(Articolo originale pubblicato su LeHuffPost qui – Traduzione di Luana del Gruppo di lavoro Abbatto i Muri)
«Lei lo lascia, lui la uccide».
«Salomé, centesima vittima di femminicidio del 2019».
Da una settimana dall’apertura del Dibattito sulle violenze coniugali, e a margine di esso, delle grandi lettere nere su fondo bianco hanno ricoperto i muri delle strade di Parigi per denunciare i femminicidi e rendere omaggio alle vittime.
La sera di venerdì 6 settembre sono più di trenta donne, tra cui Marguerite e Sophia, a percorrere a grandi passi la capitale per «fare attacchinaggio». Gli obiettivi sono fortemente simbolici: Senato, Assemblea Nazionale, Matignon [la residenza ufficiale del primo ministro francese, NdT]e la Défense [quartiere d’affari di Parigi, NdT].
(Tweet di @Mar_Barbier: «In cinque giorni, settanta donne hanno affisso 175 messaggi contro i femminicidi per le strade di Parigi. A seguire su @Margueritestern»)
Il secchio di colla in una mano, le risme di fogli nell’altra, Sophia Hocini, ventisei anni di cui alcuni da militante femminista, guida un gruppo di sei ragazze nel VI Arrondissement; quasi tutte sono inesperte di azioni di strada, dunque, prima della partenza, si tiene un briefing tra le giovani donne. Tra consigli tecnici e giuridici su cosa fare in caso di controlli della polizia o di arresti, la trentina di ragazze arrivate per la serata, sedute in cerchio, ascolta attentamente le indicazioni. Intorno a loro, macchie di colla seccano per terra e sui muri.
Da una settimana, il metodo è lo stesso ogni sera: in meno di tre minuti, alcune incollano fogli a comporre frasi d’effetto: «Femminicidi, di chi è la colpa?», «Più ascoltate da morte che da vive»; frattanto, le altre controllano che non arrivi la polizia.
«Bisogna suscitare una reazione nei passanti, perché è smuovendo la società che faremo avanzare le cose e che il governo stanzierà più fondi per questa causa», assicura Sophia Hocini, candidata alle elezioni europee per il PCF [Partito Comunista Francese, NdT].
All’ultimo piano del Jardin Denfert, uno squat di artisti nel XIV Arrondissement, in un immenso locale in un sottotetto, durante il giorno le militanti si preparano – in un’atmosfera «concentrata ma non necessariamente pesante» – a dipingere i manifesti e a preparare il materiale. Al calar della notte, partono in piccoli gruppi per affiggere i manifesti in giro per Parigi.
«È pazzesco: sono stata contattata da un sacco di ragazze, anche giovanissime… tutto questo mi sconvolge un po’… non l’ho ancora realizzato fino in fondo, ma sono felice che finalmente questa causa ottenga dell’interesse», spiega Marguerite Stern, capelli biondi con ciocche blu, le gambe punteggiate di macchie di vernice nera.
(Tweet di @Margueritestern: «La settimana scorsa ho lanciato un appello sui social per riunire un gruppo di donne che andassero a affiggere dei messaggi contro i femminicidi per le strade di Parigi. Ho pensato che avrebbero risposto in quindici, e sarebbe stata già una figata, invece sono ottanta. Ottanta donne sono passate per il QG. Insieme, abbiamo dipinto e affisso 230 manifesti in giro per Parigi. Questo gruppo riunisce donne che vengono da ambienti molto diversi: alcune già militanti, altre appena diciottenni e alla loro prima esperienza»)
Questa ex-Femen di ventotto anni ha lanciato da sola questa iniziativa «la settimana scorsa»; adesso cerca in qualche modo di «mantenere il lato informale» delle sue azioni “alla Femen”. «È fortissimo e estremamente simbolico: ci si ritrova tra ragazze per fare una cosa mezza illegale e investire uno spazio, la strada, in cui non siamo necessariamente trattate coi guanti bianchi», racconta Camille Lextray, ventitré anni, «militante femminista nella vita quotidiana ma che non si è mai politicamente impegnata».
Quanto a Margot Bremond, lei è venuta dal Belgio: «Ho sentito parlare sui social dei collages, allora sono venuta per fare esperienza sul campo e poi importare queste azioni a Bruxelles», specifica con determinazione. Anche altrove in Francia hanno cominciato a diffondersi le affissioni di messaggi contro i femminicidi, per esempio a Bordeaux e a Lione.
Verso le undici, la serata termina presso una fontana per lavarsi le mani piene di colla. Le giovani donne, col viso gioioso, sentono di aver compiuto un dovere: «Potete essere fiere di voi stesse, ragazze!», le carica allora Sophia. Ritorneranno domani.
Nel 2018, il Ministero degli Interni francese ha conteggiato 121 femminicidi in Francia. A questo punto del 2019 sono già state censite cento vittime, secondo le associazioni contro la violenza di genere. Martedì il governo ha annunciato, all’apertura del Dibattito sulle violenze coniugali, una prima serie di misure per frenare questa piaga: la possibilità di sporgere denuncia in ospedale e l’istituzione di «pubblici ministeri specializzati». Questo annuncio ha suscitato reazioni tiepide tra le associazioni.
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Ciao, vorrei chiarire ciò che credo essere un malinteso. Mi è sembrato di capire che sostieni l’idea che il sex work sia un vero lavoro e che debba essere decriminalizzato. Allo stesso tempo, però, Femen è un movimento fortemente abolizionista ed anche violento contro le sex workers. È anche causa loro se in Francia c’è il Modello Nordico con tutti i suoi disastri. Ne eri a conoscenza? Non devi pubblicare il commento se non vuoi; il mio intento era quello di mettere in luce il fatto che le azioni “alla Femen” non sono così femministe come sembrano viste dal di fuori, anche se presentate in quel contesto (l’argomento del post) possono sembrare belle iniziative (ho letto che la persona in questione è un’ ex-femen, comunque dice di sostenere quello spirito). Grazie.