Di: LAURIE HALSE ANDERSON (15 Gennaio 2019)
Articolo in lingua originale QUI. Traduzione di Francesca e Giulia del gruppo Abbatto i Muri
Anderson è autrice di successo di numerosi libri per bambini e ragazzi, tra cui ‘Speak’ e ‘Chains’ (NdT: Nella versione italiana: ‘Speak- Le parole non dette e ‘Catene’, inedito in Italia), entrambi finalisti ai National Book Awards (NdT: Premio letterario statunitense). La sua autobiografia, SHOUT, sarà pubblicata a Marzo 2019.
Ho cominciato a visitare le scuole vent’anni fa. È stato dopo la pubblicazione del mio romanzo, ‘Speak’, che racconta la storia di un’adolescente che combatte contro le conseguenze emotive di uno stupro. Viene comunemente letto nelle scuole superiori e nei corsi di letteratura universitari, e si è dimostrato un utile trampolino di lancio per iniziare conversazioni sulla mitologia dello stupro, la violenza sessuale e il consenso.
Pensavo di aver compreso lo stupro. È successo a me quando avevo 13 anni. Immaginavo che il mio lavoro fosse quello di rappresentare un modello di sopravvivenza, e di mostrare ai lettori come parlare apertamente dopo essere stati abusati, molestati o aggrediti. Davo per scontato che avrei dovuto parlare alle ragazze.
Avevo molto da imparare.
Le ragazze mi ascoltavano. Ho fatto questi lunghi interventi, spesso nell’auditorium di scuole superiori, con migliaia di studenti seduti ed io – una sconosciuta – sul palco. Le ragazze venivano da me dopo che la campanella era suonata, in lacrime, e mi sussurravano cosa era successo a loro. Il mio compito, dopo aver ascoltato, era quello di trovare, all’interno dell’edificio, un adulto di cui si fidassero, un educatore che potesse aiutarle a trovare il supporto di cui avevano bisogno. Quella scena si è ripetuta dopo ogni singola presentazione che io abbia fatto, presso scuole superiori, scuole medie, università, librerie, biblioteche e durante conferenze in tutto il Paese: migliaia di vittime.
Ma ho anche visto qualcosa che, all’inizio, mi ha sorpreso: anche i ragazzi vogliono parlare. Alcuni vogliono una conversazione privata; altri fanno domande audaci di fronte ai loro compagni di classe. Quelli che vogliono parlarmi da soli aspettano fino a quando l’ultimo studente lascia l’auditorium oppure mi rintracciano nell’ufficio della biblioteca, dove sto pranzando. Alcuni sono stati vittime della violenza sessuale in prima persona. Molti altri sono stati presi di mira dai bulli a scuola. Altri vengono per avere consigli su situazioni che non sanno come affrontare. Ci sediamo in un angolo tranquillo. Il ragazzo, sudato, irrequieto, con gli occhi bassi, mi racconta la sua storia. A volte racconta di una ragazza, un’amica che è stata violentata. Vuole sapere qual è il modo migliore per aiutarla perché da quando è successo, lei ha iniziato a procurarsi tagli da sola, a saltare la scuola e a sballarsi per evitare il dolore. Lui vuole uccidere il ragazzo che ha fatto del male alla sua amica. Vuole essere d’aiuto ma non sa come.
E poi ci sono le mezze confessioni. Nessun ragazzo è mai uscito allo scoperto e ha ammesso con me di aver violentato qualcuno, ma alcuni hanno detto: «Potrei aver spinto le cose troppo oltre» o «Beh, eravamo ubriachi» o «Le cose sono sfuggite di mano e…lei si è rifiutata di parlarmi dopo quella notte». Non mi guardano negli occhi mentre dicono queste cose. Non sono fieri di se stessi. La loro vergogna confusa è straziante e irritante.
Dopo la mia presentazione nell’auditorium, di solito visito alcune classi per fare discussioni con gruppi più piccoli sulle tematiche del mio libro. Nelle scuole di tutto il paese, in ogni gruppo demografico immaginabile, per 20 anni, i ragazzi adolescenti mi hanno detto la stessa cosa a proposito della vittima dello stupro descritta in ‘Speak’: non credono che sia stata effettivamente violentata. Sostengono che abbia bevuto birra, abbia ballato con il suo aggressore e che, quindi, voleva sesso. Vedono la violenza di lui come un risultato sensato. Molti di loro si sono chiaramente trovati nella stessa situazione.
Lo dicono apertamente. Non si vergognano; sono malinformati. Questi ragazzi sono stati educati a credere che uno stupratore sia un cattivo ragazzo nascosto tra i cespugli con una pistola. Loro non sono quel ragazzo, credono, di conseguenza non possono essere stupratori.
Perché dovrebbero pensarla diversamente? I genitori in genere limitano le conversazioni sul sesso alla lezione «non metterla incinta». Essi apprendono cosa sia il sesso dagli amici e dai porno su internet, dove abbondano scene di sesso non consensuale. Nessuno ha mai spiegato loro le leggi, le regole. Non capiscono che il consenso deve essere consapevole, entusiasta, sobrio, continuato e dato liberamente.
E le cose vengono solo peggiorate dall’altra domanda che ricevo più spesso da questi ragazzi adolescenti in classe: perché la vittima dello stupro è così turbata? Spiegano: il sesso è durato solo per un paio di minuti, ma lei è rimasta depressa per, tipo, un anno. Non comprendono l’impatto dello stupro.
Quando un ragazzo dice queste cose, le ragazze della classe sono scioccate, e l’insegnante è inorridita. Sono sbalordite dallo scoprire quanti ragazzi non ne abbiano la minima idea. Anche io lo ero, all’inizio. Ma ho imparato rapidamente che reagire con rabbia e in maniera giudicante non aiuta nessuno. Invece, discuto degli studi che dimostrano che il 94% delle donne che vengono stuprate presentano isintomi di PTSD (Sindrome Post Traumatica da Stress).
Quasi un terzo delle vittime ha ancora quei sintomi 9 mesi dopo lo stupro e il 13% delle donne violentate tenta il suicidio. Fatti del genere hanno un impatto. Condivido con l’insegnante risorse come il sito web della Rete Nazionale di Stupro, Abuso e Incesto (RAINN) e incoraggio lo staff a dare un seguito al mio incontro con presentazioni fatte da professionisti che si occupano di salute mentale e con agenti di polizia.
Dopo la mia recente visita ad una scuola in California, un’insegnante mi ha detto che un ragazzo le si è avvicinato dopo la mia presentazione e le ha detto: ‘Questo è il tipo di cose che abbiamo bisogno di sapere, signorina’.
I ragazzi empatici che cercano modi per aiutare i sopravvissuti e i ragazzi che credono che lo stupro conti soltanto se commesso da un estraneo armato hanno molte più cose in comune di quel che possiamo pensare. Soffrono dell’assenza di informazioni. Sono alla ricerca di modelli di comportamento e leadership. Esprimono il desiderio di conoscere di più.
I ragazzi adolescenti sono affamati di conversazioni pratiche sul sesso. Vogliono essere il bravo ragazzo, il tipo affidabile e rispettabile.
Le loro intenzioni possono essere buone, ma la loro ignoranza è pericolosa. La nostra società ha iniziato a parlare un po’ più apertamente riguardo questi argomenti, ma questo non significa che essi improvvisamente abbiano tutte le informazioni necessarie.
Il movimento #metoo sta aiutando i sopravvissuti di violenza sessuale a trovare il coraggio di parlare apertamente su cosa significhi essere abusati. Molti di loro sono stati in silenzio per decenni, per alcuni di loro lo stupro o l’abuso hanno drammaticamente cambiato la direzione delle loro vite, perciò hanno sviluppato un disturbo da stress post traumatico, soffrono di ansia e depressione, faticano ad avere una relazione.
Supportare queste vittime è necessario e compassionevole, ma non riduce il numero di persone che vengono abusate.
Ogni anno ogni 98 secondi un@ persona americana è sessualmente abusata. Secondo un report del Dipartimento di Giustizia redatto nel 2000 il 96% degli aggressori sessuali denunciati è di genere maschile.
Come si può ridurre la quantità terribile di violenza sessuale in questo paese?
Parliamo con i nostri ragazzi. Genitori, membri della famiglia, educatori, membri del clero, e altri leader hanno l’opportunità e la responsabilità di offrire modelli da seguire e di insegnare il consenso da quando i bambini sono abbastanza grandi per camminare: «Non toccare nessuno senza il suo permesso.»
Scuola e famiglie dovrebbero regolarmente parlare di fatti riguardanti il corpo e il sesso con termini appropriati all’età del bambino. Leader culturali – come gli scrittori, i musicisti, produttori di film, artisti, pubblicitari, atleti professionisti, attori e social media influencers – hanno il potere di descrivere accuratamente come avviene l’abuso sessuale, fornendo informazioni che possono salvare vite.
So che è difficile, ma se non capiamo come avere queste conversazioni, sacrificheremo un’altra generazione di vittime. È tempo di non fermarci alla sola ispirazione che ci forniscono le storie di chi ha sofferto, ma di trovare il nostro coraggio per intavolare conversazioni aperte riguardo questi argomenti complessi.
Abbiamo bisogno di insegnare ai nostri ragazzi cos’è una sessualità sana. Abbiamo bisogno di essere cristallini riguardo le leggi e il codice morale che delineano il consenso. I ragazzi devono essere consapevoli che non esiste solo una ‘definizione federale‘ (valida per tutti gli Stati Uniti) del consenso, ma che i diversi Stati ne hanno una propria. Questo è particolarmente significativo per i ragazzi che hanno meno di 18 anni. Le eccezioni tra coetanei, che permettono alcuni tipi di contatto sessuale tra minori consenzienti, variano ampiamente da Stato a Stato. Il sito RAINN ha uno ‘State Law Database‘ (NdT: database delle leggi dei vari Stati) per aiutare le persone a conoscere i dettagli.
Dobbiamo fare domande ai nostri ragazzi, per permetterci di capire che cosa pensano di sapere riguardo al sesso e all’intimità. Condividere libri, film e show televisivi è un ottimo modo per iniziare queste conversazioni, discutere le scelte fatte dai personaggi apre la via alle conversazioni più personali.
Dobbiamo raccontare le nostre storie per essere sicuri che i nostri ragazzi capiscano che queste cose succedono alle persone che conoscono e amano. Dobbiamo fornire loro gli strumenti per gestire le loro relazioni in un modo positivo.
I nostri ragazzi meritano informazioni e orientamento. L’unico modo in cui possono averli è parlando con noi.
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