L’assassinio di Deborah ha aperto la discussione su proposte di revisione della legge sul femminicidio. Giulia Bongiorno dice che servono pene più severe ma appena pochi giorni fa, quando il ministro Salvini si sentì offeso per le frasi di Spadafora, improvvisamente la presentazione del Piano Antiviolenza in conferenza stampa fu cancellata.
Le istituzioni che dovrebbero salvaguardare il nostro benessere sono minate dalla presenza di individui che da un lato eleggono il securitarismo a migliore difesa e dall’altro augurano lo stupro alle donne. Senza contare poi quelli che gioiscono per la deportazione di massa della gente sgomberata a Primavalle i cui figli – tolti alle madri – finiranno in quelle case famiglie che i destrorsi tanto contestano a partire dalla vicenda di Bibbiano. Dunque abbiamo una classe politica assai confusa su quello che deve essere fatto per prevenire la violenza di genere e non solo. Se si ammettono insulti ripetuti che legittimano la cultura dello stupro contro le donne che stanno antipatiche al ministro dell’interno come si può fare un ragionamento serio per prevenire i femminicidi? Se la tendenza culturale del paese – vedi congresso delle famiglie a Verona – è quella di non rispettare l’autodeterminazione delle donne, che si tratti delle loro posizioni politiche o delle scelte private, come l’aborto, a cosa serve l’aggravio di pene? E’ la cultura che rende possibili crimini come quello che ha fatto di Deborah l’ennesima vittima di femminicidio.
La violenza di genere prende origine dalla cultura sessista e quel “non mi pento” pronunciato dall’assassino reo confesso, ex carabiniere, italiano, il quale ha ferito altre due donne e una bambina pur di uccidere l’ex moglie, lo conferma. Parliamo di un uomo condannato per stalking che ha terminato il suo progetto di annientamento della ex una volta fuori dalla galera. E se è la galera quella che avrebbe dovuto fargli cambiare idea evidentemente non c’è riuscita. Anzi, più spesso le cronache ci dicono che gli uomini usciti di galera sono anche più accaniti e vanno alla ricerca delle donne che avrebbero reso loro la vita impossibile. Non di rado gli sterminatori uccidono le ex, i nuovi compagni, le sorelle e perfino le madri delle ex.
Aggravare le pene non farebbe che ritardare comunque l’inevitabile. Inevitabile perché le istituzioni sono totalmente inutili in questo senso. Non sanno reindirizzare positivamente i progetti di vita dei detenuti e non riescono a convincerli del fatto che non sono state quelle donne ad aver loro “rovinato la vita” ma sono loro stessi ad aver rovinato la vita alle loro ex e a se stessi. Chi è causa del suo male pianga se stesso, questo dovrebbero imparare gli uomini arrestati per stalking, per stupro, per ogni tipo di violenza di genere da loro commessa.
Quello che invece servirebbe è lavorare sulla cultura, con corsi di educazione al rispetto dei genere nelle scuole, con la diffusione di campagne contro la violenza di genere, non ammettendo alcuna forma di victin blaming, di colpevolizzazione della vittima. Quante volte ancora, invece, viene data la colpa alla vittima di stupro, di stalking e perfino di femminicidio. E’ lei, sempre lei che viene ritenuta una nemica. Perché ha osato dire di No, perché ha scelto liberamente di andare per la propria strada e lasciare l’ex, perché è autonoma e rivendica il diritto di poter essere libera.
Il lavoro sulla cultura dovrebbe comprendere la possibilità che gli uomini maltrattanti si rivolgano a centri, già esistenti, che si occuperanno di loro. Servirebbe un modo per indirizzare diversamente i loro obiettivi, per aprire nuove prospettive, per distogliergli dall’idea di potersi vendicare e poi servirebbe una legittimazione assoluta nei confronti delle donne. Se non si combatte il sessismo in ogni possibile esternazione, commento, insulto, posizionamento politico, se non si pretende che chi ci rappresenta nelle istituzioni applichi l’antisessismo in ogni scelta che fa, come si può pretendere che certi uomini violenti cambino idea sui propri propositi?
L’idea di una legittimazione sociale al femminicidio non viene di certo estirpata mandando in carcere, ancora più a lungo, chi ha già commesso quel crimine. Si deve agire sulla prevenzione, devono essere presenti più luoghi di riferimento per le donne che ne hanno bisogno. Deve essere possibile per le donne che vogliono lasciare gli ex poter contare su casa e lavoro e reddito per non dover dipendere economicamente dal proprio carnefice. Deve essere posta prioritariamente una battaglia per prevenire un assassinio spinto da discriminazione di genere, altrimenti è tutto inutile.
Il femminicidio ha una radice profonda e si chiama sessismo, maschilismo. Se non si estirpa quella radice continueremo a contare i cadaveri e a vedere politici che sulla pelle delle donne assassinate tenteranno di attrarre consenso politico. Ma se le donne vengono considerate strumenti per acchiappare consenso dal popolo forcaiolo che si agita, senza però mai aver messo in discussione il proprio commento sessista lasciato l’attimo prima sotto un post qualunque, allora quelle donne saranno comunque vittime di femminicidio. Assumiamoci la responsabilità di quello che succede e date credito a chi si occupa di violenza di genere ogni volta che vi viene in mente di fare una proposta che forse fa bene al vostro portafoglio politico ma non fa bene a nessuna di noi.