
Chiara scrive:
Ho scoperto casualmente la pagina Birth Without Fear e me ne sono innamorata. E’ un progetto, un blog, una community, una missione, un libro.
Ho scelto di condividere questa immagine perché è quella che sento più vicina, nonostante ognuna di quelle che ho visto mi abbia suscitato un’emozione indescrivibile, perché trasmettono una forza ed una bellezza che non trovano eguali in nessun altro degli eventi umani: la nascita della vita.
Una delle citazioni dell’autrice è “Non mi importa quale tipo di parto farai.. parto in casa, naturale con epidurale, cesareo programmato.. o se partorisci da sola, nel bosco, accanto ad un cucciolo di cervo. Mi importa che tu abbia delle opzioni e che tu sia supportata e rispettata nelle tue scelte.”
Opzioni, scelte, sostegno.
Quando ho realizzato che dentro di me c’era davvero un “piccolo alieno” – perché per circa i primi cinque mesi, complice la pancia piatta continuavo a pensare <ma che? ma davvero? io?> – mi sono resa conto che “da qualche parte” sarebbe pur dovuto uscire. Concentrata com’ero, nei mesi precedenti, ad accettare l’ospite inatteso, mi era sfuggito questo dettaglio. Che improvvisamente e con gradualità sempre maggiore, diventava un macigno che occupava i miei pensieri giorno e notte. La prima cosa che ho cercato, istintivamente, su internet è stata: “parto cesareo per scelta materna”.
E qui iniziavano i problemi.
Opzioni, scelte, sostegno.
Leggevo che dipende dalla politica degli ospedali, che in molti casi occorre rivolgersi a cliniche private, che negli ospedali del sud Italia c’è una percentuale di cesarei che viola le direttive dell’OMS e che quindi la politica è di ridurli il più possibile, che spesso è un “favore” da concordare sottobanco con il proprio ginecologo se lavora anche in ospedale ma che molti sono contrari, che alcuni (pochi) ospedali accettano il certificato psichiatrico di “tocofobia”, la paura del parto naturale.
Opzioni, scelte, sostegno.
Leggevo articoli che celebravano i benefici del parto naturale ed addebitavano al cesareo ogni sorta di problema, rischi per la madre e per il bambino: è pur sempre un intervento chirurgico, la ripresa è lenta, c’è il rischio di emorragie e lesioni interne, il bambino avrà un sistema immunitario più debole, andrà male a scuola, avrà il diabete, problemi respiratori.. e via discorrendo.
Opzioni, scelte, sostegno.
Leggevo che per ridurre il dolore delle contrazioni c’è l’epidurale, che tuttavia non è garantita in ogni ospedale, e anche quando lo è, non sempre se il parto avviene di notte o nel fine settimana la si ottiene e che in ogni caso non viene effettuata se non si è prima seguito l’iter con visita anestesiologica.
Venivo a conoscenza della campagna “Basta tacere: le madri hanno voce” e del fenomeno silenzioso della violenza ostetrica, del numero spaventosamente alto di donne che in sala parto hanno subito veri e propri abusi, fisici e psicologici, da parte del personale sanitario.
Opzioni, scelte, sostegno.
Il parto naturale veniva presentato come l’unica via, mentre le altre “opzioni” come metodi a cui ricorrere per determinati motivi, indipendenti alla volontà materna.
Eppure non vedevo la logica di tutto ciò. Nel momento in cui il parto avviene in una struttura sanitaria, con una partecipazione diretta del personale medico, dovrebbe essere scontato il diritto della paziente di interagire attivamente circa le procedure a cui viene sottoposta.
Il parto naturale non è esente da rischi, dalla necessità dell’intervento medico con tecniche di induzione, monitoraggi, esami invasivi e procedure d’urgenza. Perché in un evento che richiede il ruolo attivo della donna, questa deve essere trattata in modo passivo, oggetto di un protocollo da seguire?
Io ero sicura di non volerne sapere.
Non mi è mai piaciuto, dal punto di vista ideologico, l’idea che le donne debbano partorire patendo atroci dolori e a tal proposito io e Dio ci siamo fatti da sempre innumerevoli chiacchierate. Non mi piaceva l’idea di perdere il controllo del mio corpo, io che ho una soglia del dolore bassissima. Non mi piaceva per niente l’idea che un essere umano passasse dalla mia vagina, circondata da estranei che infilano mani per controllare la dilatazione, nuda, in una sala asettica e fredda, o comunque in una situazione che vedevo come di vulnerabilità estrema. Mi terrorizzavano le possibili conseguenze fisiche, lacerazioni e punti, episiotomia e via dicendo.
Opzioni, scelte, sostegno.
Non mi piaceva la sensazione di non avere scelta, di non poter decidere del mio corpo. La ginecologa che mi stava seguendo, quando le ho parlato del mio punto di vista, con aria perplessa mi ha detto che l’ospedale in cui lei lavora non accetta assolutamente richieste del genere ed ha condito il tutto con tanta retorica su quanto sia magico partorire, anche se difficile e doloroso. Ha affiancato la freddezza del parere medico, da manuale, sul confronto tra parto naturale e parto cesareo ad una mentalità tradizionalista che non lascia spazio al concetto di autodeterminazione femminile.
Quante storie! Le donne lo fanno da sempre.
La donna è fatta per partorire, è la natura.
Quando una rimane incinta, partorire non è una scelta.
Ti è piaciuta la bicicletta, adesso pedala.
Così si capisce cosa vuol dire essere madre.
Vedrai che vedi il bambino e scordi tutto (“anche se ho camminato a gambe larghe per un mese e mi son venute emorroidi da paura” -semicit.)
Questi i concetti che mi sono sentita ripetere da chiunque a cui io abbia espresso il mio desiderio di avere un parto cesareo, che fosse il personale medico o parenti o amici o conoscenti.
Opzioni, scelte, sostegno.
L’ansia cresceva a livelli smisurati, mi sentivo in trappola. Poi per fortuna ho trovato il ginecologo giusto che ha saputo ascoltarmi. Durante la prima visita, quando gli ho chiesto se fosse possibile avere un cesareo programmato, con il suo modo di fare burbero e colloquiale al tempo stesso, ha sfoderato un vasto repertorio di battute e argomentazioni sessiste
“E le gravidanze successive?” (ma quali gravidanze successive!)
“I bambini nascono dalla vagina, perché la natura, Dio, ha stabilito così”
“Questo bambino come è entrato, così deve uscire. Cosa c’entro io?”, per intenderci.
Però poi ha ascoltato il mio punto di vista e mi ha detto che secondo la politica del suo ospedale, scegliere è diritto della partoriente. Finalmente sentivo queste parole. Ha comunque cercato di dissuadermi, con leggerezza, fino all’ultimo momento. Quando poi, vicino al termine, è subentrata una motivazione anche medica, mi sono vista consegnare finalmente il foglio per il cesareo programmato.
Ho provato un senso di sollievo immenso. Per me, per l’incertezza portata avanti fino all’ultimo, per una paura che ha condizionato negativamente il modo in cui ho vissuto questa esperienza.
Opzioni, scelte, sostegno.
Il parto è stato fantastico. La nanetta è stata tirata fuori in dieci minuti, non si è scomposta più di tanto, giusto un paio di “mueh, mueh” e così è rimasta ancora adesso. L’anestesia spinale totalmente indolore, me ne stavo distesa impegnata a cercare di grattarmi il naso perché è un classico che il prurito venga quando non ci si può grattare; la morfina è stata una fedele compagna delle prime 24 ore, sostituita poi dalla mia ostinata richiesta del Toradol ogni 12 ore. Le infermiere stronze cercavano invece di rifilarmi la tachipirina e una di loro, all’ennesima richiesta, ha commentato “queste donne, non sanno più sopportare il dolore”. Ma a me non importava.
Il giorno dopo già sgambettavo per il corridoio, gustandomi un kinder delice alla faccia della dieta leggera.
Il momento in cui ho firmato, in sala osservazione post-operatoria, il modulo del consenso informato per taglio cesareo su richiesta materna, ho provato una grande soddisfazione.
La ferita faceva male, certo, ma era un dolore che ero disposta a sopportare e la ripresa è stata rapida. La predisposizione mentale credo giochi sempre un ruolo determinante, in ogni esperienza, figuriamoci il parto dove entrano in gioco una variabile infinita di fattori individuali: la soglia del dolore, la percezione e il rapporto con il proprio corpo, il grado di sostegno del partner, il vissuto personale, se ci si sente o meno pronte a diventare madri, il livello di paura per l’incognita che si ha davanti, quanta fiducia si ha in se stesse, cosa si è disposte a sopportare. Ad esempio, mi sono ritrovata a consolare una donna nella stanza accanto che aveva avuto un cesareo ed era estremamente giù di morale per non aver potuto partorire naturalmente. Non mi importava che il suo punto di vista fosse opposto al mio, non si tratta di ideologia. Si tratta di soggettività e percezioni individuali, si tratta di empatizzare con le sensazioni e i desideri di ogni donna riguardo al parto, che possono essere tutti diversi e tutti ugualmente rispettabili, senza stabilire una gerarchia o imporre un modello di riferimento.
Opzioni, scelte, sostegno.
Ho sentito una donna sbraitare contro le ostetriche “Fatele il cesareo! Adesso!”. La figlia era in travaglio da ormai 24 ore e dopo 12 ore, in assenza di dilatazione, le avevano somministrato l’ossitocina che aveva reso le contrazioni spaventosamente violente e disumane. Non poteva avere l’analgesia perché non ne aveva fatto richiesta precedentemente. Se ne stava lì, a contorcersi su se stessa, ora dopo ora, implorando pietà e che tutto quel dolore finisse. “Signora, c’è un protocollo da rispettare. Non possiamo mica assecondare ogni capriccio!”. Questa la risposta.
Opzioni, scelte, sostegno.
Io alla fine sono riuscita ad averli ma il percorso non è stato semplice, lineare, non mi sono state date garanzie fino all’ultimo e in ogni caso ho dovuto ricorrere al privato, poiché non esiste una forma reale di tutela della partoriente da parte del sistema sanitario pubblico, tutela che includa soprattutto l’aspetto psicologico ed emotivo con cui si affrontano le varie tappe della gravidanza. Ci sono i corsi pre-parto, certo, ma spesso diventano il luogo dove ostetriche invasate convincono le donne dell’importanza di partorire con dolore, racchiudendo in quella sofferenza tutta l’essenza dell’essere donne. Roba da brividi, eppure tutto ciò è ancora una triste realtà.
“Spero che un giorno tutte le partorienti possano sentire di avere libertà di scelta, che siano supportate nelle loro decisioni e rispettate durante tutto il viaggio della gravidanza e il puerperio.
Il parto non è una competizione: possiamo celebrare e rispettare tutte le esperienze.” Birth without fear, January Harshe
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La tocofobia è riconosciuta, e la certificazione per accedere a TC programmato è erogata alle donne che ne soffrono. La scrivente, sopra, ha ottenuto quello che cercava, e per qualche motivo sente questa impellenza di parlare anche “di altro”, utilizzando parole non sue, facendo propri concetti non suoi (quelli di birth without fear). Hai deciso? Hai avuto quello che cercavi? Siamo tutti contenti, grati e lieti. Ma perchè, di grazia, devi parlare di “travagli di 24 ore” o di madri di partorienti urlanti, o di notizie di quarta e quinta mano (che ne sai della dilatazione? Perchè ne parli? Perchè hai questa informazione così precisa e delicata sullo stato dell’utero di un’altra?). Perchè le infermiere sono “stronze” col paracetamolo che evidentemente era segnato in terapia e secondo tutti gli studi è l’analgesico di scelta per il dolore post operatorio da tc? Forse, dico forse, la stronza sei tu con le tue belle anafore per aumentare il pathos?
La libertà di scelta è meravigliosa, e mi auguro sia garantita a tutte le partorienti, e mi auguro che sia una scelta informata e consapevole, sui rischi (i rischi del tc sono REALI, il fatto che a TE sia andato bene ci rende sempre lieti e gioiosi, ma non è sempre così) così come sui benefici di ogni tipo di gestione e di ogni tipo di parto. In ultimo: il fatto che una donna che non ha fatto la visita per l’epidurale non vi acceda è NORMALE E SACROSANTO. Se una struttura METTE A DISPOSIZIONE un ambulatorio a questo fine e la donna DECIDE DI NON UTILIZZARLO, quando laddove non lo facesse non sarebbe certo obbligata ad avere un cateterino nella schiena, è RESPONSABILE della sua scelta che sì, guarda-un-po’ è LIBERA E INFORMATA.
Cara arrabbiata, innanzitutto dovresti calmarti. Sai, la comunicazione quando è aggressiva, poi si traduce in argomentazioni sconclusionate come le tue. In teoria, trovi tutte le risposte alle tue domande incalzanti nel mio scritto, ma se proprio non potevi esimerti dal rispondere con questi toni, evidentemente “meriti” ulteriori delucidazioni. Cercherò di guidarti passo passo, in modo tale che la lettura e la comprensione ti sia agevole. Innanzitutto, che ti sia chiaro che ciò di cui parlo è frutto di letture, ricerche, confronti, ascolto di testimonianze tra loro opposte, riflessioni lunghe un arco di tempo di per sé lungo, reso ancora più lungo dallo stato d’animo con cui è stato affrontato. Detto ciò, mi piacerebbe tanto capire cosa vuol dire che ho fatto miei concetti che non lo sono. Ho conosciuto la pagina Birth without fear che si, come ideale di base inderogabile ha proprio il rispetto di ogni esperienza di parto e della soggettività, senza giudizio, due mesi dopo aver partorito. Avrei voluto conoscerla prima, vorrei che il libro fosse tradotto in italiano e che si diffondesse questa cultura invece che, quella, lo ripeto, delle ostetriche invasate. Proprio due settimane fa, alle poste, ho incontrato una ragazza conosciuta nei giorni della degenza. Era allegra, in forma, aveva partorito con il naturale. “F. rimarrà figlio unico”, mi ha detto, tra serio e faceto. “Tu pensa, ho seguito il corso a ***** dell’ostetrica *** **** che era molto contraria all’epidurale e durante il travaglio, anche se avevo fatto l’iter e potevo chiedere l’epidurale, così accecata dal dolore e convinta dal corso, non l’ho chiesta.” Questo è un piccolo esempio, di esperienza diretta. Più o meno nello stesso periodo, ad una conoscente sono state inferte gravi lesioni ad un organo vicino all’utero, a causa di un cesareo d’urgenza eseguito in condizioni critiche, conseguenza del modo in cui il travaglio è stato gestito (e prolungato, fino allo sfinimento, nonostante la partoriente chiedesse da tempo che venisse eseguito) Ignorata. Protocollo da rispettare. Non so chi tu sia, quale sia il tuo lavoro, ma in te, a partire da come ti firmi, vedo troppa veemenza e occhi chiusi di fronte alla realtà che descrivo, appoggiandomi anche ad una rete di donne che intende portare alla luce questi abusi, questa cultura della sofferenza come espressione suprema della femminilità, ti suggerirei a tal proposito https://www.vice.com/it/article/gye5yw/violenza-ostetrica-parto-sanita-italiana e il relativo documentario. Cosa ti dà fastidio, quindi, in poche parole, che io ne parli? Che io ne parli pur non essendo medico, che io abbia acquisito un lessico che mi permette di comprendere di cosa sto parlando e per questo arrivi anche a negare la validità delle testimonianze che riporto? Ecco, arrabbiata, se tu fossi un’ostetrica, mi augurerei di non trovarti mai davanti, soprattutto in un momento così delicato come il parto.
Io racconto una vicenda vissuta con immenso pathos, con tutto il pathos che voglio. E ringrazio chi mi ha concesso questo come spazio per poterlo fare, perché gli stereotipi che mi son sentita dire, descritti nell’articolo, e la solitudine indotta dai muri che incontravo, ancora una volta descritti con dovizia di dettagli nell’articolo, hanno avuto un peso per me, e non ho bisogno che arrivi tu, dall’alto della tua (presumo, da come ti esprimi) giovane formazione specialistica a demolire senza argomentare, urlacchiando in CAP LOCKS di tanto in tanto. Ciò che ho descritto è realmente accaduto. Il paracetamolo a me non fa niente neanche durante il ciclo. Il primo giorno post-operatorio, ho chiesto al medico se potesse segnare sulla cartella clinica il Toradol ogni 12 ore e lui ha accettato e lo ha scritto. Nonostante questo, le infermiere cercavano ogni volta (ti parlo di un totale di due giorni e mezzo) di fare storie e rifilarmi il paracetamolo. Il commento, lo ha pronunciato una infermiera, ricordo esattamente quel momento, mi ero svegliata alle quattro di notte e mi ero alzata dal letto camminando lentamente verso l’infermieria , perché il mio letto non aveva il telecomando per la chiamata e non volevo svegliare la compagna di stanza (che aveva avuto il naturale e stava messa peggio di me, io mi alzavo sola e lei chiedeva una mano a mia madre perché i punti dell’episiotomia le facevano molto male). In quel momento il taglio faceva davvero male e l’infermiera avrei dovuto prenderla a schiaffi, perché il suo lavoro è di assistere, non di esprimere battute sessiste. Chiaro?
Vuoi ancora? Prima dell’intervento, 45 minuti prima circa, dopo l’ultimo monitoraggio, stavo andando in bagno e un’ostetrica mi ferma nel corridoio. “Vieni, che intanto mettiamo il catetere”. Le ho risposto che prima volevo andare in bagno e mi ha detto “no, meglio se hai la vescica piena così si svuota lì dentro”. Io, dal basso della mia ignoranza, avevo letto tante testimonianze di donne che invitavano a chiedere di mettere il catetere dopo l’anestesia, perché altrimenti prima fa male e dà fastidio, ma visto che tutto stava andando come volevo, mi sono detta che per una volta potevo tacere. Non l’avessi mai fatto. Mi sono stesa, con le gambe larghe, nella sala parto e non appena l’ostetrica ha infilato il tubicino nell’uretra, ho sentito un bruciore allucinante e per i successivi dieci minuti mi sono trascinata per il corridoio, con la sensazione di avere la cistite insieme al bruciore interno. Orribile. Finché l’anestesista che c’era quel giorno, un angelo, non mi ha chiesto cosa avessi e una volta spiegato, ha intimato all’ostetrica di rimuoverlo subito. Le ha detto testuali parole: “Non capisco perché provocare dolore inutile. Ve lo abbiamo detto mille volte che noi lo mettiamo in un attimo dopo l’anestesia.”
Questa è la mia voce, questa è la mia testimonianza diretta. Sei arrivata qui a dirmi di tacere, sei arrivata qui, con aria da saputella a sottolineare i rischi del cesareo, come se avessi intitolato il mio post “Donne, sveglia! Tutte a partorire con il cesareo!”
Io ho detto che era la mia scelta. Ho descritto gli ostacoli e la mentalità con cui mi sono confrontata. Ho descritto come venivano minimizzati i rischi del naturale ed ingigantiti quelli del cesareo. Ho descritto cosa ho dovuto passare per ottenere il cesareo.Fosse stato come dici tu, che il certificato di tocofobia è accettato ovunque come conditio per erogare la prestazione, non avrei vissuto nulla di ciò che ho descritto. Mi sarei goduta quei mesi della gravidanza, invece di avere attacchi di panico di notte. Non credi?
Mi hai perfino dato della stronza. Io ti rispondo semplicemente che dovresti cercare di essere meno arrogante, accettare che non sei l’unica né lo è la tua categoria, se scrivi a nome di un’attività svolta a livello professionale nel settore, a potersi informare, ragionare, capire di aspetti medici. Ed io (ed altre) madri, continueremo a far sentire la nostra voce, affinché il parto possa essere un’esperienza serena e il meno dolorosa possibile (se il dolore non è davvero frutto di una scelta libera e consapevole, che rispetto, e non indotta dalla cultura di riferimento per poi pentirsene sul momento) per tutte le donne. Cari saluti.
Ciao Chiara,credimi se ti dico che ho pianto nel leggere il tuo articolo. Io ho dovuto subire 2 parti naturali perché, specialmente nella seconda gravidanza nonostante avessi cambiato ginecologo e struttura non sono riuscita a far valere i miei diritti e a poter disporre del mio corpo nel scegliere come far venire al mondo la mia bimba. Il mio primo parto è stato il giorno più brutto della mia vita nonostante mio figlio sia la cosa più importante per me, e non solo per le mie sofferenze ma anche perché ho rischiato di perderlo dopo 18 ore di travaglio disumano e nessuno che si accorgesse dei suoi giri di cordone al collo. Morale lui nato in sofferenza io trattata come carne da macello e intervento post parto per emorragia. Per anni ho avuto incubi tutte le notti, finché un giorno la mia voglia di maternità ha ribussato al mio cuore.,Ho cercato un nuovo ginecologo una nuova clinica con la speranza che dopo quattro anni in un paese “civile” le cose fossero cambiate. All’inizio mi sono concentrata sulla mia gravidanza perché abbastanza difficile, fino ai sei mesi ho sofferto di iperemesi e scialorrea totalmente invalidanti che mi hanno costretta a lasciare lavoro e vita sociale .. Quando finalmente potevo godermi i miei ultimi tre mesi di gravidanza sono sprofondata nell angoscia più totale, perché quando mi sono vista negare per la seconda volta un taglio cesareo su richiesta materna i miei incubi si sono risvegliati . Mi sono sentita dire le cose più disparate, che non si poteva sentire una donna che ha già partorito e quindi già mamma fare questi capricci, avere queste fobie, avere paura del parto, La cosa più naturale del mondo. Ho passato l’ultimo mese a piangere tutti i giorni, ad implorare il mio ginecologo a far valere un mio diritto, a non riuscire ad occuparmi più di mio figlio. Il giorno del parto è andato comunque bene rispetto al primo, la mia bimba stava benissimo io non ho avuto conseguenze, sono tornata in camera sulle mie gambe eppure non potevo fare a meno di provare un immensa frustrazione ed avere attacchi di panico per il modo in cui ero arrivata al parto .. Ancora una volta non avevo potuto disporre del mio corpo non ero riuscita a far valere un mio diritto, mi ero sentita derisa da tutto il personale quando ho cercato di spiegare il mio punto di vista. Ora la mia bimba ha 18 mesi ed anche se avevo giurato di non volere più figli..io e mio marito desidereremmo tanto un terzo ed ultimo figlio, ma purtoppo non sono disposta a subire più niente di quello subito, ne va della mia serenità mentale che pian piano ho riconquistato. Vorrei tanto essere aiutata nel realizzare il mio sogno di maternità e avere il mio riscatto di donna libera di scegliere! Sarei infinitamente grata a chi volesse aiutarmi. Sono della provincia di Salerno ma disposta anche a spostarmi semmai trovassi un Angelo disposto ad assecondarmi. Grazie Chiara e complimenti per la tua forza. Ti stimo.. Spero che il tuo articolo sia di aiuto a tutte quelle che la pensano diversamente dalle integraliste del parto naturale.