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Differenza tra analisi politica femminista e insulti delle abolizioniste

Temi relativi al conflitto interno al movimento femminista, con una divisione insanabile dovuta alla totale intolleranza delle abolizioniste, alias femministe della differenza che corrispondono alle femministe radicali statunitensi.

Cos’è l’abolizionista? Una donna che pretende di sapere quale donna sia vittima e quale no. Nega che esistano sex workers che scelgono di vendere prestazioni sessuali. Confonde la tratta con il sex working per scelta. Sovradetermina le sex workers che si autorappresentano e che rivendicano regolarizzazione vs sfruttamento. Si sostituisce alla loro voce. Non le interpella e se osano intervenire in un dibattito pubblico (vedi Ombre Rosse a Roma. Qui in un intervento nell’assemblea di Non Una di Meno) le tacciano di violenza. Se poi osano partecipare ad una manifestazione femminista non ne parliamo. Non sia mai che la purezza del femminismo possa essere intaccata.

Un’abolizionista è quella che tiranneggia il web stabilendo che solo lei sa quel che è bene per tutte le donne del mondo.

La abolizionista è anche antiporno. Tutte le attrici porno sarebbero vittime di sfruttamento  e giammai a loro sarebbe data libertà di scelta. Il dibattito è vecchio e risale agli anni ’80. Negli Stati Uniti si chiamava Feminist Sex War. Le femministe radicali si opponevano alle femministe sex positive. Anzi le RadFem decisero che oltre al loro femminismo, quello degli anni ottanta, c’è il nulla: no sex positive, no femminismo afro americano, no femminismo postcoloniale, no transfemminismo, nofemminismo intersezionale. Le antiporno pretesero censure, per la salvezza delle donne, e non ascoltarono affatto le rivendicazioni delle attrici porno.

L’antiporno è anche AntiGpa, attualmente propensa a dare ai gay degli omopatriarchi, accusandoli di un disegno che sarebbe finalizzato alla scomparsa della donna e del ruolo materno (cit: femministe della differenza). L’antigpa nega che esistano donne che scelgono di fare figli per coppie gay. Non le consultano, non danno loro voce e rinviano il dibattito allo sfruttamento delle donne indiane. Il dibattito ha avuto inizio, in maniera strumentale, quando in Italia si votò la legge sulle unioni gay, facendo saltare la step child adoption, ovvero la possibilità per il genitore non biologico di una coppia gay o lesbica, di adottare il figlio dell’altro affinché abbia maggiori tutele e anche il diritto ad un genitore che si prenda cura di lui quando viene a mancare il genitore biologico della coppia. Serve anche a garantire una posizione di uguaglianza in caso di separazione, quando il buon senso dice che del bambino dovrebbero occuparsi entrambi ed entrambi hanno il dovere di essere genitori.

In Italia non si discute di una legge che renda legale la Gpa. Anzi ci sono problemi perfino quando si parla di procreazione medicalmente assistita eterologa, quando il seme o l’ovulo donato non appartiene a nessuno dei due membri della coppia. Questo è un impedimento, risolto a suon di sentenze che risolvono i divieti ingiusti della legge, per le coppie che non possono avere figli. Dunque seguendo il diktat cattolico omofobo integralista tu puoi avere figli solo se puoi e se non puoi chi se ne frega. L’aderenza degli argomenti delle femministe antigpa con quelli dei cattolici integralisti si riassume in una espressione omofobica che riguarda anche i cosiddetti vertici di Arci lesbica (vedi anche recente attacco a Michela Murgia), ancora oggetto di polemiche per gli appelli nei quali moltissime lesbiche della stessa organizzazione non si riconoscono affatto.

Allora definiamo quello che le abolizioniste, antiporno, antigpa, considererebbero come fosse un dibattito politico.

A confronto una femminista sex positive, intersezionale e una abolizionista il cui esempio di tolleranza potete trovare fra le pagine facebook che sono il loro territorio di delirio colmo di slut shaming, offese orripilanti e negazione della soggettività delle stesse donne al cui posto loro pretendono di parlare.

Crociata abolizionista e analisi femminista a supporto di tutte le donne, qualunque sia la libera scelta che loro fanno.

Dunque.

Il sex working per scelta è rappresentato da organizzazioni internazionali, sindacati, che rivendicano riconoscimento, di avere voce in capitolo sulla risoluzione delle violenze da loro subite, di ottenere diritti lavorativi, sanitari e maggiore sicurezza invece che la persecuzione della quale sono oggetto “in nome delle vittime di tratta”. La legge italiana contempla già la lotta contro lo sfruttamento e in favore delle vittime di tratta ma il Comitato per la difesa dei diritti civili delle prostitute, creato negli anni ottanta da Carla Corso e Pia Covre e capitanato attualmente da Pia Covre, rivendica, a nome delle persone che ne fanno parte, la possibilità di poter agire legalmente senza rischiare accuse penali né la violenza esercitata da loro attraverso le ordinanze di sindaci sceriffo che le multano in nome del rispetto del decoro. Quel che attualmente accade è che le sex workers pagano le tasse, pur non avendo possibilità di attivare una partita iva, senza ottenere diritti. In quanto alle donne migranti, giacché l’abolizionismo viaggia di pari passo alle leggi razziste contro i/le migranti, nel caso in cui potessero dichiarare la propria professione avrebbero diritto al permesso di soggiorno, cosa che ai razzisti non piace, e così sganciarsi più facilmente dagli sfruttatori. Le ordinanze cittadine, che sono spesso emesse da sindaci razzisti, sono realizzate anche per perseguitare le migranti nel tentativo di rimpatriarle. Ciò è dimostrato dal fatto che molte vittime di tratta, straniere, pur avendo collaborato e denunciato, finiscono nei Cie e dopo mesi di prigionia vengono deportate.

L’abolizionista dice: organizzazioni pro sex working? Tutti papponi. Comitato per la difesa dei diritti civili delle prostitute: papponi. Femministe che danno voce alle sex workers: pappone, sfruttatrici e che mandassero le figlie a fare le puttane. Tu: pagata da organizzazioni di papponi, guadagni sulla pelle delle donne e altre calunnie di questo tipo. Le sex workers che scelgono di vendere servizi sessuali non esistono. Noi siamo femministe per bene e tu per male. Femministe sante e femministe puttane. Slut shaming in quantità. Fai il culo al patriarcato e ai maschilisti. Non hai diritto di parlare. Il tuo non è femminismo, solo il mio lo è. Bla bla anticapitalista orientato a dare legittimazione ad argomenti che partono da una differenza di classe. Io donna bianca e borghese e privilegiata decido quel che è bene per la migrante, per la sex workers eccetera. Il termine sex work è inventato da papponi (in realtà è inventato dalle sex workers per distinguere tra stigma e autodefinizione, per esigere diritti che riguardano il lavoro). Devi tacere. Ti faccio segnalare la pagina per farti tacere. Sei pericolosa. Sei venduta. Sei una troia del patriarcato.

Il porno per scelta è nominato e rivendicato da donne attrici e registe, produttrici e artiste che non hanno problemi a mostrare il proprio corpo e fino a quando la loro non viene considerata professione restano vittime di giudizi delle femministe radicali (dworkin e mckinnon, anni ’80 stati uniti) che le giudicano tutte vittime, pensano che la penetrazione sia stupro, hanno problemi ad accettare il bdsm per scelta, considerano che le donne dovrebbero fare sesso solo per amore, considerano tutti gli uomini naturalmente violenti, urge la censura per i film porno, per le immagini osè, perfino per le pubblicità in cui le donne sono attrici di spot per intimo perché, a loro avviso, il porno è quello che legittima lo stupro. L’uomo che si fa una sega vedendo un porno immediatamente andrà fuori a stuprare una donna. Di donne che si masturbano vedendo porno non ne esistono. Le attrici porno che si autodeterminano non sono femministe. Lo stesso cosidetto porno femminismo fa schifo. Ovviamente non è una libera scelta perché le donne sono spinte allo sfruttamento in quanto povere. Dissero le donne bianche, privilegiate, borghesi, dall’alto del loro giudizio morale sulle professioni che le donne dovrebbero svolgere e altre che no. La censura antiporno voluta dalle redfeminist negli stati uniti legittimò la persecuzione dei gay, di lesbiche e trans. Più recentemente, in inghilterra, la censura ha colpito lo squirting, il cunnilingus by sitting, ovvero atti sessuali che prevedono il piacere della donna. Dall’inghilterra arriva anche una forte spinta abolizionista della prostituzione, addetta al marketing del modello nordico ovvero il modello che prevede la criminalizzazione contro il cliente e la persecuzione delle sex workers attiviste. Jasmin, per esempio, perché attivista sex workers ha perso la custodia dei figli data al marito violento. Lei è stata uccisa, quando ha finalmente ottenuto la custodia dei figli, dall’ex marito e non da un cliente. La penalizzazione per il cliente diventa boicottaggio al sex working e criminalizza le sex workers che non fanno delazione denunciando i clienti. Assieme a questo esempio di industria del salvataggio, condito di repressione e stigmatizzazione della sex workers per scelta, arriva anche la censura agli annunci delle sex workers e la maggiore spinta ad agire in clandestinità, marginalizzate, non alla luce del sole, con maggiore possibilità di sfruttamento e violenza.

Illustrazione di Moira Murphy Fonte: QUI

 

L’antiporno dice: papponi, pappona, mandaci tua figlia, nessuna donna farebbe sesso senza sentimento, se lavorano per soldi vadano a lavare le scale, facciano le commesse, lavori degni, sono colpevoli di mercificare il proprio corpo e anche quello delle altre. Sono complici e dunque responsabili delle violenze subite da altre donne. Il sesso sporco non è per donne. Alle donne non piace. A tutte le donne non piace. Sono tutte balle. Le uniche verità sono le nostre. Le attrici porno dunque sono anch’esse troie del patriarcato e, dall’alto del mio giudizio di bianca, privilegiata, moralista, dico che sono schiave del capitale. E la commessa non lo è? La badante? La donna delle pulizie? La cameriera? Il punto è che una donna può guadagnare facendo tutto tranne usando la vagina perché è santa, intoccabile e il sesso porno a me, fondamentalmente non piace e dunque non deve piacere neppure a te. L’uomo deve essere considerato colpevole quando guarda un porno. Va rieducato in maniera “femminista”, il mio femminismo, e deve sentirsi in colpa se gli si rizza. Pazienza. Tagliamoglielo. E Ricuciamo già che ci siamo anche la vagina, infibulando la clitoride, perché anche lei si eccita e quindi avrebbe introiettato un modello maschile. Non maschilista ma maschile, attenzione. Perché maschio è violenza. Femmina è pace interiore, salvezza delle vittime e autorizzata a dettare il verbo alle altre donne. Tutte le donne. Considerando tutto anche la trans non va considerata una donna, questa cosa del gender deve finire, la donna-donna è quella che appartiene alla fascia biologicamente protetta. La trans, dissero femministe radicali e lo dicono ancora, è una infiltrata del patriarcato che vorrebbe partecipare alle iniziative femministe per stuprare le donne nei bagni che pretendono di usare. La trans, anzi, il trans, non è femmina. Codesto tipo di femminista è chiamata Terf: femminista radicale trans escludente. La abolizionista è definita swerf: colei che non vuole le sex workers nel movimento femminista. Femministe radicali sex workers escludenti.

La Gpa, ovvero gestazione per altri, quando realizzata per sfruttamento è ovvio che vada proibita. La gpa per scelta, quella secondo cui non si paga la prestazione della donna, salvo il rimborso spese mediche come è in canada, per esempio, è una cosa che avviene da secoli. La donna che fa un figlio per la sorella. La donna che fa un figlio per l’amica. Esiste la donna che fa un figlio per la coppia di amici gay, così come avviene che ci sia un gay che presta il seme per un figlio di una coppia lesbica. Dare voce a chi sceglie non è possibile. L’antigpa dice che non esiste. Ancora diffonde una narrazione tossica che parla di vittime,  prima di parlare di possibilità di ottenere reddito, per le donne che hanno cittadinanza o quelle straniere, per favorire la migrazione senza che vi sia sfruttamento, saltando a piè pari la questione dell’anticapitalismo non come attività di veto su alcune professioni o scelte delle donne ma come prevenzione. Non repressione ma ascolto dei soggetti coinvolti, senza ritenere di essere arrogantemente le sole ad avere ragione. L’anticapitalismo che non parla di diritto nel lavoro, qualunque esso sia, non è anticapitalista tanto quanto non lo era chi copriva l’attività di sfruttamento dicendo che l’operaio non era oggetto di discussione perché non avrebbe dovuto svolgere quel lavoro. Lavorare o non lavorare? La bianca borghese può permettersi di non farlo. Quella che deve lavorare per vivere invece no. La libertà di scelta è prevista in ogni professione originata dallo sfruttamento del ruolo di cura, delle braccia, delle gambe, della testa delle persone, e si lotta per raggiungere diritti maggiori nel lavoro e non proibendo quel lavoro. Se qualcuna è vittima tutt* siamo vittime. Se la persona viene considerata soggetto autodeterminato dunque non vuole considerarsi vittima, perché le donne non sono tutte vittime, e giudicarle vittime toglie loro soggettività, possibilità di autorappresentazione, impedimento alla presa di parola, perché non saranno più le dame di carità bianche e borghesi a doverle rappresentare, se la persona prende diritto di parola è lei che dirà di cosa ha bisogno. Diversamente è come quando il prete o la borghese ritiene di salvare una straniera togliendola dalla strada per farle farle fare la serva o la badante. Le donne scelgono e non sempre scelgono quello che vuoi tu.

L’abolizionista dice: pappona, sfruttatrice, omopatriarcato, gay che rubano uteri, la mamma è sempre la mamma e la mamma è solo chi partorisce. Gli uomini non sanno fare i padri. I figli sono delle madri. Venduta. Troia del patriarcato e simili.

Rimane, e non è la sola, la questione del velo. Le donne possono scegliere di indossarlo ma pensare di vietarlo per salvare le donne è neocolonialismo, parte integrante del razzismo praticato in nome del brand Donna e Violenza sulle donne. Alle donne alle quali viene tolta voce e soggettività spetta solo il ruolo di vittima affidata alle istituzioni patriarcali, i loro corpi non gli appartengono ma sono corpi di stato, oggetti attraverso i quali le antivelo realizzano paternalismo e politica di protezione patriarcale. Lo stato che si dichiara protettore, cui i nostri corpi sono consegnati in nome di tutela e controllo che sarebbe a nostro beneficio, diventa quello che ci controlla e che ha potere di veto sulle nostre scelte: un tempo le donne che abortivano venivano considerate criminali. Non potevano scegliere sul proprio corpo. Poi passò il concetto che parla di corpo mio e lo gestisco io. Ora le radfem dicono che il corpo è mio ma non è mio. Dunque di chi è? Delle radfem. Posso dire che non voglio essere rappresentata da altre che non sia me stessa? Pare di no.

Dunque, in conclusione, anche se ci sarebbe tanto altro di cui parlare, dire che ascoltare le voci di donne che vanno considerati soggetti e non oggetti sulle quali svolgere politiche securitarie e repressive, in nome di una morale puttanofoba e sessuofoba, non sarebbe femminismo è solo un altro modo di togliere soggettività a chi la pensa in modo diverso, ad altre donne che fanno scelte che alle radfem non piacciono. Significa praticare negazionismo, violenza sui corpi delle donne le quali non possono decidere per se stesse. Misoginia composita e fascista praticata con imposizioni autoritarie o delegittimazione delle altre. Noi non esistiamo. Perché non ci dichiariamo vittime. Perché parliamo di violenza di genere dando riconoscimento alla parola dell’altra, di quella che se definita solo vittima sarà chiamata soltanto ad essere rappresentata dallo stato maschilista, paternalista e patriarcale. Le sex workers non esistono (qui trovate materiale che contraddice questa opinione). Dunque quando si raccontano sarebbe tutto falso. Ed è ancora negazione della loro soggettività ed esistenza. Le attrici porno non esistono. Le donne che prestano l’utero non esistono perché le donne esistono solo in quanto vittime e chi si colloca a fianco, anzi, in rappresentanza della vittima acquista potere: di decidere la scaletta e l’ordine del giorno femminista. Di  imporre un pensiero unico femminista. Di fare squadrismo violento con le armate del bene che praticano inquisizione e roghi e cacce alle streghe e gogne e cyberbullismo e istigazione all’odio su facebook. Di poter semplificare e insultare perché la donna schierata con la “vittima” può giustificare la rabbia, la censura, la repressione, la violenza priva di argomenti. La libertà di dire che tu non esisti e che se pretendi di esistere allora sei colpevole. Logica binaria uomo/donna, santa/puttana, vera vittima/colpevole.

Noi siamo così: né vittime né colpevoli. Siamo femministe. Ci prendiamo la libertà di dire no alle crociate di presunta liberazione. Stacce.

—>>>Divertitevi con il generatore di supercazzole delle Terf e Swerf: femministe escludenti. 

In basso screen di una discussione tra abolizionist*. E parlano seriamente. 😀

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2 pensieri su “Differenza tra analisi politica femminista e insulti delle abolizioniste”

  1. Concordo appieno. Purtroppo è davvero difficile trovare un equilibrio nella propria posizione e si cede troppo spesso alla tentazione di dire “la mia visione è l’unica vera e possibile”.

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