Autodeterminazione, R-Esistenze, Raccontare il femminismo

Raccontare il femminismo: di madre in figlia. L’obbligo di adempiere alle convenzioni sociali

5° capitolo

Di madre in figlia. L’obbligo di adempiere alle convenzioni sociali

 

Lo so, è un titolo lungo ma non ho neppure provato a sintetizzarlo perché penso che contenga moltissimi significati e molte verità che è importante ricordare per capire che non siamo arrivate al punto in cui siamo senza eroine coraggiose e vittime del divieto a poter scegliere.

C’è stato un tempo in cui le donne venivano promesse in spose fin da bambine. In alcune culture succede ancora e nei contesti che conosciamo avviene più di quanto non pensiate. Era la madre ad addestrare la figlia affinché fosse pronta per un buon matrimonio. Non da sola naturalmente. Il dettato patriarcale ha sempre assoldato cecchine, sorveglianti che agivano per conto terzi e in maniera sadica e masochista anche per proprio conto.

Madri convinte di fare il bene delle figlie o di poter ben interpretare i loro sogni e le loro ambizioni. Dai matrimoni combinati per interesse all’alternativa dell’amore tra poveri che costava un prezzo alto. Lo ius primae noctis era solo un modo per esibire la proprietà del patriarca dominatore sul corpo delle donne. Tutte le donne.

Ribellarsi a quella cultura significava dover perdere il sostegno delle famiglie, essere relegate alla vita monacale, essere uccise. Quando il dovere è diventato un po’ meno implicito sono iniziate le persecuzioni familiari e sociali. La legge non imponeva più quelle condizioni ma c’era una madre che comunque aspirava a dare in moglie la propria figlia ad un uomo facoltoso giacché dell’indipendenza delle donne se ne fregavano. Non si combatteva la legge classista che relegava le donne alla non-scelta. Si pensava che obbligare la figlia a sposare un buon partito fosse il meglio per assicurarle un futuro agiato. Figlie prostituite per realizzare le ambizioni delle madri, tenutarie dell’onore e del disonore.

Il conflitto generazionale ha fatto molto ma molto hanno fatto, inaspettatamente, anche alcuni padri, unici in certe famiglie a dedicare ascolto alle figlie perché potevano permetterselo. Potevano permettersi il lusso di essere comprensivi e buoni. C’erano già le donne ad eseguire l’imposizione culturale. Le sorveglianti della verginità delle figlie al punto da fregarsene di quel che le rendesse veramente felici.

Preferivano un nobile o un benestante idiota, violento, al quale dedicavano sempre frasi come “imparerai ad amarlo” (macché) e seguiva l’immancabile “così come ho fatto io”. Tale madre, tale figlia. L’obbligo a consumare il matrimonio, perfino di fronte a tutt*, giusto per accertarsi che quel matrimonio fosse un patto irrevocabile.

In certi casi c’erano gentiluomini che rapivano le donzelle (da lì viene la fuitina), le stupravano e le obbligavano al matrimonio. Mancava assolutamente la considerazione di quel che era consenso e violenza. La donna non era la matriarca che decideva ma quella che in ogni caso diventava veicolo della cultura patriarcale immaginando che la manipolazione e le strategie subdole fossero l’unica arma per continuare a vivere.

Spesso erano proprio le madri ad impedire la realizzazione dei desideri delle figlie. Lo facevano in maniera così violenta tanto da meritarsi, in maniera per nulla obiettiva e con omissioni e messaggi distorti, il titolo di streghe malefiche e cattive della storia. I padri erano assenti. I padri erano di nobili sentimenti e senza una macchia morale. Eppure le donne non potevano decidere nulla salvo il menù di casa. Le leggi erano fatte dagli uomini. Lo sono ancora per certi versi. Alle donne spettava il compito di eseguirle.

La storia non ha mai fatto realmente giustizia di quello che molte donne hanno patito. Conosciamo Franca Viola perché corrisponde al tempo della rivoluzione delle donne e del femminismo riconosciuto, diversamente non conosceremmo neppure lei. Non hanno un nome, neppure un volto. Sono decine di migliaia di donne ( e più) che hanno subito e che poco a poco hanno contemplato l’idea di recuperare memoria del proprio coraggio e della propria ribellione.

Donne sacrificate sull’altare del potere, eppure parliamo diversamente di quello che gli uomini di potere fanno alle donne proprio oggi. Donne alle quali è stato impedito di studiare, che dovevano sposarsi prima di raggiungere l’età in cui venivano chiamate zitelle. Secoli e secoli di schiavitù, dove i corpi delle donne venivano considerati oggetti mentre la libertà di scelta sessuale e riproduttiva era totalmente negata e anzi punita. Quante donne sono morte ammazzate per aver espresso disappunto e rabbia quando venivano stuprate nel letto coniugale o fuori da esse. Quante donne sono state sacrificate sull’altare della totale libertà degli uomini di fare a noi tutto quello che volevano.

Le donne vivevano per gli uomini, grazie agli uomini, per bontà degli uomini, per loro gentile concessione. Ed è in questo contesto che svilupparono strategie di salvezza. Dal sangue di capra a macchiare il lenzuolo poi steso sul balcone, per attestare la verginità delle figlie, all’aborto clandestino. Dagli avvelenamenti, le uccisioni, i suicidi, per liberarsi di uomini malvagi e violenti, per riprendersi un pezzettino di vita in quel clima di totale oppressione, ai sotterfugi privati per poter sopravvivere alle scelte altrui.

La ribellione costò sangue e vittime di quella guerra feroce che si compiva e ancora si compie sui corpi delle donne, sui ruoli imposti, quello di cura e quello riproduttivo. Fino ad arrivare ad oggi, lungo una strada realizzata su quei corpi massacrati. Alle donne non è mai mancato nulla, dicono i detrattori del femminismo. Le donne dominano il mondo, affermano i maschilisti, quelli che non vogliono perdere il privilegio maschile.

Ma se le donne che denunciano di aver subito molestie nei luoghi di lavoro perdono quello stesso lavoro e se le donne che vorrebbero solo essere autonome, indipendenti, mai costrette a fare nulla che non hanno realmente scelto, vengono comunque punite, ancora, con epiteti offensivi e con la marginalizzazione fatta di boicottaggi e biechi ostruzionismi, non si può certo dire che il femminismo non sia più utile.

Il femminismo non è quello che storicamente viene narrato da wikipedia, ma esiste da sempre ed è quello realizzato nei secoli da tante donne che ci hanno sollevato dallo stato di schiavitù e ci hanno permesso di poter scegliere oggi chi amare, cosa fare nella vita, con le costrizioni classiste, sessiste e razziste che comunque siamo costrette a sopportare. Il femminismo degli anni sessanta ha semplicemente (si fa per dire) interrotto l’isolamento delle singole combattenti e dato voce, in termini collettivi, a quel personal politico fatto di consapevolezza e sofferenza. Affinché nessuna si sentisse più sola. Affinché quel “personale” diventasse “politico”.

Oggi possiamo dire che le donne non sono vittime nel senso cavalieresco del termine. Non sono le donzelle da salvare per pompare l’ego ai patriarchi. Le donne sono state e ancora sono combattenti in una guerra tra le guerre, realizzata tra le mura di casa, nell’omertà obbligata e nella morte per via di leggi patriarcali.

Fino al momento in cui anche solo una persona non sarà libera di poter esprimere il proprio consenso avremo bisogno del femminismo. Ecco perché serve guardare con attenzione ad ogni segnale di regresso. Alle affermazioni di gente che continua a sperare di controllare ancora i nostri corpi e i nostri uteri, i nostri destini autodeterminati e la nostra voce.

Qualunque cosa pensiate in ogni caso del femminismo, anche quando dite di odiare il femminismo, dovrete ricordare che potete affermare quel che pensate perché altre donne ve l’hanno permesso. Qualunque cosa pensiate di noi, di tutt* noi che combattiamo ancora, è importante che vi riprendiate la vostra voce e che continuate a parlare, a denunciare, a raccontare tutto quel che subite. Ma proprio tutto.

Al prossimo capitolo.

Leggi anche:

Il Capitolo uno su stereotipi di genere e privilegi

Il Capitolo due su cultura dello stupro vs consenso

Il Capitolo tre su ricatto sessuale e omertà

Il Capitolo quattro su Raccontare il femminismo: diritto all’istruzione, stereotipi e molestie

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1 pensiero su “Raccontare il femminismo: di madre in figlia. L’obbligo di adempiere alle convenzioni sociali”

  1. e solo quando le donne smetteranno di alimentare stereotipi violentando e maleducando le loro figlie ed i loro figli potremmo dirci libere da ogno forma di sopruso. La rivoluzione siamo noi.

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