Antiautoritarismo, Antisessismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Personale/Politico, R-Esistenze, Violenza

La violenza di genere non è “maschile”. E’ maschilista ed eteropatriarcale

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Leggo il documento interessantissimo del Sommovimento NazioAnale e vi trovo alcune contraddizioni in termini. Per esempio:

come si fa a rivendicare un’espressione di rabbia a partire da posizionamenti “in quanto lesbiche, trans*, butch, froce, frociarole e favolosità varie” per poi temere che questo possa essere oggetto di un’accusa grave tanto quanto frequente da parte di chi divide il mondo in binarismi biologicamente riduzionisti?

Come si fa a dire che si rende comune la radice delle violenze – a donne, lesbiche, trans, butch, frociarole e favolosità varie – avendo ben presente che è la norma etero/sessista, quella che ci vorrebbe tutt* etero e cisgender, e poi a temere che possa essere fraintesa questa posizione da chi, per l’appunto, guarda le cose da un punto di vista strettamente binario?

Se è comune la matrice di potere che ci opprime “in modi differenti ma convergenti, donne (cis e trans) e soggettività non etero e non cis e tutt* coloro che rifiutano di riprodurre la maschilità dominante” e se è “fondamentale smascherare i nessi tra eteronormatività, binarismo di sesso/genere” come si fa poi a parlare di violenza “maschile”?

Così il documento a me, che guardo dall’esterno e seguo e partecipo il dibattito internazionale a tema queer, sembra troppo sulla difensiva e mi pare rilegittimare quello stereotipo sessista che in realtà si sta mettendo in discussione. Guardando le cose non da una logica binaria: cos’è il “maschile”? Cos’è il “femminile”? Chi è il “maschio”? Chi è la “femmina”? Chi è l’uomo e chi la donna? Come si fa a dirsi tante cose eccezionali e poi a ridividere il mondo secondo un severo binarismo di genere?

Se è una violenza strutturale, di sistema culturale, politico, economico, come può essere “maschile”? Volevate dire “maschilista”? “Etero-patriarcale”? Perché a mio avviso è importante distinguere. Nel primo caso seguite a ruota le femministe della differenza che poi, d’altro canto, non volendo uscire fuori dalla lettura dicotomica parla di violenza maschile e anche di travestitismi di genere, dunque non ammettendo altri generi se non quello maschile e femminile. Dall’altro lato, invece, aprite ad una complessità che racconta come ci si possa dire “donna” anche senza vagina e con un pene o come ci si possa dire “maschio” anche senza un pene e con una vagina. Per non parlare delle persone intersex.

Se comprendiamo che la violenza è strutturale e di sistema sapremo allora che viene veicolata da un maschilista tanto quanto dalla sessista transofoba che strumentalizza il separatismo per evitare di svelare la propria transfobia. Quanti esempi di Terf, femministe radicali trans escludenti, conosciamo? Tanti. Tutti ci consegnano una verità: non si può temere che se hai un’idea diversa dalla loro ti dicano che sei tu la nemica o il nemico delle donne, perché intanto dovranno spiegarti che cos’è una “donna” e devono dirtelo quelle che nel dibattito sulla gestazione per altri hanno, per esempio, denunciato un complotto tragicomico che secondo loro vorrebbe ottenere la scomparsa della donna.

Come si può contestare il sistema binario “nel quale ognun* si deve identificare nel genere assegnato alla nascita e adeguarsi al ruolo sociale per esso previsto. In questo sistema, maschile e femminile sono generi costruiti come opposti, complementari e rigidamente asimmetrici” e poi immaginare che il problema stia solamente nel dover interpretare il modello di maschilità diffusa? E del modello di femminilità vogliamo parlarne? Di chi ti dice come, quando, dove e perché devi sentirti più o meno femmina? E’ maschilismo? E etero/sessismo? Certo, ma la pressione che esercita sulle donne passa anche dalle “femministe” che vogliono spiegare alle altre quale dovrà essere l’unica narrazione della violenza subita, a costo di disconoscere identità complesse e che compiono lotte altrettanto rivoluzionarie.

Non si può dire che la violenza sia di genere – ed è meglio che chiamarla “maschile” – e che sia generata dalla violenza DEL genere “e cioè dall’imperativo sociale di (ri)produrre generi normativi e binari a sostegno dell’eterosessualità obbligatoria” per poi difendersi dall’accusa di annacquare alcunché. Non c’è alcuna perdita di consapevolezza sulle gerarchie di potere e di oppressione, di colonizzazione e normatività. Quel rischio di cui si parla non c’è semplicemente perché ribadire la sua esistenza non fa altro che tenere le donne strette a riccio ponendo al di fuori istanze più che necessarie che non fanno capo alla visione della violenza “sulle donne” completamente etero/centrica tanto quanto la violenza di genere, che lo è senza alcun dubbio.

Si può parlare di privilegio maschile, quello in cui un uomo, cis, etero, bianco, vive senza esserne consapevole. Può godere di quei privilegi o prendere atto del fatto che sia difficile tirarsene fuori quasi quanto difficile è per le donne rivendicare diritti senza sentirsi dire di essere delle “femministe isteriche”. Il privilegio maschile è però anche quello un dato strutturale e della cultura di cui è impregnato non ha colpa il maschio ma chiunque la veicoli, donne incluse.

Sapete già quanto invece l’ambiguità nell’esposizione non radicale dei contenuti, per timore di spostare l’attenzione e essere così soggette ad annacquamenti, ha portato proprio all’annegamento totale delle istanze femministe. Unite tutte in quanto donne, sostanzialmente donniste invece che femministe. Ricorderete Se Non Ora Quando o l’epoca in cui la ex ministra per la famiglia, sicuramente in disaccordo con le unioni gay, veniva considerata una femminista e chiamata a intervenire alle assemblee nazionali come simbolo per tutte noi. Tante donne, di centro destra, hanno preso parola in nome di tutte le donne, in quanto donne, e in realtà erano antiabortiste, omofobe, transofobe, sostenitrici del “diritto naturale“.

Di fronte a quell’annacquamento siamo state in poche, contro molte, a ribadire l’essenza delle nostre rivendicazioni. Ci siamo ritrovate a gestire, in perfetta solitudine, una situazione in cui per dirsi femministe bastava solo citare la parola femminicidio o la questione della violenza sulle donne, pur fregandosene delle donne che abortiscono o delle vittime trans, tanto per dire. L’annacquamento e la relativizzazione sta in quella misura identitaria della categoria donne e del thread sulla violenza sulle donne che io mi rifiuto di seguire in maniera acritica. E’ quell’annacquamento a portare alla realizzazione di normative che non tengono conto dell’esperienza dei centri antiviolenza e consegnano la responsabilità di lavorare con le vittime di violenza a persone che si improvvisano operatrici antiviolenza nei pronto soccorso asl non preparati su questo.

Parlate di transfemminismo queer e di violenza di genere ma poi continuate a pietire spazio per quella che viene considerata “non donna”, come se ci fosse davvero bisogno di raccontarci come e perché rispettiamo le pratiche separatiste quando non sono usate come grimaldello per disconoscere il femminismo intersezionale. Ricordiamoci che si tratta di una questione di genere, razza, classe e specie. Tra noi esistono generi, varie etnie, varie culture, classi differenti, antispecist*. Accettare dogmatismi, doversi giustificare verso l’ortodossia di donne bianche, cis o lesbiche che siano, così duramente imposta, è un passo indietro e non uno avanti.

Ho apprezzato davvero lo sforzo delle compagne e dei compagni che hanno organizzato e partecipato la manifestazione del 26 novembre. Sfilare insieme, in maniera mista, donne, mascolinità fragili, come le abbiamo chiamate noi, cis, lesbiche, trans, queer, intersex, raccontarsi insieme tante cose ai tavoli di discussione, è un progresso, perché la violenza sulle donne non sia usata da quelle che sono state definite “ancelle del capitalismo”, consegnando la questione della violenza – definita – domestica, invece che di genere, all’industria del salvataggio, alle istituzioni che ne hanno fatto uso per legittimare propri dispositivi di potere. Le stesse vittime, con tanti lividi esposti, sono state usate come dispositivi di potere ed é della rinuncia a quel potere, che può essere esercitato anche al nostro interno, che bisogna aspirare.

Parlo di privilegio paternalista, tanto per capirci. Tanto invisibile quanto più esistono paternalisti a supporto di donne, anch’esse, veicoli di paternalismo, per separare individui di qualunque “genere” e per frammentare le lotte che ci riguardano. Per noi le vittime non sono strumento di alcunché. Dunque non lo sono neppure per il mancato rispetto, il discredito, e la delegittimazione di quelle categorie che non vengono neppure comprese in vari e tanti ragionamenti. Le soggettività trans/queer, le donne che non seguono la norma rigidamente abolizionista, le sex workers, le donne che vogliono abortire, quelle che vogliono prestare l’utero per la gestazione per altri. Queste sono considerate donne oppure no? Ed è già lì che vedi quanto il concetto di “donna” sia stereotipato a seconda di chi lo applichi. Elemosinare per essere riconosciut* in questa lotta non è esattamente quello che intendo per “femminismI”.

Deprogrammare il codice binario implica la deprogrammazione della maniera stereotipata attraverso la quale si denomina la “violenza”. Violenza di genere è? Qui lo abbiamo raccontato in molti modi. E’ tutto quello che impone un ruolo di genere. E’ la norma in se’ ad essere violenta. Sabotare la norma, reinventare se stess*, rinominarsi, è azione antiviolenta. Rispondere all’accusa di “testa di ponte per portare il maschio alfa nel femminismo” è invece una maniera per riportare ordine nelle teste di chi non sa definire le lotte in maniera altra se non a partire dal proprio piccolo, minuscolo, orticello privato. Un po’ come la Radical Feminist Trans Escludente che dice che portare le trans nelle assemblee femministe è come aprire la porta ad infiltrati del patriarcato. O come chi dice che una donna che è in transizione per diventare uomo lo fa solo perché vuole assaggiare una fetta di privilegio maschile. Non si può faticosamente rivendicare il diritto alla rivoluzione legittimando le forze dell’ordine interne al movimento.

Il maschile e il femminile vanno raccontati a partire dalle voci di chi vive quelle dimensioni. Non posso essere io a decidere per tutt*. Non io che devo imparare a definire me stessa. Non esiste una formula altrettanto potente della narrazione a partire da se’. Chi siamo, cosa vogliamo, dove stiamo andando. Pare uno slogan sessantottino ma è una formula che lascia aperte porte a chi decide, contravvenendo alle norme, di autodeterminarsi, anche se si autodetermina in una versione che non piace a te o a te o a te.

Per il resto, sperando che le critiche espresse siano considerate costruttive, trovo le parti di documento in cui non si giustifica un pensiero tanto potente davvero interessanti e belle. Più che condivisibili. Una vera boccata d’ossigeno. Condivido la formula, la visione di uno sciopero dei/dai generi per l’otto marzo. Adoro l’idea della consultoria queer. E perciò vi invito a leggere il documento per intero, perché vi facciate una vostra opinione e lo apprezziate a vostro modo.

Appuntamento ai tavoli nazionali per il 4/5 febbraio a Bologna. Tutte le info sul blog http://nonunadimeno.wordpress.com

Ps: Io penso che ci sia bisogno di reciproco riconoscimento che però finisce per essere sbilanciato e delegittimante per una parte troppo incline a chiedere scusa del solo fatto di esistere. Capisco lo sforzo e lo colgo per quel che è. Posso permettermi il lusso di decostruire e opporre una critica senza perciò sparare stigmi definitivi su chi lotta.

10 pensieri su “La violenza di genere non è “maschile”. E’ maschilista ed eteropatriarcale”

  1. Grazie, adesso sto meglio.
    Figo il comunicato, ma questa frase non la mando giù:
    Gli uomini cis e etero bianchi e cittadini non possono piangere, esprimere i propri sentimenti o amare i fiori, ma siamo noi – donne cis e trans, soggettività non etero e non cis – che rischiamo la vita in questa guerra che l’eteropatriarcato ci ha mosso.

    1. Forse è il caso di specificare perché non la mando giù:

      perché trovo che suoni come “noi sì che rischiamo la vita, non come quelle checche che si lamentano di non poter piangere ed amare i fiori”, individuando una categoria di soggetti per svalutarne il vissuto, con l’effetto di creare una dicotomia noi/voi e l’individuazione di un nemico, che non è più l’etero-patriarcato che agisce contro tutt* noi, ma le singole soggettività maschili cis ed etero.
      In poche parole ne contesto la carica escludente e l’effetto volto a determinare dall’esterno altre soggettività. Per il resto condivido lo spirito del comunicato e aderisco alle precisazioni contenute in questo post.
      Ci vediamo l’8 marzo!

  2. Car* Raffaello e laglasnost , penso che sia importante che chiunque viva dei privilegi, che siano gli uomini cis e etero in un mondo cis e eteronormativo o le persone bianche in un mondo razzista o ancora le persone con un privilegio di classe in un mondo violentemente capitalista e via dicendo assumano in primo luogo dai propri privilegi… parlo da persona genderqueer impegnata da anni nei movimenti transfemministi queer: senza assunzione dei propri privilegi non c’è politica queer, se non si assumono le posizioni differenziali e i privilegi a cui i nostri differenti posizionamenti ci danno accessso e non si parte dall’accountability per questi ultimi la potenza politica e euristica del queer si annulla e questo si riduce a un discorso annacquato buono per fare da foglia di fico a un discorso universalista che per fortuna abbiamo imparato a sgamare in tutte le sue forme.
    Quanto alla questione violenza maschile vs violenza maschilista.. penso che chiamare la violenza maschile non sia affatto un modo di essenzializzarla, quanto invece un modo di rendere ben chiaro che nel sistema cis-eteronormativo nel quale viviamo è proprio la maschilità che va fatta saltare per aria! ora, questo si può fare in tanti modi, incluso – come facciamo in tant* – moltiplicando le maschilità froce, trans*, minoritarie (le maschilità di chi non ha paura di passare da checca e nn intende difendere la propria cis-eterosessualità… ) e facendo in modo che sempre più persone tra noi che abbiamo maschilità minoritarie e trans* costruisano complicità trans-femministe e froce invece di provare a non farsi escludere dall’accesso ai dividendi del privilegio maschile per essere anche noi riconosciuti come uomini a tutto tondo (e non come “checche”… raffaele in questo senso credo che quello che dici sia potenzialmente molto problematico e omofobo dato che evidentemente ti posizioni come uomo cis e etero, perché prendere le distanze dalle checche solo perché a te piacciono i fiori ma sei pur sempre etero e vuoi che questo sia ben chiaro?). inoltre dietro la lotta al machismo si sono difesi troppi uomini cis e etero, magari compagni, che al limite contro le violenze più evidenti e drammatiche arrivano forse a prendere anche posizione (grazie eh!), ma se gli si chiede di mettere in discussione alla radice il loro privilegio etero e cis allora la faccenda cambia. insomma via, più terrore anale e meno difesa a otranza del maschio cis etero… sarà una sfrociata che vi libererà 😉

    1. ti invito a leggere questo intervento scritto da un altro pezzo di sommovimento nazioanale. in quello che dici e che sta nel vostro documento c’è una contraddizione bella grossa e non si può fare una cattiva traduzione della “violenza machista” delle latinoamericane per parlare di violenza maschile. il maschile non è sempre violento. il machismo è altra cosa. il maschilismo non coincide sempre con il maschile e non è la maschilità il mio problema ma il maschilismo eteropatriarcale.

      https://abbattoimuri.wordpress.com/2017/02/03/essere-anti-identitarie-e-insieme-identitarie-e-un-casino-di-coerenza/

    2. Due parole sugli uomini trans, così scomodi nei dibattiti trans femministi sul maschilismo…
      Questo discorso può avere senso, ma è più vicino a un certo tipo di posizioni queer che non a quelle del trans femminismo made in USA. Il fatto che viviamo in una società etero e cisnormativa, che pone in posizione privilegiata alcune persone ai danni di altre, non implica che sia necessario rigettare e far saltare per aria la maschilità in sé. La maschilità in sé, a essere precisi, non esiste; le maschilità al plurale sono sempre costruzioni culturali, situate in contesti specifici. Se da un punto di vista strettamente queer è “semplice” sovvertire il sistema con posizionamenti obliqui, e dirsi contro le norme di genere, da una posizione prettamente trans femminista non lo è altrettanto. Nella storia dei movimenti, è noto che negli Stati Uniti degli anni ‘90 tante donne trans delle generazioni precedenti siano state escluse da spazi queer (dominati da persone bianche e FAAB) perché percepite come non abbastanza contropotere, radicali, “oltre il binario”; tra le righe della posizione queer si rischia di leggere che donne e uomini trans, come all’epoca butches e femmes, sarebbero sempre a rischio di ristabilire le norme.
      Il sistema prevede che le maschilità cis siano privilegiate rispetto a quelle trans, ma questo non è un buon motivo per riproporre una gerarchia per cui un uomo trans non medicalizzato, queer e non binario, sia un compagno di lotta, e un uomo trans che “fa il percorso”, passa e vuole vivere in stealth, sia un traditore della causa. La lotta, per le persone trans, non è nemmeno vagamente finita, e non si può dividere ulteriormente la comunità in base al requisito di non desiderare l’accesso ai dividendi del privilegio maschile. Una posizione trans femminista dovrebbe lottare anche per le donne e gli uomini trans che desiderano accedere a ogni privilegio possibile, non soltanto per chi “decostruisce il genere” o si colloca “oltre il binario”. Naturalmente è fondamentale essere critici verso il sistema, e impegnarsi consapevolmente verso il cambiamento, ma c’é già la società a regolare con norme e posizionare in maniera gerarchica le identità; almeno i movimenti potrebbero lavorare a politiche di reale inclusione che comprendano donne, uomini, persone non binarie.

    3. Veramente non credo di essermi posizionato e, di conseguenza, di aver preso le distanze da qualcuno. Ci hai preso, sono biologicamente maschio e mi piace vestirmi in modo “maschile”, potrei anche definirmi etero (non mi interessa).
      Non me ne frega niente di rivendicare una maschilità cis etero, con relativi privilegi, ma so che alcuni privilegi li ho. Però anche una donna cis etero occidentale ecc. (non so, mia sorella) parte da una buona posizione in una società cis-eteronormativa.
      Allora perché lei non merita di essere ridicolizzata ed è invece affratellata di diritto alle soggettività non cis e non etero, e io no? Perché non si accusano le donne cis etero in toto di rivendicare una femminilità privilegiata (nella frase da me citata, intendo), o meglio, non si chiede loro di abdicare dalla loro cis-eterosessualità?
      Non è meglio partire dall’idea che il privilegio è qualcosa di molto articolato, invece di dividere in due tra chi “rischia la vita” e chi no?
      Solo un contributo alla riflessione e per capire io, niente di personale. Scusate, non ho molta proprietà di linguaggio e su questi temi poi ho solo da imparare.
      Grazie di tutti i contributi!

  3. si si ho letto… e quindi? di cosa dovrei prendere atto? credo di aver già risposto esattamente al punto che sollevi… non trovo nessuna contraddizione nel parlare di violenza maschile e fare un discorso queer anti-identitario, e per di più a partire dal posizionamento di chi rivendica una maschilità queer non-cis, non penso di dover stare qui a ripeterlo un’altra volta.. per chi vuole intendere intenda.. per il resto, buone lotte!

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