In risposta al mio post sui bimbi in carcere Giulia invia questo messaggio che condivido con voi. Buona lettura!
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Ciao Eretica, ho visto che si sta parlando molto di bambini in carcere in questo momento e pur dispiacendomi moltissimo per quello che è successo a Rebibbia, vorrei fare alcune precisazioni affinché il dibattito sia più informato e più proficuo. Se tu avessi voglia di pubblicare questo messaggio te ne sarei grata 🙂
a) I bambini in carcere ci possono stare, solo fino al terzo anno di età, se lo richiede la madre, è una facoltà prevista dalla legge penitenziaria. È una misura estrema che viene attuata solo quando non ci siano altre persone che si possono prendere cura del bambino e la madre non possa accedere a misure alternative.
b) A proposito di queste, ci sono e vengono applicate: a partire dai “classici” domiciliari fino all’introduzione negli ultimi anni degli ICAM (istituti a custodia attenuata per madri detenute), che sono delle case-carcere dove lo scopo è non traumatizzare il bambino. Sono pensati per risolvere l’annoso problema delle donne che non hanno più una casa dove poter scontare i domiciliari, pur essendo madri, e sono in lenta diffusione in tutto il Paese (come al solito, tanti al Nord e pochi al Sud).
c) Le detenute per prime, in maggioranza, non vogliono avere i propri figli con sé (alcune non vogliono nemmeno che vadano ai colloqui per non dover farli entrare nel carcere!), quindi se c’è un’alternativa esterna (il padre, i famigliari, etc…) la si sfrutta.
d) Purtroppo, considerando che spesso il padre è assente o anche lui detenuto, spesso l’unico modo per assicurare al bambino quel rapporto genitoriale vitale nei primi anni di vita è farlo vivere in carcere insieme alla madre. Consideriamo che l’alternativa è l’affido ad un soggetto esterno (e spessissimo si fa, infatti).
e) Uno dei grandi problemi è anche il momento della separazione, dopo essere vissuti in simbiosi in un ambiente tossico come il carcere la separazione rischia di essere un vero e proprio trauma. Su cosa sia meglio se questo taglio netto o non avere un genitore al fianco, io sinceramente non lo so, e gli psicologi neppure.
f) Le sezioni dedicate ai bambini si chiamano “nidi” ma non sono asili. Solitamente sono senza sbarre e hanno un minimo di comfort. Di solito, per poter frequentare un asilo vero e proprio o comunque poter uscire ci sono associazioni di volontari che si occupano di prendere il bambino alla mattina e riportarlo al pomeriggio in carcere.
g) parlando di internazionalità, ricordiamoci che il problema delle sezioni nido riguarda per lo più donne straniere o rom che non hanno un domicilio in Italia.
Per concludere, vorrei dire che i bambini in carcere sono un enorme nodo irrisolto della nostra legge penitenziaria, ma è anche una misura estrema che non rappresenta la norma degli effetti della carcerazione su una famiglia. È una cosa orribile ed io stessa sono sconvolta che nel 2018 sia ancora accettabile che dei bambini vivano in carcere, ma ricordiamoci anche che non è affatto la normalità né la direzione in cui si sta muovendo il Parlamento, e che una eventuale soluzione non è affatto facile. Comunque si faccia, si rischia di compromettere lo sviluppo del bambino, che è il bene più importante da tutelare. È un tema spinoso in cui consiglio a tutti di muoversi con tutta l’umanità e il cuore di cui sono capaci.
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Condivido tutto. Grazie. Belle considerazioni