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Il sesso che fai non è rivoluzione

Questa è una traduzione militante, a cura di Antonella, dell’articolo “Your sex is not Radical” di Yasmin Nair, del 27 giugno 2015)

Trovate qui il link originale. Alla fine del testo proposto si può leggere una sorta di avvertenza che ci pare opportuno proporre in apertura: “Questo è un post gratuito che ha lo scopo di sollevare interrogativi, non di fornire tutte le risposte. Se siete interessati a saperne di più sulla storia delle varie campagne (sui diritti) gay, come quella del matrimonio gay, date un occhiata agli archivi di Against Equality.

Il sesso che fai non è rivoluzione

Fred De Boer ha appena pubblicato un articolo su Politico intitolato “Tempo di legalizzare la poligamia”. Rispetto il lavoro di Fred (mi è stato peraltro di grande aiuto nel mio) e penso che questo sia un discorso da affrontare seriamente. Egli chiede “Se i miei amici progressisti riconoscono legittimità alle persone che scelgono libere forme di relazione romantica con partner multipli, come possono loro negare l’accesso ad un matrimonio che dia loro la giusta tutela legale?”

Le domande e le provocazioni di Freddie operano in una sfera molto particolare, quella che poggia sulla definizione e ridefinizione delle relazioni. Che ci piaccia o no, la decisione della Suprema Corte sul matrimonio gay ha definitivamente chiuso la questione su cosa sia famiglia. L’ottica, totalmente conservatrice e retrograda, è quella secondo cui “è l’amore che fa una famiglia”.

All’interno di Against Equality, e anche altrove, molti che hanno avuto posizioni critiche verso il gay marriage hanno argomentato che fosse necessario (per tutti noi, per la cultura in generale e/o per lo stato) riconoscere diverse forme di relazioni. E con quello non intendevamo essere prescrittivi rispetto al “cosa forma una famiglia”, ma chiedevamo che lo stato non determinasse vita e morte a seconda del tipo di famiglia o del grado di parentela costruite delle persone.

Mi hanno spesso interrogata su come la penso sul poliamore e la poligamia e Freddie ha posto ulteriori nuove domande per cui credo valga la pena buttare giù qualche pensiero veloce in proposito.

La prima cosa da dire riguarda il mio approccio politico: non mi interessa che lo stato riconosca oppure no il poliamore e la poligamia. Ciò per cui io mi batto, attraverso ciò che scrivo e con il mio attivismo, è un mondo in cui tutt- abbiano accesso a condizioni minime di vita dignitosa: un servizio sanitario, la possibilità di attraversare i confini nazionali senza criminalizzazioni o deumanizzazioni, il diritto ad un tetto sulla propria testa senza necessità di mendicare aiuto, e così via.

Secondo (e credo che questo sorprenderà un po’ di gente che avendo letto i miei lavori mi ha identificata come appartenente a posizioni estreme in questo campo, una sorta di sex radical): io non credo che il sesso in sé costituisca una pratica rivoluzionaria.

Ne consegue che io non credo che il poliamore o la poligamia possano in alcun modo fermare il capitalismo o in qualsivoglia maniera disturbare la costituzione di uno stato che sempre più rafforza se stesso attraverso specifiche forme di relazioni filiali. Come spiegavo in un’intervista “Puoi sposarti nud- e appenderti a testa in giù ad una mongolfiera o anche condividere ogni giorno il tuo letto nuziale con diversi sconosciuti – niente di tutto questo cambierà il modo in cui lo stato sovvenziona e avvantaggia il tuo matrimonio senza nulla riconoscere invece a chi non si sposa”.

Nei circoli radicali queer e in molti degli ambienti di sinistra in cui opero, è largamente diffusa l’idea che la pratica rivoluzionaria di qualcuno può essere strettamente connessa alle proprie pratiche sessuali. Questa è la ragione per cui molti di quelli che praticano BDSM e sono in qualche modo sex positive sono spesso associati con la sinistra (NdA: si veda in proposito l’eccellente libro di Margot Weiss “Techniques of Pleasure: BDSM and the Circuits of Sexuality”. Weiss sottolinea che le comunità BDSM a San Francisco, ben lontane dall’essere politicamente radicali, riproducono forme di materialismo consumista e si intrattengono in pratiche a volte sfacciatamente razziste – e non con intenti ironici o per operare un sovvertimento del paradigma dominante).

Ma la triste verità sul sesso che molti di noi hanno imparato dopo anni sul campo (letteralmente e figurativamente) è che il numero delle persone che ti fotti non ha niente a che vedere con il tuo intento di fottere il capitalismo.

Ancora: puoi leggere “La zoccola etica” da cima a fondo (io l’ho fatto: è noioso, prescrittivo e insiste su una serie di curiose gerarchie) e persino portatelo dietro alla tua prossima orgia, ma tutto questo significa che stai al massimo violando (forse) niente altro che i principi bigotti con cui sei stato cresciuto.

In qualche modo, quando si tratta di sesso e sessualità, la sinistra commette lo stesso errore, ancora e di nuovo e ancora: immagina che semplicemente violando le regole della destra conservatrice si possa stabilire una sorta di nuovo ordine universale. Questa è una delle cose che ha portato la sinistra in brutto vicolo cieco relativamente alle questioni sociali. Il matrimonio gay è stato fermamente supportato perché la sinistra era erroneamente e fermamente convinta del fatto che i gay che si fossero sposati tra di loro sarebbero stati un attacco a … be’ a qualcosa. Al capitalismo, all’ordine mondiale, alla destra religiosa, A qualcosa.

Ma il semplice fatto che ci sia una destra che si oppone al matrimonio gay non significa che questa sia una causa che vale la pena appoggiare ed avevo sottolineato il problema in questo articolo qui e in molte altre occasioni.

Chiunque abbia approfondito studi o politiche relative alla sessualità sa bene che il semplice fatto di praticare sesso non convenzionale non ha nulla a che fare con le pratiche rivoluzionarie.

(…)

Voglio essere chiara qui: essere un rivoluzionario di sinistra e contemporaneamente avere una vita sessuale interessante non ci dice nulla della intrinseca natura rivoluzionaria del sesso. Significa solo che sei molto sexy e che dovresti passare da me appena possibile.

Questo articolo non è da intendersi come un fare no-no col dito e dire che i rivoluzionari queer non devono fare troppo sesso. Per carità, fate tutto il sesso che volete e di cui avete bisogno, ma non confondete lo scopare con qualcosa di diverso dallo – be’ – dallo scopare. Seriamente: troppo spesso ci capita di sentire di persone che arrivano nella comunità queer, persone spesso molto giovani, cui viene detto che non possono considerarsi sufficientemente radical se non fanno parte di una qualche forma di relazione poliamorosa od orgiastica. Ho sentito troppo spesso chi diceva di essersi sentito pressato, specie in quanto attivista giovane e vulnerabile, ad essere sessualmente qualcuno e questo li aveva fatti sentire meno politicamente attivi semplicemente perché non era il tipo di scenario che si confaceva loro.

Questa cosa dovrebbe finire. La rivoluzione non arriverà sull’onda impetuosa del vostro prossimo orgasmo multiplo ottenuto coi vostri sette partner sul pavimento dello spazio comune condiviso. Arriverà se avrete un piano per distruggere questo sistema di oppressione e sfruttamento.

Dovremmo continuare comunque a pensare al sesso? Certamente, assolutamente si. Pensiamo ed agiamo collettivamente rispetto al problema di come il sesso riguardi i corpi più vulnerabili, come le persone in prigione. Pensiamo tanto ed in profondità rispetto a quanto davvero ci piaccia l’idea che gli stupratori meritino di essere abusati in carcere (e di quanto sia di per sé oppressiva in toto l’idea di “sex offender”). Consideriamo l’idea di creare un mondo in cui il sex work possa essere esercitato senza coercizione né stigma. In ogni caso, vi prego, non smettiamo di fare sesso, che può essere ribelle e bello e non smettiamo di pensarlo possibile in ogni sua forma. Ma smettiamo di pensare che il sesso sia qualcosa di più che sesso.

Il sesso che fai non è rivoluzione. La tua lotta politica dovrebbe esserlo. Pensa alla differenza e regolati di conseguenza.

1 pensiero su “Il sesso che fai non è rivoluzione”

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