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Ereticamente: botta e risposta con la scrittrice Irene Chias

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Qualche giorno fa scrivevo dell’ultimo romanzo di Irene Chias, Non Cercare l’Uomo Capra, e oggi pubblico questo botta e risposta tra me e lei, riassumendo gli umori delle sue precedenti fatiche letterarie, Sono Ateo e Ti Amo e Esercizi di Sevizia e Seduzione, recuperando i toni goliardici e comunque mai privi di contenuto, che hanno caratterizzato il nostro primo incontro – molti anni fa – e tante nostre comunicazioni successive. Irene non è solo una scrittrice, giornalista, eclettica e brillante donna siciliana, ma, per me, è anche una tenace e intelligente amica che resiste nonostante il tempo e le distanze – geografiche – perché se due cervelli si incontrano e la dialettica, condita di personal/politico, non è mai scontata né spenta, è difficile che si perdano. Di Irene vi passo anche un video – lo vedete sotto – con una brevissima, ma bella, presentazione del suo ultimo libro su SkySport. Buona lettura!

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– Se tu avessi incontrato un uomo pronto a dirti “non sono ateo e ti amo” lo avresti sottoposto ad un ciclo di decristianizzazione?

Non è detto che il non ateo sarebbe un cristiano. In ogni caso ho imparato che, come molte altre invenzioni umane, la religione non è un male in sé. È potenzialmente qualcosa di personale che ognuno può declinare in pratiche e credenze assolutamente compatibili con il rispetto dell’altra persona. La religione è quello che ciascuno ne fa, anche se è innegabile che spesso presta il fianco alle azioni peggiori. In ogni caso, l’ateismo cui facevo riferimento in Sono ateo e ti amo era relativo a quell’aspetto patriarcale delle religioni – ma anche di credenze sociali apparentemente laiche – che ricorrono a rigidi ruoli predefiniti, che mischiano sentimenti e controllo sociale, fragilità personali e violenza.

– Quelle torture del tuo secondo libro, inflitte a uomini, diciamolo, un po’ di merda, le pianificavi da tanto tempo?

Probabilmente da sempre e probabilmente ci ho pensato tutte le volte che mi è capitato di assistere all’estetizzazione, all’erotizzazione di uno stupro. Ma qualcosa è scattato davanti a una bancarella di libri del mercatino di Porta Ticinese, a Milano, nel 2003. Vendevano in due volumetti Le scene madri della letteratura erotica, una miniantologia dell’erotismo uscita in allegato a Panorama negli anni ’90. Alla voce ‘Marinetti’ riportavano un brano, quello iniziale, di Mafarka il futurista, testo di incredibile brutalità che narra diversi stupri di gruppo. Il ribaltamento de “Lo stupro delle negre” è diventato una delle prime sevizie letterarie che Ignazia opera sui suoi “avversari”. Credo che, pubblicando Esercizi di sevizia e seduzione, Mondadori, lo stesso editore che due decenni prima aveva inserito “Lo stupro delle negre” in un’antologia erotica, abbia inconsapevolmente riparato un torto.

– Quando penso a quel libro mi viene in mente il Malleus Maleficarum, con l’unica analogia che illustra l’uso delle parole come arma. Armi contro le donne. Le tue parole sono armi contro i violenti? I sessisti in generale?

Ignazia dice a se stessa che le sue parole hanno un fine educativo. Io amerei che fosse così anche per le mie, e in parte lo è stato, ma non mi faccio illusioni. Esercizi di sevizia e seduzione per me è stato più una specie di parziale e temporaneo regolamento di conti, una messa in ordine di tutta una serie di input culturali sessisti assorbiti da una vita.

– Ti è capitato di incontrare donne sessiste? Quali versi o quali passi di libri proporresti per sevizie pedagogicamente utili in quella direzione?

Le incontriamo ogni giorno nella vita e le si incontra anche nel libro. Il richiamo della cultura patriarcale è forte, talvolta anche in me stessa riconosco echi di maschilismo che faticosamente cerco di decostruire e annientare. Forse le donne sessiste hanno bisogno solo di essere scosse. Per il resto si puniscono già abbastanza da sole, ma non se ne rendono conto. Loro sì che mi lasciano disarmata. E parlo anche di quelle donne che declamano una presunta intrinseca superiorità femminile sugli uomini, una superiorità che deriverebbe da una naturale predisposizione alla cura contro la presunta naturale predisposizione alla guerra degli uomini. Anche questa forma di sessismo è patriarcale. Anche questa forma di sessismo è maschilismo.

– Dì la verità: in fondo hai scritto di stranieri perché ce l’hanno grosso, non è vero?

L’insulto di un tizio sotto una recensione a Non cercare l’uomo capra in un blog diceva: “tutto questo giro di parole per giustificare che gli piace la fava noir”. Il tizio ovviamente non aveva letto il libro. I commenti sotto gli articoli dei quotidiani sono davvero desolanti, ma quando ripenso a questo rido ancora.

– Fammi un esempio di contaminazione culturale che tu hai acquisito come linfa per la tua vita.

Sono cresciuta a Trapani, dove il piatto tipico è il couscous di pesce. A 16 anni, ad Agrigento, frequentavo la famiglia di Gianluca, il mio primo amore. Suo padre, Tony Cucchiara, nato come cantante folk, ha poi riportato in forma di Musical la tradizione dell’opera dei pupi e del cuntu dei cantastorie siciliani. Ma se ci pensi tutta la cucina, tutta la musica sono in qualche misura frutto di incontri e mescolamenti. Per non parlare del fatto che, da bambina italiana degli anni ’80, sono cresciuta con i cartoni animati giapponesi: la cultura, come fatto umano, è già contaminazione.

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– Elencami i diversi modi in cui diverse persone, di molti luoghi del mondo, vedono la tua vagina.

Eh? Non ho capito la domanda.

– Parlami di violenza o di colonizzazione epistemologica subita dalle donne del nostro tempo.

Trovo davvero pericoloso il recente ritorno a una mistica della maternità come unica possibile via di realizzazione femminile. Mi pare che stia diventando quasi uno status da raggiungere come un qualunque altro traguardo consumistico. Io non ho figli e non dubito che possa essere un’esperienza meravigliosa e unica. Ma per ogni essere umano ci sono mille modi per (illudersi di) dare un senso alla propria esistenza, e sicuramente fare figli per delegarli a dare valore alla propria vita è uno dei modi più sbagliati di perseguire questa illusione.

– Se io uso come intercalare, da brava siciliana, la parola “minchia”, ho introiettato il maschio o la sua lingua (letteralmente)?

In Sono ateo e ti amo mi sono posta il problema del linguaggio inevitabilmente fallocentrico. Ulna aveva risolto con un compromesso: minchia non è un problema (d’altra parte gli spagnoli dicono coño e non sono tanto meno maschilisti, o almeno non per questo) e rottura di coglioni è solo una figura retorica. Diverso è il caso dell’orribile avere le palle o i controcoglioni, dove ai genitali maschili si associa un valore di abilità e coraggio (i cui organi deputati sarebbero invece il cervello e il cuore, se proprio vogliamo indulgere all’anatomico).

– I modi in cui venivi raccontata da bambina, per le vie del paese, se ne ricordi qualcuno.

Come ho già detto sono cresciuta a Trapani. Ero una bambina descritta come sensibile, creativa e abbastanza solitaria. Da adolescente per le vie del paese di mio padre invece con due amiche costituivo mio malgrado un trio piuttosto discusso, “sparlato”: c’erano la lesbica e la troia, mentre io potevo fregiarmi del titolo di pazza. Col tempo la lesbica e la troia si sono sistemate, laddove io agli occhi di alcuni ho probabilmente assunto anche i loro incarichi.

– Quanto conta la bellezza fisica, secondo il modello estetico dominante, nel mondo letterario?

Non lo so, secondo qualcuno è penalizzante. Ma è un problema che ho deciso di non pormi.

– Quanto conta l’appartenenza a un genere preciso, stereotipi inclusi, nel mondo letterario?

Troppo.

– Descrivimi l’ordine gerarchico di oppressioni che ritieni di aver subito o di subire anche ora.

Lo spazio di un blog è virtualmente infinito, vero?

– Come si manifesta la tua autodeterminazione? (esempio: puoi anche dire che si manifesta non rispondendo alle mie stupide domande)

Cerco di non farmi dettare l’agenda di priorità da nessuno al di fuori dei miei desideri, dei miei valori e dei miei interessi. La mia ricerca personale tende, per quanto sia difficile, a percorrere una via indipendente dai dettami altrui. Si sente dire di donne dilaniate fra famiglia e carriera, io non ho scelto né l’una né l’altra, e per il momento mi sento divinamente.

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