Ho lavorato per qualche anno come impiegata in un gruppo politico. C’era un deputato, tutto slogan cristiani al mattino e famiglia ore pasti, che cominciò a strofinarsi su di me quasi per caso. Non avevo capito ma, poi, un giorno, mi aspettò nell’atrio, dove stava la fotocopiatrice, e approfittando del fatto che tutti fossero in pausa pranzo si avvicinò a me, mi avvinghiò e mi costrinse a sentire da vicino il suo alito di sessantenne mentre mi dava un bacio sulla fronte. Era eccitato, gioioso, io rimasi paralizzata. Non dissi nulla. Eppure ero stata in grado di difendermi in passato ma erano miei pari e non miei datori di lavoro. L’atteggiamento ambiguo e viscido di un datore di lavoro è quello che sicuramente spinge una donna molestata ad avere il terrore di denunciare. Se lo fai ti licenziano. Se non lo fai vuol dire che ci stai. Se lo fai gli altri possono dire che te la sei cercata, vestita com’eri. Se non lo fai significa che sei disponibile.
Cercai di sfuggirgli quanto possibile per continuare a fare il mio lavoro. Era stato un episodio isolato, eppure lui ammiccava e io dovevo sorridergli giocoforza quando mi rivolgeva domande davanti agli altri. Poi mi strinse sui fianchi proprio davanti agli altri, un paio di colleghi, e ancora rimasi paralizzata. I colleghi mi dissero di non restare da sola con lui e che mi avrebbero tenuta al sicuro. Uno di loro mi diede la chiave del suo ufficio e disse che potevo rinchiudermi lì se dovevo continuare fino a tardi. Ma non era davvero vita. Vi pare giusto che una donna per paura di una molestia debba nascondersi? Perché io dovevo rinchiudermi e lui poteva fare quel che voleva? Ma in quel contesto, imparai a mie spese, tutto si contratta. Quell’ufficio pieno di segretarie giovani e graziose, con tanti uomini di mezza età che facevano a gara per portarti a pranzo o a cena.
Io volevo solo fare del mio meglio. Mi piaceva partecipare ad un progetto in cui credevo. Mi piaceva dare una mano per rendere il mondo un posto migliore. E’ questo che pensi quando hai 25 anni, no? Arrivi dal tuo tempo con le assemblee studentesche, partecipi alle manifestazioni, hai la forza di marciare per chilometri per fare volantinaggio, fai di tutto per coinvolgere il mondo e poi ti ritrovi coinvolta in qualcosa che pensavi non dovesse proprio esistere in quel luogo fatato. Lo dissi ad un collega del tizio e lui mi placò. Gli parlo io, rispose. Non temere, non ti succederà nulla. Gli parlò ma, in un contesto in cui non esisteva il “prima l’antisessismo”, continuavano a lavorare e ridacchiare insieme come sempre. Io mi sentivo umiliata e sola. Pensai a tenermi il lavoro e poi chi avrebbe testimoniato se avessi presentato una denuncia? I miei colleghi non si sarebbero esposti più di tanto. In certi contesti la precarietà è la rassicurazione per l’omertà e se sgarri una volta non c’è più posto per te, questo lo sanno tutti.
Quando venne il momento del rinnovo dei contratti il mio non fu rinnovato. Tu non ci servi più. Così dissero. E’ stato un caso? Ero paranoica? Ma le donne che subiscono atteggiamenti tanto ambigui non sono sempre definite pazze e paranoiche? Non è la prima arma di difesa di chi lascia a te tutte le colpe del caso. Sei pazza o se non lo sei allora era consensuale. Basta così. I colleghi dissero che avrei potuto chiedere il rinnovo, intendevano che forse avrei dovuto strisciare di più. Ma io non ero un verme. Il tizio lo era. Presi le mie cose e andai via. Perché è così che si fa, dissi a me stessa. Piuttosto che implorare, magari scusandomi, io, per quanto avvenuto, per le voci che si erano diffuse.
Altri contratti a progetto, altri lavori, altri luoghi, ho incontrato gente perbene, padri di famiglia, persone decenti o un po’ meno ma mi è rimasto un rimpianto grande così. Il fatto di non averlo detto ad alta voce quando sarebbe servito. Per me stessa, per altre che si erano o si sarebbero ritrovate nella stessa situazione. Non l’ho fatto. Solo dopo quell’episodio io sono diventata una: MalaRazza. Poi si sorprendono del fatto che oggi lavoro in una gelateria part time.
MalaRazza
—>>>Questo è il racconto a puntate di Malarazza. Potete seguire le puntate precedenti e quelle successive a partire da QUI.
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