In rete si discute molto del ddl Pillon sull’affido condiviso o, per meglio dire, dei vari cambiamenti proposti a modifica del diritto di famiglia. Mi piacerebbe parlarne nel merito e senza generalizzazioni. Soprattutto mi piacerebbe discutere ridefinendo, senza ricorrere all’emergenzialità, i tempi che precedono l’eventuale discussione e approvazione di un ddl. Spero che questa variazione sul tema possa invitare ad una discussione civilmente politica.
Faccio una sintesi dello stato dell’opera. Il ddl è stato presentato e dopo deve seguire un iter passando attraverso le varie commissioni chiamate a dare un parere. All’interno delle commissioni in genere si richiamano altri ddl sul tema che sono stati presentati nella precedente e in questa legislatura. Al momento il ddl pillon è fermo alla commissione giustizia. Dalla relazione introduttiva si capisce che nell’ultima seduta della commissione giustizia il ddl è stato presentato. Poi vengono presentati anche gli altri ddl per mirare ad una sintesi che li comprenda, includendo gli emendamenti che “aggiustano” il ddl prima che venga rilasciato dalla commissione. Si prevedono audizioni parlamentari (la lista dei soggetti da ascoltare mi dicono sia già chiusa) che si rivolgono a specifici contesti e gruppi che possono offrire un parere e tra questi ovviamente ci saranno i sostenitori e le sostenitrici del ddl e la sua controparte – voglio ben sperare – con i centri antiviolenza e varie associazioni contro. Per finire: l’iter, così come la democrazia impone, dura mesi o addirittura anni e quel tempo serve per i passaggi tra senato e camera in cui altri mille emendamenti possono essere presentati dalla maggioranza e dall’opposizione, per rallentare o velocizzare la discussione.
Dopo l’approvazione degli emendamenti alla camera il ddl torna in senato e a meno che non si tratti di un decreto legge governativo, cosa che in questo caso non sarebbe giustificata, anche lì ci sarà una discussione prima di raggiungere un pari accordo sul testo e prima di avviarsi alla definitiva approvazione. Il ddl può subire uno stop durante tutti questi passaggi, cosa che è avvenuta per altri ddl simili che non hanno mai raggiunto la conclusione nelle precedenti legislature. Tutta la faccenda perciò si muove all’interno del parlamento e attorno al ddl proposto e agli emendamenti a modifica.
L’opinione pubblica non può “fermare” l’iter parlamentare ma può informare e può partecipare in senso critico affinché le proprie istanze siano accolte da deputati e senatori, deputate e senatrici, i/le quali in quanto rappresentanti del “popolo” devono accogliere e farsi tramite di quelle istanze. Manifestazioni di opposizione non generica e che si serva dell’espressione di punti chiave cui ci si oppone possono essere accolte a partecipare allo svolgimento del processo democratico.
Quindi bisogna tenere conto di questo e del perché alcuni toni che contestano tutto e niente sono perfettamente funzionali alla confusione e contrapposizione ideologica che chi presenta e promuove il ddl vuole ottenere. E’ sempre ottimo discuterne e dare notizie su questo ma personalmente preferisco critiche nel merito che forniscano un’informazione corretta.
Per chi volesse leggere il ddl completo e verificare sugli articoli proposti e sulle conseguenze sul piano pratico nelle vite delle persone il link è QUESTO.
Il punto dunque non è che si tratta di uno scontro tra padri e femministe. Le femministe hanno sempre sperato in una condivisione del lavoro di cura che riguarda i figli, così come hanno sperato in un pacifico e consensuale interesse dei padri che non possono certo sperare di mollare la responsabilità concreta ed economica alla madre. In tanti anni molte sono le donne che hanno ricevuto un bel due di picche ogni volta che chiedevano l’assegno per mantenere i figli e si può dire che sono tanti i padri che a separazione avvenuta hanno smesso di sentirsi genitori come se i figli fossero soltanto un allegato formale alla vita matrimoniale. I matrimoni finiscono ma i figli restano. Questo lo sappiamo tutti.
Il fatto di porre il contrasto su simili proposte di legge sul piano della simpatia o antipatia che nutrite nei confronti delle femministe è un mezzo utile alla propaganda ideologica e maschilista che accompagna certe affermazioni generalizzanti sul ruolo delle donne. Quel che è vero è che il ddl a me pare peggiorativo di un paio di ddl simili presentati in passato, come se la presenza della destra al governo avesse avallato un giù la maschera da parte di chi oggi non usa più eufemismi e non teme più bocciature sul tema. Siamo nel tempo del Dio Patria e Famiglia e si ricorre ai bambini per dire che l’unica famiglia accettabile è quella tradizionale facendo finta di puntare al progresso e dunque di parlare in nome degli uomini che vogliono fare i genitori anche dopo la separazione.
E’ importante sapere che la discussione va avanti da anni – a seguire la legge che istituì l’affido condiviso nel 2006 – e che d’altro canto su certe nuove istanze dei padri c’è la totale mancanza di ascolto da parte della sinistra. Ci sono padri di sinistra che non approvano né i toni né le proposte di questo ddl ma che non trovano ascolto se non a destra con la quale non vogliono avere a che fare. Se per ribadire il cambiamento nei ruoli di genere da parte di alcuni padri bisogna infilarsi in una gara a chi è più integralista e sessista allora questi preferiscono non farlo. Ma se ne parla e si parla anche di pregiudizi e stereotipi sessisti che ancora ritengono la vicinanza di un uomo ai figli intrinsecamente pericolosa e innaturale, come se la cultura non fosse cambiata, anche grazie a noi, le femministe, e come se questi uomini fossero anormali.
Dire che un uomo che si assume le proprie responsabilità nel ruolo genitoriale ha sempre un secondo fine o è un uomo eccezionale significa ribadire stereotipi su stereotipi che pure a noi dovrebbe interessare abbattere. Un uomo che si occupa della cura dei propri figli non è anormale ma è semplicemente un genitore responsabile. Lo stesso possiamo dire quando si generalizza sulle madri, ritenute – tutte – perfette e meritevoli di stima in quanto madri. Così non è e anche questo significa liberarci di stereotipi patriarcali che pretendono dalle donne un comportamento sempre materno, con istinto innato, innato un corno. Siamo persone e quel che è certo è che la generalizzazione non fa bene a nessuno. Ed è da qui che – priva di pregiudizi di sorta – parte la mia considerazione nel merito con uno sguardo puramente politico.
Ci sono delle costanti proposte dai più destrorsi che si occupano della questione:
- Mantenimento diretto per i figli (Vale a dire che i genitori si occupano delle spese quando i figli stanno in loro compagnia. Il piatto di pasta, la benzina per accompagnarli a scuola, il vestitino appena visto in vetrina. e per le spese generali? La scuola, la salute, altre mille cose. E non è che ai figli si può imporre di ammalarsi un tanto per genitore così da rendere la spartizione in spese più equa). La cosa può avere un senso tra genitori che consensualmente decidono di dividere le spese e occuparsene senza contare tutto al centesimo. Per il resto fin dalle descrizioni della proposta il pregiudizio è quello che immagina la donna separata che esige il mantenimento per i figli da parte dell’altro coniuge come una viziosa spendacciona che userà quei soldi per andare dal parrucchiere e comprare profumi per se stessa. Il fatto è che le donne sono economicamente dipendenti e che lavorano meno, spesso proprio perché madri il cui obbligo, secondo le istituzioni che definiscono il welfare, sarebbe quello di stare a casa a badare ai figli in qualità di ammortizzatrici sociali a tutto tondo. Ma non si dovrebbe neppure ribadire questa ovvietà perché non stiamo parlando del mantenimento per la ex moglie ma per i figli. Se lo Stato vuole supportare i padri poveri tanto quanto le madri allora garantisse un reddito a tutte le persone disoccupate. Quando vedremo da parte di chi propone questo ddl l’interesse per superare la povertà delle persone e il gap salariale tra generi allora forse si potrà ridiscutere delle cifre. Piuttosto discuterei del fatto che i giudici assegnino la quota di assegno, a volte, secondo la regola del mantenimento del tenore di vita pre-separazione, non tenendo conto del come e del perché separarsi sia già un impoverimento per tutti.
- Indennizzo al genitore che lascia la casa all’altro genitore cui viene affidata la custodia prevalente del figlio. Ma indennizzo da parte di chi? E come si quantifica questo in rapporto al mantenimento dei figli? Per ragionare di questo dobbiamo risalire alle informazioni diffuse a proposito di povertà dei padri. Buon senso vorrebbe che si considerassero come povere le due parti in causa. La donna che riceve l’assegnazione della casa legata all’affido non la riceve per se stessa ma perché quella è l’abitazione dei figli. Lei è la persona che se ne prende cura. Nei casi che conosco in realtà le donne e i figli tornano nella casa dei nonni materni perché semplicemente non possiedono case di proprietà. Nel mondo della precarietà infatti il concetto stesso di proprietà abitativa pare fantascienza. In altri casi conosco ex coniugi che hanno venduto la casa per dividerne il ricavato o l’hanno divisa a metà, potendolo fare, per facilitare l’equa divisione della responsabilità genitoriale senza che i figli debbano stare in luoghi a loro estranei. Ma si tratta di separazioni consensuali in cui l’affido condiviso viene ritenuto ormai come regola ovvia da applicarsi. Conosco casi in cui la questione è un po’ più complessa e genitori che pagano a metà la quota di mutuo e l’assegno per i figli hanno difficoltà a pagare un altro affitto. Per farlo o devi avere molti soldi o devi trovare riparo dai genitori, alcuni lo trovano presso le case di nuove compagne. Pregiudizio di partenza che non spinge ad una discussione seria sul reddito delle parti è quello che sottende ad una ingiusta condivisione della casa assegnata con un nuovo convivente o un nuovo marito. Se un altro va a vivere con la ex moglie verrebbe meno l’interesse dei minori e prevarrebbe quello della donna. E poi, cavolo, un altro sta in casa mia con la mia ex moglie e i miei figli? Lì è uno scontro culturale che si traduce in anni di litigi e contrapposizioni e non è una legge che può metterci un punto fissando regole rigide. Per l’indennizzo? Da quel che so quando si chiede l’assegno di mantenimento per i figli si quantifica il reddito che somma quello dell’ex coniuge e della nuova o del nuovo compagno. Se questo vale per fare aumentare la cifra dell’assegno di mantenimento da una parte allora vale per chiedere meno dall’altra. In tutto ciò, infatti, credo si possa considerare la quota di reddito che il nuovo convivente o marito aggiunge alla disponibilità economica del nucleo familiare. O no?
- Divisione equa del tempo da passare con i figli. Chi presenta il ddl dice che l’affido condiviso vale solo come titolo sulla carta ma che in realtà i figli restano con le madri mentre i padri devono pietire il tempo da trascorrere con loro. Noi sappiamo che l’affido condiviso viene applicato sulla maggioranza dei casi e quei casi derivano da separazioni consensuali. Nelle separazioni non consensuali è più difficile che si raggiunga un accordo tra le parti e in special modo in situazioni violente credo sia ingiusto che l’obbligo cancelli l’ovvia esigenza di distanza tra parti offese e parti abusanti. Questo viene ribadito da sempre. Che la cultura, proprio quella che viene promossa da chi presenta il ddl, imponga solo alle madri di assumere diligentemente il ruolo di cura nei confronti dei figli è vero. Dovrebbe saperlo proprio chi parte da una visione anacronistica dei ruoli familiari e ogni anno scende in piazza per l’ennesimo family day. La maggior parte delle volte i figli vengono dati in custodia alle madri? Ma non l’abbiamo chiesto noi e se è per questo noi non abbiamo neppure chiesto che in Italia il congedo parentale escluda i padri. Dipende dalla disponibilità e dalle circostanze e se ci sono state, e sono certa che sia così, decisioni sbagliate per motivi sbagliati le prime ad opporci siamo noi. Da quel che so le donne sono anche un bel po’ stanche di non potersi concedere un po’ di tempo libero e il fatto di vedersi mollare i figli deriva da un costrutto patriarcale che divide gli obblighi per sesso. Dunque partiamo dal fatto che siamo d’accordo sull’equa divisione del tempo da passare con i figli. Dopo l’allattamento, o un po’ dopo secondo alcune, quei bambini possono essere accuditi anche dagli uomini ma tutto ciò può essere stabilito solo di caso in caso e anche qui la rigidità dell’obbligo è sbagliata. E’ vero che ci sono madri che fanno a tira e molla per non far vedere i figli ai padri ma è anche vero che ci sono padri che dei figli non vogliono saperne. Vorrei sapere come risolveranno nel caso in cui sia proprio un padre a dire di non poter o non volere tenere i figli per tre giorni a settimana. In quel caso vorrò vedere come affronteranno le centinaia di denunce nei confronti dei padri inadempienti.
- Obbligo di mediazione familiare nelle separazioni. La mediazione può soccorrere casi in cui si parla di lievi conflitti ma non di violenze. Il fatto che la giustizia corra su più binari, quella civile e quella penale, in caso di denuncia per violenza, non aiuta perché da un lato si chiede che si tenga conto di fatti non supportati ancora da sentenze di condanna e dall’altra si definiscono come false tutte le accuse usate come pretesto per ottenere benefici durante le separazioni. Uno di quei benefici sarebbe l’affido dei figli impedendo al genitore denunciato di vederli se non, spesso, in strutture protette e in presenza di rappresentanti istituzionali. Si sappia che quando i genitori vanno avanti con denunce reciproche il giudice diventa genitore dei genitori e toglie la custodia a padre e madre per darla ai servizi sociali con residenza presso uno dei genitori o, nei casi peggiori, presso case famiglia. La mediazione non può aiutare in questo e non aiuta affatto il pregiudizio che tutte le denunce siano false. Può esserci qualcuna che tira acqua al proprio mulino come può esserci qualche abusante che racconti delle balle assolute. Quando ci sono violenze in famiglia, cosa che può valere anche se l’abusante è la madre, l’allontanamento è la scelta più sana che salva la vita alle persone offese. In caso di persecuzione abbiamo il reato di stalking, ma se la persecuzione avviene con il pretesto di vedere i figli e le donne non hanno credibilità quando la denunciano come fa una donna che subisce violenza a sopravvivere? E come fanno i figli a crescere lontani dalla paura? In tutta questa confusione – anche qui – l’obbligo suona come autoritario che fa parte di un ddl autoritario che assume come innocenti tutti gli uomini proprio come in altri casi si definiscono innocenti tutte le donne. Ribaltare lo stereotipo carnefice/vittima non elimina di certo lo stereotipo stesso. E’ sessista in ogni caso e si pretende di assegnare alle donne totale presunzione di colpevolezza.
- Dall’obbligo di mediare il non mediabile a quello di togliere credibilità a tutti i figli minorenni qualora esprimessero volontà di non vedere uno dei genitori. Nella volontà di chi consegna il ddl, fin dalla relazione introduttiva, ci si riferisce chiaramente al padre. In diverse occasioni ho tentato di approfondire la pretesa di attribuire – sempre – alla madre la responsabilità di alienare il figlio ovvero di far crescere in lui l’odio nei confronti del padre. La questione si pone nel caso in cui lei denunci il padre per abusi vari. Lo spettro della Pas, malattia inesistente mai presa in considerazione dalla comunità medica internazionale salvo poche e precise voci, aleggia sulla capacità di scelta della donna denunciante e dei figli che rifiutano un genitore perché violento. In breve: lei denuncia lui, lui in tribunale dice che lei è malata di Pas e sta alienando il figlio e il tribunale sentenzia su una diagnosi fatta tra avvocati e nelle aule di tribunale. Tutto deciso in ogni contesto meno che in quello medico che sarebbe, nel caso si trattasse davvero di una malattia, chiamato a diagnosticarla. L’altro esempio: il figlio non vuole vedere il genitore X anche se il tribunale ha deciso che il genitore ha diritto a X visite per stare con il figlio. Lo scontro avviene tra la madre affidataria, che si fa rappresentante della volontà del figlio, e il padre che pretende comunque di stare con il bambino. In questo caso chi crede alla Pas come malattia decide che il figlio non dice mai la verità perché in realtà sarebbe stato influenzato dalla madre alienante. In ogni circostanza quel che si vuol credere è che ogni madre che denuncia e ogni figlio che rifiuta di stare con il padre sono malati e dicono il falso. Questo sottende alla necessità di nominare la Pas a premessa di un ddl che esclude a priori la possibilità che madre e figlio stiano realmente dicendo la verità. Dalla discussione nell’ambiente di alcuni psicologi e psicologhe si coglie la possibilità che esista una forma di alienazione possibile che vede scontrarsi i genitori in un tira e molla di vedi e non vedi i figli quando dico io senza tenere conto dell’interesse dei figli. Il giudice dovrebbe ascoltare il minore senza esigere una diagnosi sulla quale si baserà la sentenza. In tempi di perizie psichiatriche e psicologiche che valgono come prova provata però sarebbe troppo pretendere questo. Di quanto l’incidenza delle opinioni psicoqualcosa producano conseguenze devastanti nei procedimenti giudiziari bisognerebbe discutere a lungo ma, volendo tenere conto dell’esistenza di genitori che giocano a rimpiattino sul come farsi del male reciprocamente facendo del male al figlio e volendo tenere conto del fatto che ogni forma di abuso fisico e psicologico, economico eccetera, è già compreso nella definizione del reato di maltrattamento, non si capisce perché alla voce violenze si debba aggiungere quella di Pas. Il maltrattamento si definisce nel costante danno fisico e psicologico che consegue ad un comportamento violento da parte della figura abusante. Un danno consegue anche dalla violenza assistita ovvero quella violenza che viene esercitata sul bambino che assiste a scene di violenza tra genitori. Il danno fisico e psicologico dovrebbe essere osservato dalla comunità tutta: assistenti sociali, scuola, istituzioni vari, tribunale dei minori. Se un bambino socializza, è allegro, va bene a scuola, non mostra segni di quella violenza: nessuno dovrebbe dire che vive in un contesto violento. Poi: è più violento vedere padre e madre in situazioni violente o lo è il negargli credibilità, ascolto e possibilità di scelta? A me pare sia la stessa cosa. I bambini sono persone e per fortuna non si intendono più come allegati genitoriali. Hanno proprie necessità e non si può decidere di obbligarli a fare nulla dall’alto di obblighi piene di pregiudizi. Lo dico in ogni caso, che la figura violenta sia il padre o la madre. Che si tratti di ex coniugi etero o di famiglie omogenitoriali delle quali Pillon dice malissimo. Dalla pretesa di sentenziare che i figli stanno meglio con un padre e una madre a quella di stabilire che i figli di famiglie omogenitoriali non avranno mai un futuro degno di questo nome a me pare che si arrivi alla stessa conclusione. I figli dunque devono stare con chi dirà il giudice sulla base di una legge autoritaria che mina profondamente il diritto dei bambini di ricevere ascolto e attenzioni prive di pregiudizi di ogni tipo.
Io non nego che le situazioni sopracitate non subiscano semplificazioni e generalizzazioni. Nessun pregiudizio o odio nei confronti degli uomini, come qualcuno dice di chi esprime critiche nei confronti di proposte autoritarie come questa. Nessuna idea di un matriarcato che debba sostituire il patriarcato. Penso solo che ogni situazione meriti considerazioni più complesse che si basino sul buon senso. In questo ddl di buon senso non ne vedo affatto. Trovo che l’obbligo in ogni situazione mal si concilia con una discussione serena che dovrebbe valere per tutte le proposte di reali cambiamenti. Quello proposto non è un cambiamento o se lo è si tratta di un cambiamento in peggio. Chi mi conosce e sa cosa ho scritto in precedenza sull’argomento non può dire che io abbia dei pregiudizi. Mi pare invece che questo ddl rafforzi ogni possibile pregiudizio nei confronti delle donne e dunque per questo trovo che si tratti di un disegno delle nostre vite future tratteggiato con un pennello misogino.
In basso alcune screen che mostrino quel che ho detto in premessa sui tempi dell’iter di discussione del ddl. Potete trovare tutto sul sito del senato.it cercando ddl n. 735 (il resto lo trovate di conseguenza passando dalla lettura del testo a quello della discussione e dell’iter).
Ps: Sul tema ho discusso (in vari post relativi ai vari capitoli) con chi aveva redatto un precedente ddl attorno allo stessa tema.
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Grazie davvero a chi vorrà contribuire alla causa!
La delegittimazione del parere dei figli minori mi sembra assurda – in una separazione, i figli si ritrovano loro malgrado come parte da tutelare… e il loro parere non conta?
Che alcune (cattive) madri cerchino di dividere il padre dai figli è vero… ma per ognuna di esse c’è almeno una madre che al contrario si vede accusata dai figli di “aver fatto scappare papà”; quindi, di che parliamo?
Spero proprio che l’iter legislativo sia meditato per bene, e che l’opinione pubblica si mobiliti.