Quando ero piccola dovevo aiutare mia madre. Dovevo farlo io e non mio fratello. Mia madre aveva tempi difficili, si svegliava alle cinque del mattino e dormiva davvero pochissimo. Io mi svegliavo presto solo quando dovevo ripassare per una interrogazione a scuola. Quando tornavo dovevo apparecchiare, sparecchiare, lavare i piatti, poi passare la scopa, lavare il pavimento. A fine settimana c’erano le grandi pulizie da fare. Spolverare, passare la cera sui pavimenti, pulire i vetri delle finestre, lavare le scale e pulire anche il marciapiede subito avanti alla porta di ingresso. Poi potevo uscire a giocare con altre bambine se prima, però, avevo fatto tutti i compiti. Studiavo molto ed ero una bambina molto timida e insicura. Sempre monitorata a casa per via dell’ansia che mio padre ci faceva subire. Un uomo che lavorava tanto e che riusciva a mantenere la famiglia intera con vari figli. Mia madre era una casalinga e da quel che ricordo non si fermava mai. A fine orario scolastico di solito veniva a prendermi mia nonna materna. Una strega vera, di quelle che conoscono storie e arti magiche da vecchia signora cresciuta tra miti e soluzioni a varie malattie. Scacciare via i vermi, poi la febbre, curare il morbillo. C’erano gli antibiotici, certo, ma senza l’arte magica della nonna nessuno sperava in una guarigione.
Sono cresciuta tra narrazioni sul potere delle donne, grandi donne, in grado di sostenere tutta la famiglia e di non badare al proprio piacere. Mi sono sempre chiesta il perché e mi è stato detto che è così che si fa. Io non ho obbedito. Quando sono stata in grado di vivere da sola ho fatto pulizie solo quando era necessario, non ho più passato la cera, non avevo molto da fare in effetti e in ogni caso mi mancava la magia. Quella magia svanì con la morte di mia nonna e solo allora scoprii che mi aveva destinata a confessioni sui riti magici che non ebbe il tempo di confidarmi. Che peccato, dissi a me stessa.
Un gran peccato. Peccato non poter esercitare quel potere per sconfiggere l’oppressione di padri e fratelli e atteggiamenti normativi. Mio padre consegnava le chiavi della sua auto solo a mio fratello. Eppure avevo preso la patente e sapevo guidare. Quando osai prendere quell’auto per andare di fretta a fare qualcosa al ritorno tentò di strangolarmi. Mia madre svenne e rimase a letto per giorni. Era ovviamente tutta colpa mia. Sommate la colpa della disobbedienza a quella del ricatto sulla possibile morte di mia madre. A lui non bisognava dire di più. Ma se avessi avuto il potere della magia gli avrei dato una lezione. Lui che si sentiva sempre vittima, che non voleva alcun rumore attorno a lui, lui che era la causa per cui al suo ritorno dal lavoro restavamo zitti e frenavamo anche il respiro. Inutile dire che il bianco e il nero non esistono e che d’altra parte lui mostrava di essere responsabile, buono, perfino progressista in molte cose.
Pretendeva che io aiutassi mia madre ma voleva anche che completassi gli studi per rendermi economicamente indipendente. Ma se avessi avuto il potere della magia avrei fermato la sua mano pronta a schiaffeggiarmi. Avrei smesso di aver paura di lui, dei suoi passi, del suo respiro e dei suoi giudizi. Solo da adulta ho capito che una persona della quale si ha paura deve essere anche molto sola. E lui credo si sentisse sempre solo, escluso dal clan familiare che viveva senza condividere molto con lui. Un egoista, che accumulava beni per se stesso e che ai figli non pensava affatto. Dovevamo cavarcela da soli. Io ebbi modo di comprare gli occhiali da vista solo quando misi da parte abbastanza soldi e nel frattempo studiavo senza. Era tirchio, molto tirchio, ma il frigo era sempre pieno, avevamo un tetto sopra la testa nonostante le regole imposte per interpretazione degli stereotipi di genere. Io dovevo essere molto femmina e mio fratello molto maschio. Io dovevo vestire in modo sobrio e comportarmi con compostezza e mio fratello poteva fare quello che voleva. Così la vedevo allora. Poi compresi che lui non aveva chiesto di vedere sgozzare selvaggina da mangiare, non aveva chiesto di alzarsi all’alba per aiutare nel raccolto e non aveva chiesto certamente di essere l’unico a poter guidare l’auto. La mia lotta era anche la sua lotta. Così compresi che il maschilismo fa male a tutti, uomini compresi, con quella pressione affinché lui fosse virile, con la spinta costante a mostrare muscoli e conquiste, a parlare di ragazze in un modo che non gli era affatto congeniale.
Ma tutto ciò non è importante. E’ solo personal-politico che per gli altri è un affare privato. Nulla da risolvere. Ma le donne non sono mica cresciute tentando di liberarsi da contesti maschilisti. No, no. Figuriamoci. Il maschilismo non esiste e per molte persone non esiste perché lo assimilano alla nascita. Come si può pensare che sia sbagliato un comportamento che stupidamente si ritiene innato quando invece è solo frutto di una costante costruzione culturale? Ed ecco che mi tornava in mente la magia di mia nonna. Se solo avessi avuto il suo potere. Ma dopotutto lei, come altre donne della famiglia, non avevano affatto avuto vita facile. Il fatto di essere rispettate e temute non significava niente perché alla fine erano sempre e solo madri e mogli e alla mercé degli uomini e delle rispettive suocere. Oh le suocere, altro che magia. Avevano il veleno in corpo. Alla morte dei mariti vedevano i figli maschi come una risorsa e le nuore erano sempre di troppo, da disprezzare, da fare sentire in colpa. Perciò la magia non serviva a niente. All’improvviso capii che il potere sarebbe derivato soltanto dall’indipendenza economica, ma fuori la società era costruita per fare lavorare gli uomini e alle donne venivano destinati impieghi inferiori, con paga inferiore e preferibilmente part time. La società era strutturata in modo che le mogli tornassero a casa entro le due del pomeriggio e già questo era abbastanza per farle sentire in colpa. Erano maestre, impiegate comunali, poco altro. Crescendo vidi gli sforzi di donne che divennero dottoresse in medicina, avvocatesse, musiciste. Ma ancora i geometri erano solo maschi e i tecnici erano ancora maschi. E al ritorno a casa era sempre lei che doveva pulire, lavare e badare ai figli. Stereotipi sessisti: lei destinata alla cura e lui ai lavori pesanti. Ma qualcuno ha chiaro il fatto che fare la casalinga è un lavoro pesante? Cosa pensate facesse mia madre quando mancava l’acqua, per esempio. Caricava bidoni pieni da cinquanta litri per svuotarli nella vasca in cima al terrazzo. Cosa pensate che facesse quando c’era da cambiare la bombola del gas? Andava giù a prenderne una grande e piena, la sollevava sulle spalle e la portava al secondo piano dove c’era la cucina. Mio padre non era in grado di farlo, questo è certo.
Questo era il tempo che vi sarebbe stato consegnato se non fosse per le lotte che ciascuna di noi ha condotto al chiuso delle proprie case e poi in piazza, unendo le voci altrimenti solitarie di tutte quelle che mostravano sorpresa quando scoprivano che le loro storie erano quasi le stesse. Così le donne compresero di non essere sole. Abbiamo fatto senza dubbio degli errori ma abbiamo anche fatto bene, per noi stesse e per le altre. Forse questa narrazione vi sembrerà banale ma si tratta della mia vita e ve la consegno per farvi capire che i diritti si guadagnano con dolore e determinazione e la prima battaglia da vincere, difficilissima, è quella privata. Significa scollamento affettivo con i padri e le madri. Significa che la prima guerra da fare è nel privato, nella propria casa. E’ facile dedicare link e hashtag alla situazione delle donne di altri Paesi. E’ più difficile occuparsi del proprio privato. Eppure è così che le nuove generazioni potranno avere più opportunità di quante non ne abbia mai avute io. E’ la mia storia ma potrebbe essere la storia di ciascuna di voi. Non rappresenta la generalità dei fatti ma un fatto. Analizzarlo non potrà farvi male. Ve ne faccio dono. Trattatelo con rispetto.
Meno&Pausa – Avere la patata e non sentirla – racconta fatti reali di una donna che usa questo pseudonimo per raccontarsi.
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Grazie 😘
Bello. Vero. Ce ne prenderemo cura