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Abuso, senso di colpa e il tanga di battaglia

Quante fra voi hanno subito un abuso e poi non hanno detto niente a nessuno per paura di essere giudicate? Scommetto che siete tantissime e io sono una di voi. Oggi una persona che conosco, al telefono, mi ha ricordato un episodio vissuto da lei. Aveva 26 anni, non era una bambina, eppure anche un’adulta, come sapete, può subire abusi. La vicenda andò così: quel giorno lei indossava un paio di pantaloni leggeri e trasparenti. Si intravedeva il tanga che usava abitualmente. Di solito altre la giudicavano esibizionista o un po’ zoccola. Non ci fosse stato di mezzo quello stigma rafforzato da donne guardiane della morale probabilmente a lei non sarebbe successo nulla.

Due ragazzi la fermarono con una scusa e dato che lei stava andando ad un appuntamento con un’amica loro pensarono bene di seguirla. La molestarono per tutta la serata fino a quando l’amica non salì in auto per andarsene e lei rimase sola a rientrare a casa sentendosi, come sempre, al sicuro. Non aveva mai avuto bisogno di una scorta e abitando nel centro storico andava quasi sempre a piedi, in special modo la sera, per godersi il profumo dell’aria priva di smog, la brezza tiepida e la città quasi deserta.

I due scherzavano e le dissero di volerla accompagnare a casa. Lei li sfanculò un paio di volte ma poi decise che la migliore strategia sarebbe stata quella di ignorarli. Quando i tizi videro che l’ingresso di casa sua era in bella vista, senza un antro buio in cui poter realizzare un’aggressione, le dissero di voler salire a casa e lei sorridendo rifiutò. Prima che lei potesse entrare la trattennero e la portarono in un posto pieno di gente ubriaca, vicino ad un pub. Lì pensavano di passare inosservati perché tanto era un continuo pomiciare e nessuno avrebbe fatto caso a loro. Quando iniziarono a toccarla lei reagì ridendo, perché era il suo modo di reagire alla paura. Loro si sentirono presi in giro e la strattonarono gettandola a terra.

Nel frattempo qualcuno faceva un video, a loro insaputa, e quel video avrebbe fatto il giro del web con commenti offensivi tutti dedicati alla “troia” che si faceva cavalcare in piazza. In realtà quando l’ebbero quasi spogliata dei pantaloni lei chiese ad alta voce che si spogliassero anche loro. Lo disse così forte che la gente si fermò a sentire. I due si sentirono in imbarazzo e se ne andarono. Il giorno dopo lei diventò la tipa in tanga che chiedeva a ben due maschi di spogliarsi per fotterla tra la folla. A nessuno venne in mente che si potesse trattare di una aggressione.

Il video arrivò fino ai suoi parenti e tra uno “svergognata” e un “ci hai messi tutti in imbarazzo” lei buttò lì altri cinque o sei vaffanculo e non ne volle parlare mai più. Non con la sua famiglia, ecco. Il video fu oggetto di feroci critiche e lei si rese conto di quanto fosse inutile cercare di spiegare. Ad ogni frase rispondevano dicendo che lei non sarebbe dovuta andare con loro e che avrebbe dovuto urlare, scappare, fare un falò per segnalazioni. Nessuno tenne conto del fatto che ciascuna reagisce alla sua maniera. Lei in un modo o nell’altro aveva seguito il suo istinto e si era salvata da un potenziale stupro. Questa era la cosa più importante.

Quella storia l’ha perseguitata per anni fino a quando le dissero che il peccato più grave che lei avesse commesso era quello di aver indossato un tanga. D’accordo, disse lei. Dunque se hai un tanga te la sei cercata? Non smise di indossarlo ma cominciò ad avere un rapporto un po’ più incerto con il proprio corpo. Oggi lei mi ha detto che ha ritrovato nel cassetto il famoso tanga di quella sera e ha deciso di indossarlo ancora. Per ricordare a se stessa di non vergognarsi di nulla e per cancellare il proprio senso di colpa. Con il suo tanga di battaglia è uscita e stasera lo indosserà ancora per restare fedele a se stessa anche in mezzo alla folla giudicante.

Volevo raccontarvi questa storia perché c’è di sicuro qualcuna di voi che oggi, ieri, in questo periodo, ha subito un abuso e si vergogna di dirlo perché c’è chi dice che la colpa è sua. Non vergognatevi di niente. Non smettete di indossare i vostri tanga. Non sostituiteli con cinture di castità. Siate voi stesse. Non lasciate che vi cancellino l’entusiasmo, il sorriso, la spavalderia. Siamo in tante e perfino quelle che vi giudicano male hanno di sicuro subito una violenza. Perciò dovremmo smettere di giudicarci a vicenda. Fatevi forti e infondete forza ad altre. Questa è la battaglia più grande che ci sia.

Meno&Pausa – Avere la patata e non sentirla – racconta fatti reali di una donna che usa questo pseudonimo per raccontarsi.

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