
Questo è un articolo di Gabriela Wiener tratto da eldiario.es (traduzione di Angela)
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Lesbiche, bisessuali, transessuali, persone non binarie come soggetti politici, non combattiamo solamente contro l’oppressione della libertà sessuale e l’eteronorma, combattiamo contro il patriarcato in tutta la sua folle violenza e il razzismo.
Commetto azioni transfobiche ogni due giorni. Mia figlia mi guarda male ogni volta che sbaglio chiamando Vania il suo amico Ivan, dando per scontato che una donna trans abbia il volto di un uomo cis. Sono stata poco sensibile alla disforia di alcuni, parlando ad esempio di mutilazioni [genitali femminili ndr], perché essere diretta è sempre stata la mia arma. Non ricordo mai di mettere un’avvertenza presentando i miei articoli, anche se parlano di temi difficili, quando invece dovrei. Forse perché io per prima mi dilanio quando, sebbene mi avvertano di non farlo, leggo gli insulti razzisti che i troll mi lasciano ogni giorno. Nessuno mi ha avvertito di ciò che sarebbe stata la vita.
Ho passato diversi giorni senza sapere come risolvere il dilemma del fatto che alcune trans – solo alcune – non mi lasciassero parlare della mia vagina o delle mie mestruazioni, dopo secoli di censure sui nostri affari, che ora si rivelano essere dei privilegi. Non entrerò nel merito della provocazione sull’oppressione, però mi è costato – e mi costa – con tutti i pochi privilegi che ho sempre sentito di avere, guardarmi come una privilegiata rispetto ad altri, ma la verità è che lo sono. E devo al transfemminismo il fatto di guardarmi così, senza concessioni. Con questo intendo dire che sono una donna cis, ma almeno non sono bianca. E con questo intendo dire che sono consapevole delle mie cazzate, perché ne ho commesse una miriade di volte e continua a succedere.
In un articolo, Alana Portero (alla quale mi riferisco sempre per curarmi le fobie di tutti i tipi) racconta di essere presente alla manifestazione dell’8 marzo, chiedendosi se si troverà bene in mezzo a tutte quelle donne bianche vestite di porpora, quando le sovviene un’immagine del passato: lei che crolla in pezzi davanti al suo psicologo dicendogli che “l’unica cosa che volevo era essere una di loro, una di quelle ragazze”. E tuttavia, in piena celebrazione dello sciopero femminista – al quale ha avuto il coraggio di andare superando i molti dubbi – lei si trova ancora una volta in mezzo alla folla sentendo “la paura della donna con la barba, la paura dell’uomo elefante”. Solo perché non è, perché non siamo esattamente come quelle ragazze. E allora l’eccitazione si trasforma in cautela e l’emozione in prudenza, perché c’è qualcosa che non è completo, come in tutte noi.
Ecco perché quando qualcuno parla in nome del femminismo per escludere, per parlare di usurpazione nel movimento; quando non si usa la parola trans al femminile e questa omissione odora da lontano di transfobia; quando ci si rivolge ad una creatura biologica chiamata donna per comandarla; quando subdolamente si veicola l’idea che il soggetto politico “donna” è in pericolo se si espande, se si diversifica, se include più soggetti, mi sento come se stessi ballando a una festa, marciando in una manifestazione, militando in un movimento in cui non mi sento a mio agio e ho poca voglia di restare, di fare lo sforzo, di andare avanti.
No, lesbiche, bisessuali, transessuali, persone non binarie come soggetti politici, non combattiamo solamente contro l’oppressione della libertà sessuale e l’eteronorma, combattiamo contro il patriarcato in tutta la sua folle violenza e il razzismo, perché è contro persone come noi che si rivolge maggiormente. Io, come Alana, penso che sia impossibile “lasciarsi trasportare da questa marea finché una donna soltanto sentirà che la strada non le appartiene o che c’è un surplus in quella comunione femminile” o mentre continuiamo a pensare che il soggetto politico del femminismo sia più Ana Botín che Alana perché la prima è cis e la seconda è trans.
Niente di meglio, allora, che usurpare e contaminare quel soggetto puro e supremo che è il femminismo, perché il femminismo non è un’identità, il femminismo non è una donna, il femminismo non è un’egemonia, il femminismo è una somma di identità per l’autentica rivoluzione. Nessuno cerca di prendere il posto di nessuno in questa lotta. Diamo un senso al femminismo una volta per tutte non come una moltitudine uniforme di ragazze che si adattano, ma come una comunità diversa che ci abbraccia.
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