono casuali. Non stai esagerando, o troppo emotivo/a, troppo drammatica/o o troppo sensibile.La maggior parte della poli-letteratura che ho letto continuava a dirmi che potevo farlo, indipendentemente da quanto dolore provassi. Mi ha insegnato a mettere delle bende sul dolore, a fare strategie intorno, ma mai ad ascoltare. Il poliamore è molto critico nei confronti dei sentimenti come merce, dell’amore come se fosse una risorsa scarsa. Dovrebbe essere qualcosa che valorizza l’amore e il sentimento, ma invece affronta i sentimenti come cose da affrontare e da superare. Non riconosce che i sentimenti potrebbero essere lì per una ragione. I sentimenti non sono fatti per essere semplicemente superati. A volte, sono fatti per essere sentiti.
4. SOLO PERCHÉ SEI BEN INFORMATA/O, NON SIGNIFICA CHE SEI CONSAPEVOLE (AUTOCOSCIENTE)
Un malinteso comune è l’idea che ‘oggi le persone siano così ben informate, che è molto più difficile cadere su una merda violenta. Le statistiche sulla violenza nelle relazioni intime, tuttavia, dicono altro. A parte le statistiche, in realtà penso che sia vero il contrario. Siamo tutti così ben informati (tramite il nostro amico Google) su tutto, dalle informazioni sulle MTS[6] alla fisica quantistica che ci sentiamo invincibili. Avere informazioni ci dà un falso senso di sicurezza.
Come la maggior parte delle persone che hanno subito abusi, mi sono interrogata più e più volte: « perché ho lasciato che accadesse? »
Sapevo che cos’era l’abuso. Sapevo come appariva, conoscevo schemi, conoscevo storie, avevo esempi da amici intimi, avevo il mio background. Ero iper informata e comunque è successo.
Sai quando qualcosa è così evidente, così ovviamente lì che non riesci proprio a vederlo? È stato così per sette anni della mia vita. C’era la maggior parte delle solite “red flags”. Conoscevo anche queste. Ho letto di loro. Ho postato e ripubblicato a riguardo – sai, quelle foto con frasi intitolate: “Red Flags to Watch Out For”.
Vivevo con quelle bandiere rosse e non pensavo che quelle immagini potessero riguardarmi. Perché sapendo tutte quelle cose, credevo che in nessun maledetto modo potessi trovarmi in una relazione violenta. In precedenza ero evasa da abusi. Credevo non mi sarebbe mai più successo. La memoria funziona in modi misteriosi. Cercando tra gli appunti per scrivere questo, ho trovato un’e-mail nella mia posta, inviata alla mia ragazza di allora, a proposito di abusi nelle relazioni poli. L’email è del 2016, anno in cui uscivo con lei e il mio ragazzo. Lei prima aveva avuto una presunta relazione poli. Quella relazione era stata violenta e violenta. Le ho inviato quell’e-mail dicendo che non avevo ancora letto l’articolo, ma ho pensato che l’avrebbe trovato utile. Non ricordo di aver scritto questa email. Sono abbastanza sicura di non aver mai letto l’articolo che le ho inviato. Ci sono state mille volte in cui mi sono trovata di fronte alla realtà che stavo vivendo e non l’ho vista. La mente umana tende a comparare tutto. Conoscevo l’abuso che la mia ragazza aveva vissuto.
Ma poiché ciò che la sua ex ragazza le aveva fatto era così orribile, non ho visto le somiglianze sottostanti e silenziose. Indipendentemente da quanto fossero diversi la sua abuser e il mio, entrambi cercavano di controllare. È strano che ricordo così vividamente un’altra cosa che è successa dopo. Alla fine della mia relazione con lui, mi sono ritrovata a leggere Reborn[7], il primo volume dei diari di Susan Sontag. «Nel matrimonio, ogni desiderio diventa una decisione. … si smette di “rimediare” dopo i litigi – si ricade nel silenzio arrabbiato, che diventa silenzio ordinario, e poi riprende daccapo.» Per qualche motivo, ho sottolineato questo passaggio. Ricordo la forte sensazione di disagio che mi assunse. È una cosa così piccola, non è nemmeno necessariamente sugli abusi, ma riguarda le persone e il modo in cui si relazionano tra loro. Era la prima volta da anni che qualcosa sembrava completamente chiaro.
Non sapevo perché questo pezzo risuonasse così profondamente con me. Dopo tutto, non ero sposata! Perché mi sono sentita intrappolata? Impotente? Era quella voce minuscola. Sai quale. È la voce che dice che qualcosa non va. La voce che di solito ignoriamo. Era salita in superficie, solo per essere affondato dalla mio allegro desiderio del momento successivo. Non posso sottolineare abbastanza l’importanza di ascoltare questa voce. Conosci quella voce meglio di chiunque altro. Lo riconosceresti ovunque. Anche la voce ti conosce. Probabilmente ti conosce meglio di quanto tu conosca te stessa/o. Non silenziarla.Non ho ascoltato o visto ciò che era proprio di fronte a me. Allo stesso modo non ho ascoltato il mio primo istinto quando l’ho incontrato. Ci è voluto così tanto tempo per quella vocina che ho ignorato per crescere ed essere riconosciuta come la mia voce. Mi ci è voluto così tanto tempo per salvarla dalle ombre e portarlo qui, alla luce. Devo a quella voce la mia vita.
Non ho risposte a seguire. Solo altre domande.
Grazie al mio lavoro in terapia, sento di essere più in grado di individuare manipolazioni. Sto cominciando a riconoscere dove sono i miei confini. Non permetto più alle persone di attraversarli o calpestarli. Ma sto ancora attraversando un profondo trauma. Sto ancora guarendo.
Bisogna guarire come comunità. Non so come possiamo farlo. È per questo vi scrivo. Chiedo a tutti voi di essere miei testimoni. Chiedo a tutti/e voi di mettere insieme testa e cuore e trovare soluzioni. Non sono solo. La mia storia è la vostra. Tutti/e conosciamo storie come questa e anche peggiori. Sto chiedendo di contattare le altre persone di cui sai. Testimoniamo i nostri dolori personali e collettivi. Ancora credo che possiamo.
[1]Polecola: neologismo nato in seno alla comunità poliamorosa/NME per descrivere relazioni a più di due comprensive dei partner dei propri partner sia che ci sia una relazione diretta che non.
[2]“C-PTSD o Complex PTSD”, inserito nell’ undicesima edizione dell’International Classification of Diseases (ICD-11) https://www.istitutobeck.com/cptsd-desnos-trauma
[3]Altre osservazioni sul consenso usato come strategia d’abuso https://medium.com/@loveinthesuburbs/power-privilege-and-coerced-consent-in-polyamory-9244ae314105
[4]Articolo originale in inglese: The Missing Stair
[5] La call out culture (nota anche come outrage culture) è una forma di public shaming in cui le persone identificano le trasgressioni commessi dai membri della loro comunità e sfidano pubblicamente i trasgressori, mortificandoli o punendoli. Avviene principalmente sui social media. Vedere:
🔖V. Rachel Wayne,”The Problem with Call-out Culture”, Medium, 13 gennaio 2019 https://medium.com/@rachelwayne/the-problem-with-call-out-culture-4edecb31e192
🔖V. Loretta Ross , “I’m a Black Feminist. I Think Call-Out Culture Is Toxic”, The New York time, 17 agosto 2019. https://www.nytimes.com/2019/08/17/opinion/sunday/cancel-culture-call-out.html
[6] Malattie Sessualmente Trasmissibili, nell’articolo originale STDI ovvero Sexually Transmitted Diseases Information .
[7]In italiano Susan Sontag, “Rinata. Diari e taccuini 1947-1963”; 320 pagine ; ISBN: 978-88-7452-729-8 (edizione del 2018)
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