Michele si è tolto la vita, a trent’anni. E prima di farlo ha scritto una lunga lettera. La trovate sui giornali, su internet. Parla di furto della felicità, della nostra generazione, dei no che uccidono, di sistema, di sogni, di libertà di scelta. È una lettera lunga e piena di amore e rassegnazione, di rabbia e serenità. Di vita, a dire il vero. E a tutti i moralizzatori col culo degli altri di internet chiedo di indossare un po’ di silenzio, che di certo il dolore dei cari ed il suo gesto non meritano inutili accuse gratuite.
Perché quello che ci chiede è di guardare fuori da questa storia, di guardarci attorno e dentro. Di mettere in fila i trabocchetti di un sistema che ci obbliga a trovarci con le competenze e senza futuro, con il talento e senza le possibilità, con le idee e senza interlocutori. Costretti a vivere per sopravvivere in una rincorsa verso la mediocrità imposta che ci rende poveri, incerti e senza più tempo. E chiunque pensi di esserne chiamato fuori perché ha indovinato una start up o riempie i palasport con le canzoni, beh… è stronzo due volte. Perché sta implicitamente accettando le regole di un mondo in cui la maggior parte dei giovani non è legittimata ad inseguire i propri sogni, o anche solo a non vivere in perenne incertezza, pensando che il riscatto personale basti a dare un senso a questa vita, o anche solo a mettersi al sicuro.
Ma non fatevi fottere. Se ne esce solo insieme, o si annega assieme. Perché un mondo in cui milioni di ragazzi sono costretti all’incertezza costante e alla negazione dei propri sogni non possiamo accettarlo. Certi diritti o sono di tutti o non li merita nessuno. E pure la favola della meritocrazia male si addice ad un paese governato da figli di, raccomandati, collusi, faccendieri, inetti e ladri di stipendi. Non è questa la classe dirigente che può parlarci di quanto basti il merito. È piuttosto quella che ha riempito i luoghi di potere di corrotti e mafiosi, e che ha condannato una generazione intera alla flessibilità e infelicità eterna. Una generazione a cui sembra mancare ormai la forza non dico per immaginare un mondo diverso, ma anche solo per incazzarsi. Che non è tutto, ma almeno non è niente.
Le canzoni sono cose minuscole di fronte a storie del genere, ma hanno senso di esistere solo quando dicono quello che c’è scritto in quella lettera, ma non abbastanza forte da funzionare da antidoto per quel gesto. Non esiste una sola maniera di vivere, un solo mondo possibile, una sola strada. Siamo liberi di essere diversi da come ci vogliono. E si è liberi davvero solo quando si è insieme.
Il resto è rabbia, frustrazione, una lunga serie di poteva essere amico mio e di nomi di riforme spesso di centro sinistra senza più né sinistra, nè centro, nè rispetto per il futuro di questo paese.
Fanculo.
Per lui e per noi. Non lasciamolo solo, non lasciamoci soli.
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L’ha ribloggato su O capitano! Mio capitano!….