Articolo in lingua originale QUI. Traduzione di Yu del gruppo di lavoro Abbatto i Muri.
di Katy Sian, lettrice universitaria di sociologia presso la University di York – “Questo articolo è basato su un mio recente libro appena pubblicato intitolato: Institutional Racism in British Universities” Dottoressa di ricerca Katy Sian
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“Quindi come sta andando al lavoro?” una domanda davvero comune.
Questo è il tipo di domanda che in genere si fa per iniziare una calorosa chiacchierata tra colleghi/colleghe. Tuttavia se sei un accademico/accademica non bianca questa domanda prende una diversa piega.
Potresti rispondere alzando gli occhi dicendo ai tuoi amici quello che già sanno – il lavoro non sta andando bene per nulla. Per anni ho avuto questo tipo di conversazioni. Iniziano con quella domanda e finisce sempre allo stesso modo.
Condividiamo le storie di razzismo riconoscibili da tutt* noi. Le frustrazioni ed il fatto che non siamo sole/soli, paranoiche/paranoici o irragionevoli. Queste conversazioni mi hanno preparato mentalmente e mi hanno aiutato a sopravvivere nel mio posto di lavoro negli ultimi dodici anni. Tuttavia mentre continuavo la mia carriera accademica ho pensato a coloro che non erano in grado di condividere le loro storie, che non hanno avuto il privilegio di avere altre persone che potessero parlare per loro, che si sono sentite sole, escluse ed isolate. Quindi le fondamenta della mia ricerca hanno avuto origine da qui dato che ho cercato di rendere visibili quelle voci silenziose che non hanno avuto l’opportunità di rispondere appieno alla domanda: “allora, come va il lavoro?”
Razzismo endemico:
Il fatto è che il razzismo quotidiano è nascosto dietro quegli slogan superficiali che caratterizzano il brand di molte università inglesi. Il mito dei college liberali può spesso essere visto e pubblicizzato su brouchers, annunci di lavoro, siti web che promuovono i valori e le responsabilita dell’istituzione accademica.
Primo mito (da sfatare): le università incoraggiano l’inclusività e la diversità
Secondo mito (da sfatare): le università investono in accademici non bianchi
Terzo mito (da sfatare): le università sono (situate in un periodo) post razziale
Quarto mito (da sfatare): le università desiderano riformare il proprio curriculum
Quinto mito (da sfatare): le università si impegnano per una uguaglianza razziale
Dietro a queste false pubblicità, il messaggio reale è chiaro e semplice: il razzismo in Inghilterra è endemico. Le ricerche accademiche hanno sottolineato la presenza del razzismo per oltre un decennio. Ci sono molti dati che mostrano esplicitamente le prospettive davvero opache per gli accademici non bianchi. Per esempio, le statistiche sulle persone nere e le minoranze etniche continuano a dimostrare che gli accademici non bianchi sono marginalizzati dalle università inglesi. I dati generati dall’agenzia HESA tra il 2012 ed il 2013 hanno rivelato che su 17.880 professoresse e professori universitari, solo 85 erano neri, 950 asiatici, 365 erano considerati ‘di altra etnia’ (incluse le persone di razza mista). La maggior parte – 15.200 persone- erano bianche.
Per quel che concerne in particolare le professoresse nere, ce ne sono solo 17 in tutto il Sistema britannico. A Gennaio del 2017, per il terzo anno di seguito, le statistiche della HES mostrano che non ci sono accademici neri nelle categorie di lavori elitari come ‘direttori/direttrici’, ‘ufficiali’ e managers. Di conseguenza, gli/le accademiche non bianche hanno meno opportunità di essere selezionate, promosse rispetto alle colleghe bianche o colleghi bianchi. Inoltre è stato anche dimostrato che gli accademici non bianchi guadagnano il 26 per cento di meno rispetto ai loro colleghi bianchi.
I dati ci mostrano che è stato fatto davvero poco per incoraggiare una uguaglianza razziale nelle università britanniche. Il fatto che i managers non ammettano o accettino l’esistenza del razzismo nelle università è il preciso punto in cui risiede il problema.
Storie personali di razzismo:
Ho intervistato 20 persone di diverso livello accademico (alcune all’inizio della loro carriera e altre invece della fascia senior). Persone con contratti a tempo indeterminato e anche coloro che avevano contratti precari. Ho parlato sia con uomini che con donne che hanno un diverso background etnico e religioso e che si trovano presso una delle università del Russel Group (ossia: una rete di ventiquattro università britanniche che ricevono in totale oltre due terzi dei finanziamenti alla ricerca).
Questa ricerca riporta diverse voci (di diversi accademici). Queste persone hanno condiviso con me le loro sofferenze, la loro forza, le loro difficoltà, il loro coraggio, e la loro resistenza nei confronti del razzismo accademico. Sia in ufficio che in un bar le conversazioni sono volate. Per alcuni era come se avessero bisogno di uno spazio per parlare – una sorta di sessione terapeutica nel corso della quale hanno potuto parlare della propria esperienza in accademia.
A volte sono venute fuori delle lacrime sia a loro che a me. C’era anche un senso di perseveranza e speranza. Alcune conversazioni erano particolarmene difficili da affrontare. In qualche occasione, mi sono ritrovata a pensare alle loro esperienze ed un senso di tristezza ha preso il sopravvento dato che i nostri corpi sono stati colpiti in un modo o in un altro da diverse manifestazioni di razzismo endemico, strutturale ed istituzionale nelle nostre università.
Razzismo ‘liberale’:
Pratiche subdole di razzismo sotto forma di micro aggressioni sono spesso molto difficili (da provare) perché si manifestano in maniera diversa dall’idea comune (che abbiamo) del razzismo. Le mie interviste hanno rivelato il modo in cui quelle micro aggressioni sono correlate all’idea di razzismo liberale strutturale. Nelle università britanniche, il razzismo ‘liberale’ è forse il più dominante e praticato da accademici ed accademiche bianche. Per Eduardo Bonilla Silva, professore di sociologia presso la Duke University, il razzismo liberale o quello che lui chiama ‘razzismo daltonico (colourblind racism)’ prende forma tramite un razzismo di élite o ‘la faccia sorridente della discriminazione’.
Quello che viene mostrato è l’idea che ci sia una società post razziale che mostra la fine del razzismo. Questa idea si è radicata nelle università. L’idea che non ci siano più problemi legati al razzismo alimenta il razzismo stesso. Si manifesta attraverso la negazione del razzismo. Questo vuol dire che le storie di accademiche ed accademici non bianchi rimangono nascoste poiché gli accademici/accademiche bianch* non sono in grado di vedere se stessi come autrici/autori di razzismo.
Come una persona che ho intervistato ha detto:
“il razzismo è molto più insidioso all’università. Loro (i bianchi) non vogliono apparire ‘cattivi’. E’ questo che riesco a percepire.”
I colleghi bianchi vogliono apparire ‘carini’, ‘rispettosi’, ‘tolleranti’. Questo è stato sottolineato anche da un’altra persona:
“la gente che lavora all’università è un po’ più furba. Sono i più subdoli e loro capiscono che non possono parlare. E’ tutto istituzionalizzato. Tuttavia tu capisci che questo è anche il luogo dove le cose rimangono senza un puntuale controllo. Penso che le persone provano ad essere carine e vogliono essere carine ma hanno dei pregiudizi”
A volte è dannatamente subdolo
Coloro che hanno partecipato alla mia ricerca hanno ‘sentito’ che questo razzismo subdolo e liberale produceva dei meccanismi che fecevano sì che si manifestassero diverse forme di discriminazione che però non erano dirette e visibili ma subdole.
Un accademico mi ha detto:
“il problema del razzismo quotidiano è difficile da mostrare. Sono stato escluso diverse volte oppure sono sempre l’ultima persona ad essere consultata. A volte è dannamente subdolo (il razzismo). E’ tipico nei modi di fare, è quello che non viene detto.”
Il sentimento di alienazione, marginalità e sconforto nei confronti delle persone bianche era davvero comune (in tutte le storie). Alcune persone hanno detto che il loro nome (non anglosassone) venisse pronunciato erroneamente dalle persone bianche dello staff. C’è chi ha anche detto di essere stato scambiato per un altro accademico nero. In pratica c’è la sensazione di essere allo stesso tempo molto visibili ed invisibili.
Gli accademici bianchi sottolineano come siano tolleranti e certamente non razzisti nelle università ‘liberali’. Le persone che hanno partecipato alla mia ricerca hanno sottolineato come la mancanza delle ‘minoranze’ in accademia abbia portato a sviluppare sentimenti di alienazione e sconforto.
“mi sento sempre come un outsider in accademia come se fossi l’unica persona…(non bianca) … la mia esperienza in accademia è questa: sono un uomo nero in un mondo di bianchi. Quando vai ad una riunione realizzi immediatamente che la cosa che manca è il colore – non c’è colore… è un ambiente senza colore.”
Insegnare e decolonizzare il curriculum accademico
La classe è spesso rappresentata come uno ‘spazio protetto’ dove si scambiano idee e si incoraggiano riflessioni critiche. Sarebbe tuttavia ingenuo pensare che una classe sia libera dall’antagonismo poiché si trova all’interno di un ambiente universitario che è caratterizzato da razzismo istituzionale. La mia ricerca mostra come la classe (come luogo) possa essere un posto dove alcuni studenti bianchi possono esprimere risentimento (nei confronti di docenti non bianchi) ed un posto dove possono confrontarsi con il loro privilegio. Un partecipante mi ha detto:
“Quando ho spiegato il concetto di violenza politica uno studente bianco mi ha fatto domande islamofobiche. Ha iniziato a parlare dei bambini abusati dal profeta Muhammad e di come i musulmani credono nella mutilazione genitale. Mi stavo costantemente difendendo e difendevo la religione di milioni di persone perché davanti agli occhi degli studenti ero io l’Islam. Ho trovato queste domande davvero sconfortanti”
Tutti i miei participanti hanno detto che si sono sentiti come se non gli fosse riconosciuta autorità e credibilità da parte dei loro studenti (bianchi). Queste esperienze mostrano come il razzismo sia insidioso e come gli accademici non bianchi debbano fare più strada per provare la propria competenza.
Per esempio, un’altra persona ha ricordato come gli studenti ridessero ed alzassero gli occhi e poi uscissero dalla classe e di come questo lo facesse sentire a disagio:
“Ho iniziato a sudare e volevo solo finire (la lezione) a causa di questa esperienza orribile.”
Dalle mie interviste risulta che insegnare può essere una esperienza difficile (si possono ricevere insulti diretti o accuse). I comportamenti degli studenti nascondono una attitudine che è fondamentalmente razzista (ad i docenti non viene riconosciuta autorità e devono dimostrare la propria competenza).
L’incapacità della maggior parte degli studenti bianchi di riflettere sulla loro storia (sul proprio privilegio razziale) e le pratiche di oppressione sono sintomatiche di una mancanza di consapevolezza delle altre culture e del privilegio bianco. Le università devono quindi decolonizzare il curriculum in modo da smantellare pratiche e discorsi che riaffermano la supremazia bianca. Al momento, le università hanno una prospettiva chiusa ed occidentale che vede tutto cio che è orientale come primitivo, esotico ed inferiore.
Decolonizzare vuol dire fornire agli studenti strumenti per capire in maniera critica i dati che abbiamo a disposizione andando al di là di una narrativa eurocentrica. Decolonizzare il curriculum è vitale per trasformare le università e per sviluppare spazi non ostili ed inclusivi dove la differenza è rispettata e non denigrata.
Avanzamento di carriera
Apparentemente le università hanno applicato diverse strategie che sembrano supportare azioni positive per l’uguaglianza. Tuttavia la realtà è diversa. I miei partecipanti hanno testimoniato che non sono stati supportati per la promozione e che non hanno avuto un mentore. Inoltre si sono sentiti sminuiti e sottovalutati. Una delle mie partecipanti ha detto:
“Non ho alcun supporto per realizzare connessioni (accademiche), non ho alcun mentore ma sono piena di ore di insegnamento [non c’è quindi spazio lasciato alla ricerca che serve per ottenere riconoscimenti per fare carriera]. Non vedo un futuro dove posso avanzare di carriera. Non c’è davvero alcun supporto”
Sia la mia ricerca che la mia esperienza personale mi hanno mostrato che accademici non bianchi non hanno davvero nessuno che possa agire nei loro confronti come mentore (importante per la carriera accademica). Molto spesso incontriamo altri accademici non bianchi (informalmente) che ci offrono un aiuto in maniera non ufficiosa. Questo tipo di supporto è stato fondamentale per noi. Tuttavia è davvero triste dover cercare aiuto fuori la propria istituzione perché l’università di appartenenza non offre alcun supporto.
Le opportunità di lavoro sono spesso riservate ai candidati bianchi. L’impossibilità di accedere a network tra bianchi è una cosa molto comune.
“ci sono molte ‘regole nascoste’ che non conosco e lo trovo davvero frustrante [per ottenere delle promozioni]”
Molte persone si sono ritrovate a vedere bloccata la loro promozione mentre i colleghi bianchi andavano avanti. Un’altra persona mi ha detto:
“conosco gente che ha meno esperienza di me che ha un ruolo simile al mio ma viene pagata molto di più. Guardo quanto vengono pagati i miei colleghi bianchi e quando ricevono una promozione e penso.. ci arriverò anche io? Pensavo che si venisse promossi in base a quello che tu dai ma non è questo il caso. Dipende dall’appartenenza razziale.”
Un altro accademico ha detto:
“Dobbiamo essere eccezionali (per avere una promozione) e non rimanere nella media. Sono cosi stufo. Non c’è meritocrazia per noi”
Le pratiche discriminatorie caratterizzano le università. La meritocrazia in accademia è un mito. Il razzismo deve essere riconosciuto come un problema fondamentale. Questo vuol dire mettere in atto delle strategie che promuovano l’inclusione per le persone non bianche sia per gli accademici che per gli studenti (anche coloro che sono classificati come ‘internazionali’). Le università devono seguire queste linee guida se vogliono far sì che non vi sia razzismo e discriminazione:
- Occorre annualmente stabilire degli obiettivi per far sì che le minoranze siano rappresentate. Per far in modo che questa procedura venga formalizzata, si devono implementare dei sistemi di monitoraggio affinché le persone facenti parte delle minoranze siano assunte. Coloro che lavorano all’università devono essere in grado di poter accedere ai dati e se non si raggiungono gli obiettivi per le quote allora devono scattare delle sanzioni.
- L’uguaglianza razziale deve essere presente sulla scaletta di ogni dipartimento nelle università inglesi. Le riunioni svolte da persone senior in accademia devono riportare casi (di discriminazione) e dimostrare il lavoro che stanno mettendo in atto per monitorare il razzismo istituzionale
- I progetti che mirano a far in modo che gli accademici che fanno parte di una minoranza abbiano un mentore devono essere formalizzati e devono essere supportati da colleghi sensibili al tema che siano al 100% in grado di supportare lo sviluppo personale e la carriera di una persona
- Le commissioni per le promozioni accademiche devono considerare i problemi che riguardano l’eguaglianza quando si tratta di persone che fanno parte delle minoranze
- Una associazione/organizzazione indipendente (dall’università) deve essere in grado di poter investigare atti discriminatori
- Coloro che si trovano a gestire incarichi di rilievo (management) devono impegnarsi a decolonizzare il curriculum accademico
- Le leggi sull’uguaglianza razziale devono essere implementate e revisionate annualmente all’università
Troppo a lungo gli accademici NON bianchi sono stati assenti da queste conversazioni. Dobbiamo sentire che siamo inclusi nel dibattito e che la nostra voce è importante. L’uguaglianza razziale deve essere praticata in accademia e non solo predicata.
Dr Katy Sian
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