Parlando ancora di femminismo e di analisi dei fenomeni violenti utile a individuare forme di prevenzione attraverso la critica alla cultura che li genera.
3° capitolo
Combattere contro omertà e ricatto sessuale
Mi fermo a ragionare di prigioni culturali che di sicuro non fanno bene alle ragazze vittime di violenze. Per chi intende obiettare l’esistenza stessa della violenza di genere la risposta è no: la violenza di genere esiste e si manifesta in vari modi. Si tratta di limitazioni che le ragazze subiscono tutti i giorni, addomesticate come sono da editoriali pittoreschi e morbosi che parlano della “furbizia” o del “degrado” come precondizioni di un fenomeno violento che in realtà riguarda tutte.
Violenza di genere è quella che subisci quando ti viene imposto di rispettare norme e ruoli che ti sono stati attribuiti affinché tu sia fedele agli stereotipi sessisti che parlano di tutte noi. Riassumendo, cosa ci si aspetta da una ragazza? Che sia gentile, dedita ai lavori di cura, priva di aggressività, volta a consegnare il controllo del proprio corpo e della propria vita ad un protettore – padre, fratello, istituzione repressiva – dunque un oggetto sessuale che non avrebbe il diritto di scegliere e dire Si o No perché considerata accessorio per aiutare l’eccitazione maschile.
L’adolescenza è il momento in cui una ragazza, a seconda di quale forma di educazione le sia stata impartita, non ha ben chiaro quello che le succede e non sa come risolversi e uscire fuori da situazioni violente. Uno degli elementi più gravi che contribuiscono a mantenere un regime di costrizioni per le ragazze vittime di violenze è l’omertà. Se fin da bambina ti dicono che tutto dipende dal tuo comportamento e da adolescente passano il tempo a spiegarti che sei tu ad avere la colpa di ogni violenza subita, chiaramente cresci in una situazione di ricatto dalla quale è complesso tirarsi fuori.
Ricordo qualche tempo fa inchieste in cui si stigmatizzava il nuovo atteggiamento delle adolescenti. Veniva posto l’accento sull’abbigliamento, il trucco, i tatuaggi, i pearcing, la sfrontatezza e si finiva per dire che la loro sessualità, in base agli elementi analizzati, doveva sicuramente essere vissuta in conseguenza di un decadimento di valori. Di contro si diceva che ad essere vittime di queste tredicenni in shorts o minigonna erano i poveri ragazzini che venivano intimiditi e contemporaneamente provocati. Si commentavano notizie su molestie, violenze, avvenute nei bagni della scuola o al di fuori di essa, giustificando branchi di stupratori che senza provare un solo grammo di empatia reagivano con sorpresa di fronte alle accuse di stupro e/o femminicidio. Eppure i corpi delle vittime erano lì, vivi o purtroppo morti, e tutto ciò che leggevi nei quotidiani erano informazioni sulla disperazione delle famiglie degli stupratori e su come la vita di questi ragazzi fosse stata rovinata per colpa di quelle zoccolette.
Il femminismo esiste per affermare il diritto di essere quel che vuoi e abbigliarti, truccarti, mostrarti come vuoi. Il femminismo esiste per darti una chiave di lettura critica che incoraggia ciascuna di voi a non subire in silenzio quel che subite. Non dovete subire quando a molestarvi o stuprarvi è vostro padre, vostro zio, vostro fratello, un vostro “amico”, un’ex, un vicino di casa (la maggior parte delle violenze viene inflitta in famiglia e da conoscenti) così come non dovete subire quando le violenze arrivano da un estraneo.
Il luogo per eccellenza in cui la violenza viene negata è la famiglia. Molte ragazze non sono supportate dalle madri quando confessano di essere state molestate dal padre. Molte non sono supportate dalle famiglie perché vige l’omertà e certe cose non bisogna dirle. L’omertà ha successo quando si gioca la carta della colpa e i sensi di colpa aumentano sensibilmente quando c’è di mezzo un affetto familiare o il ricatto della distruzione della famiglia. D’altronde se denunci e sei minorenne la prima cosa che ti succede è che ti strappano agli affetti familiari, quando tua madre non sta dalla tua parte. Così finisci in una casa famiglia e poi chissà. Senza un reddito e senza prospettive non ti resta che seguire le indicazioni di tua madre a sua volta assuefatta al dolore e alla violenza. Perciò serve sostenere case rifugio indipendenti che ti ospitano e ti danno prospettive decisamente migliori.
All’esterno l’omertà agisce ancora tramite il ricatto che assume altre forme. Una di esse è il revenge porn. Ex fidanzati, conoscenti, amanti virtuali usano il ricatto per ottenere favori sessuali. Se hai tredici anni e qualcuno ha una tua foto in cui mostri il seno o sei completamente nuda o dedita ad un rapporto sessuale è molto difficile cercare e trovare supporto perché prima di questo quel che ti preoccupa, grazie alla cultura sessista che ti opprime, è:
- non farlo sapere ai genitori
- non farlo sapere ai tuoi amici
- non farti rovinare la reputazione rispetto al mondo intero
Quando tutto ciò che ti preoccupa è il fatto di mantenere un’apparenza casta e asessuata, imposta da chi ti giudica, perché una ragazza per male risulta peggiore dalla ragazza perbene, la violenza subita passa in secondo piano. Se sottovaluti i vari gradi di cyberbullismo e cyberstalking e ti ritrovi ad essere messa alla gogna grazie alla pubblicazione di una tua foto o di un tuo video, la vergogna e il senso di colpa può portarti all’isolamento, all’autolesionismo, alla depressione e infine al suicidio. L’omertà, quella cosa che ti impedisce di prendere coscienza della tua condizione di vittima che mai dovrà provare senso di colpa o vergogna, commisurata ai vari livelli di ricatto emotivo, sessuale ed esistenziale, diverrà la tua prigione dalla quale sarà difficile uscire.
Il femminismo costituisce una chiara impronta culturale che ti sostiene e ti aiuta innanzitutto a prendere coscienza del fatto che tu hai diritto di vivere la tua sessualità come e quando vuoi così come hai il diritto di dire no e non può esserci stupratore che tenga che possa ricattarti e convincerti a stare con lui nonostante il tuo rifiuto. E’ lui che dovrà provare “vergogna”, lui dovrà preoccuparsi del fatto che divulgare foto di una minorenne è un reato (pedopornografia), sebbene sia sostenuto dalla cultura patriarcale che ha generato un tale livello di assenza di empatia. Contenere la tua capacità di essere forte e reattiva, di resistere alle minacce e allo stalking è quanto serve affinché tutto resti com’è. Tu in una prigione nella quale ti convinci che il fatto che una persona a cui tenevi può essere un carnefice sia normale e lui a pensare di essere legittimato a fare quel che fai perché mai consapevole del fatto che è lui a dover temere una denuncia.
Una delle spinte al silenzio arriva da altre ragazze che partecipano al gioco della divisione tra ragazza perbene (io no, non lo farei mai) e quella per male. Un’arma potente contro questo tipo di reazione – e non solo – arriva ancora dal femminismo e dalle pratiche di comunicazione che decostruiscono e sovvertono linguaggi e codici culturali sessisti (si, non basta dire che il femminismo sia uno strumento di liberazione – racconterò dei modi, delle pratiche scelte affinché si raggiunga quel fine).
Possiamo riappropriarci delle parole che costituiscono uno stigma negativo: troia, puttana, cagna. Ebbene si: sono puttana, cagna, troia e nel mio linguaggio vuol dire che sono indipendente, selvaggia, reattiva e non mi faccio piegare da nessuno. Si, sono una ragazza “per male” e di essere “per bene” non me ne frega niente. Non mi interessa aderire alla norma moralista e censoria dell’innocenza e del mantenimento in vita di una verginità della quale non so cosa farmene. Ho il diritto di vivere la mia sessualità consapevole e consensuale e tu non hai alcun diritto a ricattarmi, indurre sensi di colpa, imporre il tuo “desiderio” se io ti dico “No”. Io sono una persona e non un oggetto. Sono persona e non una schiava.
Se ci pensiamo bene l’omertà, l’obbligo, il senso di colpa e il ricatto sono gli elementi chiave usati da qualunque schiavista per farti restare in catene, tant’è che qualcuna finisce per vedere nel suicidio l’unico modo per uscirne. Ma il suicidio non è libertà, e non mi riferisco al concetto di “peccato” usato dalla chiesa cattolica. Il suicidio, in queste condizioni, è solo la riprova del fatto che in un determinato momento la solitudine ti sta massacrando e non vedi nessun’altra via d’uscita. Come potresti, d’altronde, se ti senti totalmente accerchiata da giudizi che tolgono valore al tuo essere persona.
Il valore non sta nello schiavizzare ma nella tua resistenza. Tu che resisti e, se puoi, reagisci sei una persona di valore e non lui che ti minaccia, ti ricatta e ti violenta. Lo stupro è un’espressione di potere che implica volontà di assoggettamento e oggettivazione del tuo corpo. Quel piccolo individuo che pensa di poter avere il controllo sul tuo corpo e sulla tua vita in realtà non ha alcun potere. Di sicuro non ha il potere di rovinare la tua vita perché basta poco per disinnescare la bomba che vuol fare esplodere.
Grazie al femminismo sappiamo che per riprendere il controllo della nostra vita dobbiamo raccontare e dire a voce alta quello che stiamo subendo. Ecco perché in passato sono stati realizzati dei punti di ascolto che puntualmente le forze conservatrici, quelle che vogliono ancora assoggettare il tuo volere all’uomo, tentano di far chiudere. Ma per ciascun posto a rischio possiamo contare sulla presenza di molte persone solidali che si parlano l’un l’altra per ricordare costantemente che quando subisci una violenza rompere il silenzio può voler dire salvare la tua vita.
Non lasciatevi condizionare da chi, ancora oggi, purtroppo, continua a negare l’esistenza della violenza di genere. In realtà si tratta di uno dei tanti modi per indebolire la tua forza reattiva. Lo stesso vale quando ti dicono che il femminismo, oramai, di fronte a cotanta “evidente” (davvero?) evoluzione mentale e culturale, non avrebbe più alcun ruolo, al punto che molte persone parlano di femminismo senza conoscere nulla di esso o riconoscendone la forza che guardano con terrore. Il terrore per il cambiamento e per la fine di un mondo in cui alle donne viene destinato soltanto un luogo buio colmo di paura.
Perciò, care amiche e sorelle, non abbiate paura. Noi vi aiuteremo a disinnescare l’ordigno che ogni violento tiene in mano. Vi ascolteremo e vi aiuteremo a capire che non siete e non sarete mai sole e che noi vi crediamo. Vi crediamo e siamo con voi.
E anche questo è femminismo.
Leggi anche:
Il Capitolo uno su stereotipi di genere e privilegi
Il Capitolo due su cultura dello stupro vs consenso
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