In questi giorni mi sono chiesta spesso quanto sia plausibile pensare alla sessualità di una donna post menopausa. Forse si tratta solo di avere un diverso approccio mentale. E per approccio mentale intendo la misura delle aspettative che una donna ha relativamente al sesso ad una determinata età.
Ci sono stati momenti in cui ho pensato che il sesso non andava bene perché era meglio quando lo facevo qualche anno fa. C’era tanta energia e tanta forza. C’era passione. C’era agilità. Il desiderio lo sentivo come qualcosa di carnale. Poi le cose hanno preso una piega diversa.
Per un po’ me la sono presa con il mio partner. Come se fosse lui aver rubato ogni particolare sensazione ed emozione. Come se mi avesse prosciugato. In realtà era un problema che vivevamo entrambi se pur da prospettive diverse. Lui prese a nutrire dei dubbi rispetto al desiderio che io provavo nei sui confronti. Ci fu una fase in cui parlavamo molto di sesso, di come avremmo potuto farlo, del piacere che ne avremmo goduto.
Alla fase chiacchiereccia si sostituì senza dubbio il silenzio. Eravamo come rassegnati. Avevamo appeso l’attrezzo al chiodo come dicevano prima i nostri nonni. Quello di cui non avevamo assolutamente tenuto conto era l’evoluzione. Crescevano i nostri corpi, crescevamo interiormente, ci stavamo evolvendo.
E questa evoluzione non era di per sé un fatto negativo; la cosa negativa era il fatto che noi ne banalizzassimo il valore. Se vivi il sesso con la nostalgia per quel che fu un tempo è chiaro che tutto quello che vivi nel presente ti sembra deludente.
È probabile che la delusione in parte sia dovuta al fatto che quel sesso non lo avevamo vissuto abbastanza, così spaventati nel mostrarci davvero. Con 1000 disagi che determinavano le nostre insicurezze. Con complessi a volte inesistenti ma che ci rendevano la vita impossibile.
Quanto è stato difficile raccontarsi prima di piacersi. Quanto tempo ci è voluto per mimetizzarci l’un l’altro. Serate intere spese alla ricerca del punto Q. Nell’attesa di una conferma da parte sua affinché io mi sentissi nel giusto, affinché lui sentisse di fare bene.
Parlandone con un’amica un giorno le dissi che il sesso in una coppia duratura viene vissuto per cicli. Ed è necessaria una distanza tra un ciclo e l’altro. Un po’ come quando hai smesso una relazione fisica molto coinvolgente con il partner e quando quella storia finisce si impiega molto tempo prima di apprezzare le diversità che altri sono disposti regalarti.
Ora considera che le diversità messe a confronto arrivano comunque dalle stesse persone, da quelle che eravamo, con tutto ciò che sapevamo fare. A quel punto bisogna azzerare tutto, o quasi, disimparando le nostre reciproche preferenze sessuali. E poi ricominciare daccapo. Senza frustrazione, senza amarezza, senza delusione.
Così mi sono resa conto del fatto che la sessualità oltre la chimica, il desiderio, l’eccitazione, può essere rielaborata. Non intendo che bisogna farsi piacere per forza una sessualità che non ci piace. Parto sempre dal presupposto che in tutto questo c’è consenso reciproco.
Se gli ingredienti per una buona sessualità fossero d’altronde semplicemente i bei lineamenti, corpi bellissimi, colori seducenti, tratti esotici e chissà che altro, a quel punto credo che nessuna buona sessualità sia destinata a durare. Anni fa parlai con una donna che viveva come seconda moglie di un uomo che era già sposato nel paese natio. Non mi interessava sapere qualcosa sulla gelosia o sulla divisione dei compiti in casa o altro. Chiesi quali fossero esattamente le preferenze sessuali di quest’uomo e se erano differenti a seconda della donna con cui faceva sesso.
La donna con un po’ di imbarazzo mi confidò che lui amava il sesso anale e che si impegnava a darle piacere come ricompensa a quella concessione. La donna disse che l’altra, la prima moglie, non amava particolarmente quella pratica e quando invece incontrò la seconda moglie lui si trovò bene così. È ovvio che su una sola testimonianza non posso basare una statistica, ricordo però che all’epoca pensai che il poligamo, così come viene dipinto dalle nostre culture, non doveva poi essere così diverso dai tanti uomini occidentali che inseguono varie relazioni sessuali per mancanza di reciprocità e per l’incapacità di far evolvere ciascuna di quelle relazioni.
Sia chiaro che non do alcun valore alla monogamia, non mi interessa come strategia relazionale. Per quel che mi riguarda io vivrei serenamente di anarchia relazionale. Ma non perché vorrei trovare altrove quel che potrebbe mancare nella relazione precedente. Ogni relazione ha un suo peso specifico e nell’esempio anarchico che vorrei descrivere non c’entra affatto la ricerca di un corpo più giovane o di una persona più bella. Le relazioni possono essere vissute con chiunque. Qualunque sia il sesso, il genere, il colore dei capelli le sfumature sulla carne. E ci sarebbe molto da esplorare in questo senso. Perciò la mia possibile versione di poligamia anarchica non c’entra affatto con quel che perdo o quel che trovo.
Anche per questo negli anni di calo nella mia vita sessuale all’interno di una relazione stabile non ho cercato qualcosa o qualcuno a fare da rimpiazzo. Volevo lui non quel che era a quel che è già, con le sue consapevolezze, con le tempie ingrigite, con il sorriso giocoso e anche con i suoi scatti d’ira.
Il sesso che abbiamo vissuto insieme resta là, dove l’abbiamo lasciato, E non possiamo portarcelo dietro. Non dobbiamo comunque rinunciare alla tenerezza per quel che è stato. E’ importante non frantumarsi di fronte alla melanconia. È fondamentale conservare i ricordi di pelle, il sapore, il tatto, la vista, l’udito. Sono i nostri ricordi e mentre li apprezziamo insieme possiamo generare nuove forme di tenerezza, nuove forme di piacere, nuovi desideri, nuovi modi per confonderci, schierarci, ridiventare complici, amarci.
Per troppo tempo gli ho detto che una volta ero bella o che una volta ero meglio. La sua risposta era sempre la stessa, a ripensarci bene, perché la maturità della sua relazione fisica con me lui l’aveva già raggiunta. Il problema sei tu, diceva. Non sono io. Sei tu che non accetti di essere cambiata e che ti aggrappi a ricordi ai quali non capisco poi perché tu dia così tanto valore.
Aveva ragione. Quale poteva essere il motivo per cui ancora stavo a rimpiangere il passato. Generalmente succede quando una persona si sente poco amata. Ma io sono molto amata. Molto più di quanto non lo fossi mai stata. Mi sento accettata, voluta. E dunque quale potrebbe essere il problema? Quello l’ho scoperto in vari anni di terapia per togliermi di dosso il disturbo da stress post-traumatico. Chi mi amava mi picchiava e i momenti in cui non mi picchiava era perché facevamo sesso. Come non confondere tutto quanto?
Perciò impiegai molto tempo per dire a me stessa che quella persona amava me, proprio me, come l’amavo io, e non dovevo fare nulla per compiacerlo. Bastava che fossi me stessa. E lì iniziava un altro rodeo tra la me che già conoscevo e quella che non conoscevo ancora.
Quando la mia vita divenne un po’ più mite allora mi fu consegnato un destino che solo in quel preciso momento sarei riuscita ad affrontare. Man mano che mi conoscevo e già mi stavo perdendo e le cose erano veloci. Troppo veloci per me. E ancora non era lui il problema. Ero io. Io e le mie decine di milioni di cicatrici interiori che rimarginate o meno restano lì e imparare a conviverci è un mio problema.
C’è stato un momento, qualche giorno fa, in cui l’ho guardato e lui ha guardato me ed è stato come se ci fossimo visti per prima volta, dopo tanto tempo. Le nostre corsie si erano incrociate, di nuovo, ed è arrivato il desiderio. Ho ritrovato il gusto, l’olfatto, la vista, il tatto, l’udito. Non è sesso fatto di rimpianti. Non c’è nostalgia di quel che era e resta caro. Non c’è voglia di rivalsa nei miei stessi confronti. C’è voglia di offrire quel che di me è nuovo e interessante. Le dita, leggere lievi come un soffio, che segnano il percorso di una vena color crepuscolo. La voce che descrive ogni nuovo neo e ogni smagliatura. Ho preso un pennarello e gli ho chiesto di colorare tutto, con sfumature diverse perché un tempo ero quasi omogenea ma ora sono un capolavoro, un’opera d’arte. E ho ricominciato a piacermi, a volermi e a volere che lui mi desiderasse. Il resto è stato semplice, naturale. Allora penso che tra un po’, quando tornerà a casa, io sarò già sdraiata e nuda, coi pennarelli al fianco, e sarà lui ad apporre una firma a questa nuova parte sessuale di me.
Meno&Pausa – Avere la patata e non sentirla – racconta fatti reali di una donna che usa questo pseudonimo per raccontarsi.