Antiautoritarismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Culture, Precarietà, R-Esistenze, Recensioni, Sessualità, Violenza

The Deuce – La via del porno: la serie televisiva che descrive la complessità del fenomeno

The Deuce – La via del porno, è una serie televisiva prodotta dalla HBO e interpretata magistralmente da James Franco e da donne spettacolari che rendono perfettamente il clima del periodo. Tra tutte si distingue Maggie Gyllenhaal nel ruolo di Candy, una prostituta di strada che negli anni settanta rifiuta il pappone e si autogestisce non senza rischi e ritorsioni.

Si racconta il passaggio tra il tempo della prostituzione di strada, con tanto di papponi a guadagnare sulla pelle delle prostitute, poi la pulizia del distretto da parte della polizia per rispondere a regole di decoro e morale pubblica, dunque l’apertura di bordelli gestiti in particolare dalla mafia e il principio della cinematografia porno in seguito a sentenze che soprattutto in California e nello stato di New York diedero mano libera ai produttori e registi di quella attività.

La serie è realistica e cruda, con la descrizione delle trappole per le donne che erano costrette a prostituirsi, dai papponi o per guadagnare e mantenere figli e famiglie, e con l’inizio di una frequente contaminazione di quella realtà da donne e persone che, seppur in modo paternalistico, in nome dei diritti delle donne, si impegnavano a solidarizzare con le prostitute. E’ ancora lontano il tempo in cui le donne potranno autogestirsi, lavorare insieme sulla base di compensi più remunerativi stabiliti da loro stesse.

La contaminazione avveniva in luoghi nei quali prostitute e papponi erano solit* stazionare, per bere o mangiare, senza discriminazioni di sorta. Era la strada in cui i locali mischiavano persone di diversi tipi. Donne che avevano le idee ben chiare su quel che sarebbe stata la propria vita. Gay che subivano allora retate al pari delle prostitute di strada, ancora in nome della morale pubblica. Donne che lavoravano da sole, indossando divise sexy per locali notturni e poi donne come Candy che fin dal principio compresero l’importanza e la differenza che c’era tra prostituzione di strada e pornografia. Nella prima il rischio, quando ancora non si conoscevano gli effetti del contagio dell’HIV, per la salute era enorme. Nella seconda le donne poterono iniziare ad autogestirsi, a marginalizzare il ruolo dei protettori che furono via via sempre più esclusi dall’attività commerciale in cambio di luoghi chiusi in cui le donne guadagnavano il prezzo della propria attività e in cui i gestori guadagnavano il prezzo della vendita di alcolici e dell’ingresso.

Non si trattava di un miglioramento essenziale ma dell’inizio di una modesta, seppur ancora molto costrittiva, emancipazione. Lo sfruttamento delle donne cambiò aspetto. Nessuna era costretta a ricevere clienti che danneggiavano la loro salute e nessuna era costretta a girare film porno in una situazione che veniva favorita dalla polizia e dalla morale pubblica. Portate via dalle strade e chiuse in bordelli. Cattiva condizione, ancora sfruttamento dal quale alcune sfuggivano, e impossibilità di patteggiare il prezzo pieno che le donne avrebbero voluto fissare per la vendita delle proprie prestazioni sessuali.

Candy è il personaggio più libero e che guarda al porno come una via d’uscita dalla prostituzione e come possibilità di autogestione. Inizia a patto di poter imparare tutto sul modo in cui si gira un film. Inserisce stimoli sensuali e tratti che potevano essere molto più soddisfacenti per le donne che interpretavano diversi ruoli e che guardavano quei film. Lei impara, poco a poco, al punto da rendersi indispensabile e da poter sognare una attività propria nella quale lei avrebbe potuto diventare regista, attrice, scenografa e ancora altro.

Siamo lontane dal momento in cui negli anni ottanta si formarono i sindacati in difesa delle prostitute e di chiunque girasse film porno. Il porno includeva film con gay e poco a poco comprese anche immagini di rapporti lesbici sebbene realizzati a beneficio del piacere dell’uomo. Lontane dal momento in cui si realizzò il concetto di sex working che comprendeva la vendita di servizi sessuali, il porno e in seguito sempre più attività connesse al lavoro sessuale (foto in pose hard, attività performativa in web cam e così via).

[Mantra abolizionista: ho detto che voglio salvare le sex workers. Non ho mai detto che voglio ascoltarle]
Le femministe degli anni settanta non ebbero alcun ruolo nel fabbricare lo stigma morale e demonizzante nei confronti delle prostitute o delle attrici porno. Il movimento non escludeva quelle donne ma, anzi, le comprendeva affinché esser parlassero per se stesse. Solo negli anni ottanta, quando la soggettività delle sex workers   le rese più visibili, soggetti politici dunque, quando alcune donne non vollero più lavorare nei bordelli ma iniziarono a pensare ad attività autogestite da lavoratrici sessuali, iniziò la colpevolizzazione pubblica nei loro confronti. Se libere non interessavano a nessuno e così da parte delle persone interessate vi fu l’appoggio alle richieste di censura e di criminalizzazione di prostitute e attrici porno. Quel che disturbò moltissimo fu la divulgazione dei porno gay che mettevano in discussione la morale etero/mafiosa, con i suoi “non valori” sulla famiglia e il diritto di ritenere possibile che un marito andasse a puttane, purché fossero donne. Spinsero affinché le donne tornassero a farsi “proteggere” e dunque controllare. Spinsero per la censura dei film gay e il femminismo radicale, ovvero quello della seconda ondata, supportando la censura e la repressione della polizia e dei giudici furono funzionali a dame della carità e ai maschilisti che all’epoca ottennero la censura per i film gay “in nome della difesa delle donne” (oggi lo chiameremmo pink washing). Non ascoltarono le richieste dei/delle sex workers e stabilirono che la lotta contro il maschilismo doveva avere priorità vittimizzando le sex workers senza rimorso per quelle realtà e per quei soggetti che furono criminalizzati.

Religiosi e conservatori, con l’aiuto e la legittimazione delle femministe radicali, favorirono dunque la marginalizzazione delle sex workers pur non potendo fare molto quando i/le pornografi, anni dopo, ottennero dopo strenue lotte legali, sentenze positive sulla base della libertà di espressione sulla quale era ed è fondata la costituzione degli stato uniti d’america.

Nacque il femminismo della terza ondata che univa rivendicazioni sex positive, del movimento gay, lesbico, bisex, trans e queer, assieme al femminismo afroamericano e postcoloniale senza dimenticare il cyberfemminismo di Hannah Haraway (donne con cybercorpi e la critica al fine capitalista nel togliere ad esse soggettività – oggi chiameremmo tutto ciò biocapitalismo e biopotere). La fine degli anni ottanta fu piena di lotte all’interno e all’esterno del movimento femminista. L’inclusione delle lesbiche, poi delle trans, iniziando con gli anni novanta a supportare le lotte dei/delle sex workers ascoltando e dando importanza alle loro rivendicazioni. Fu un’altra epoca durante la quale le femministe si combatterono l’un l’altra nella sex feminist wars. Rimasero divise, le conservatrici e le autodeterminate che davano importanza ai soggetti senza sovradeterminarli. Divise anche rispetto al fatto che le femministe radicali ebbero un atteggiamento di totale chiusura nei confronti delle persone trans (Terf).

Convinte della divisione binaria uomo/donna, perché così in natura, insultarono le persone trans definendole uomini infiltrati dal patriarcato nel movimento femminista e pericolose perché con il diritto ad andare nei bagni delle donne avrebbero messo a punto stupri e il loro disegno complottista contro le donne. Lo sono tutt’ora, divise. Abolizioniste, antiporno, prese come sono a chiedere la protezione dello Stato, a legittimare la repressione istituzionale in nome delle donne che mai avevano chiesto di essere rappresentate da loro giacché volevano autorappresentarsi. Donne che  combattono contro altre donne, per delegittimarne le rivendicazioni, in nome di una morale da “femmina” che vorrebbe le donne tutte vittime e con l’idea di una sessualità consensuale solo aderente all’ideale delle femministe radicali (o comitato per la purezza dell’orgasmo)

Tornando al tema principale: la serie televisiva descrive il primo periodo di quella battaglia in nome della autodeterminazione delle donne, dei gay, delle lesbiche, delle persone trans, della liberazione delle persone nere e delle lotte antisessiste all’interno della stessa comunità nera. Vi suggerisco, se potete, di vederlo. In inglese o in italiano su Sky. Poi diteci che ne pensate.

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