La posta di Eretica, MalaRazza, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze

MalaRazza e la disoccupazione

La povertà non è uno stato d’animo. Non si tratta di trascuratezza o di degrado soggettivo. Così vogliono farvi credere quelli che vi consegnano la colpa di essere poveri. Io sono povera e non è colpa mia. Non sono in grado di pagare la bolletta della luce a fine mese, spero solo che non la taglino. Il gas posso ancora usarlo ma quando finiscono i soldi che avevi messo da parte per i tempi bui, quelli in cui non avresti trovato lavoro, quei tempi bui si affacciano alla tua vita e tutto succede una cosa dietro l’altra, una disgrazia dietro l’altra. Ti senti un’accattona mentre giri per uffici a verificare le tue possibilità. Torni a casa con la rivistina che trovi da qualche parte dove stanno scritte le offerte di lavoro. Poi scopri che non c’è una vera offerta di lavoro in nessuna delle pagine attentamente sfogliate. La tragedia è che non si può fare diversamente. Non hai alternative a meno che non ti metti a rapinare banche e anche per quello ci vuole un talento che non ho.

Sono tornata a casa con un briciolo di spesa sperando di non far sentire lui più povero e inutile di come già si sente. Il suo lavoro è quello che ci nutre. Il mio, anche le giornate in gelateria, è finito. Ora non so davvero che fare. Mi rimetto alla ricerca. Il gelataio dice che gli affari sono in calo ed è arrivata sua figlia ad aiutarlo. Non ha più bisogno di me. Passo a trovare i proprietari di mille bar e pub e locali e librerie e qualunque negozio per strada ma nessuno ha bisogno di me. Per prima cosa mi chiedono quanti anni ho. E ho superato abbondantemente l’età per fare la studentessa lavoratrice che trascina le catene mentre cazzeggia divertita coi clienti. E’ umiliante. Dico che sono disposta a lavare i cessi, a fare di tutto e non mi importa quanto mi pagherà purché qualcosa mi paghi. Poi ricordo che in un volumetto per disadattati che cercano lavoro ho letto che non devi mai apparire disperata quando cerchi un lavoro. La sfiga non vende e io devo trovare qualcuno che mi compri. Dunque devo sapermi vendere. Ma come?

Lui sta già mettendo la pasta in pentola, mi chiede come è andata. Tutto bene – dico. Grazie a questo governo mi ritrovo disoccupata ma è ok. La mia età è un ostacolo. Ho bisogno di fare qualcosa. Mi dice: leggi, studia, fai altro. Per ora non ci pensare. E per la bolletta? Mangeremo a lume di candela. Pazienza. E io invidio il suo senso dell’umorismo, la sua calma, è tipica di chi sa che ha fatto il proprio dovere. Lavora, torna a casa, fa quello che deve essere fatto e io invece mi sento una merda. Così è, caro governo (ladro). Ci sono centinaia di migliaia di persone che si sentono come me e non sanno come campare. Sono incazzata e non so a chi rivolgere la rabbia. Una volta c’era la classe proletaria e poi c’erano i padroni. Oggi quelli che dovrebbero combattere per i propri diritti se la prendono con gli stranieri e i padroni festeggiano perché hanno ottenuto la loro guerra tra poveri.

Mi sembra tutto così terribile e allora ok, mi metto a leggere. Magari faccio un ripasso del Capitale di Marx, anche se oramai cani gatti e porci citano Marx al contrario per istigare odio contro i poveri. Vorrei scendere in piazza e spaccare tutto. Vorrei sputare in faccia ai politici e dirgli che sono bugiardi e che mentre ci intrattengono con la pantomima che costa vite in mare ci distraggono dalla nostra povertà. Vorrei essere una serena casalinga che pulisce casa e prepara i pranzi e le cene ma non c’è tempo. Tra poco la bolletta scade e abbiamo anche l’affitto e tutto quello che posso fare è cercare un lavoro. E’ tutto quel che voglio. Tutto quel che desidero. Un piccolo lavoro per poter pagare quella bolletta. E quando penso a quanto sia misera la mia vita, a quanto poco valgono i miei desideri mi sento umiliata, mortificata.

Cerco di conciarmi in modo tale da non sembrare disperata. faccio un altro giro di bar e di pub. Mi presento al meglio delle mie possibilità, mi sono anche truccata, cazzo. E tutto quel che guadagno è un “fermati troia”. L’ultimo degli uomini con la clava gira per strada senza preoccupazioni e mi dà della troia perché pensa sia un suo diritto. Ma non mi ero vestita così per te. Era solo per trovare un cazzo di lavoro. Gli chiedo “e se mi fermo cosa fai?”. Ride e si allontana. Anche vigliacco, per di più. Gente che lancia la pietra e poi nasconde la mano. E nella disperazione di una donna che non vuole dipendere da nessuno anche un “fermati troia” estemporaneo incide. Voglio finirla con questa giornata di merda. Voglio tornare a casa, finché una casa ce l’abbiamo e poi voglio gettarmi tra le sue braccia e fare l’amore forsennatamente, come se fosse una prova di vitalità. Non merito soltanto la sopravvivenza. Io merito molto di più. Io voglio molto di più.

Malarazza

—>>>Questo è il racconto a puntate di Malarazza. Potete seguire le puntate precedenti e quelle successive a partire da QUI.

 

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1 pensiero su “MalaRazza e la disoccupazione”

  1. Lo stanno facendo: ci vogliono sempre più deboli, ricattabili. Che ci facciamo la guerra tra noi. Per loro è una vera pacchia. Possono usare e poi gettar via la gente quando meglio gli pare. Ricordate che le colpe sono sempre in primis di quei bravi politici che ancora vi ostinate a votare, sia da Destra che da Sinistra, che vi stanno fottendo sempre più il futuro, finché non ne resterà niente.

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