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Ancora sui fatti di #Parma: cosa vuol dire essere vittime di abusi

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Su questa faccenda vi invito ancora a leggere il testo di Romantic Punx e Guerriere Sailors. Aderite, fatelo circolare.

Pensando a delle conversazioni lette in giro e a reazioni un po’ idiote vorrei dire una cosa, sperando di non sovradeterminare nessun@, perché su questa storia azioni e analisi hanno da essere prodotte, e lo sono, da chi sta sul territorio sperando in una presa di contatto con la ragazza in questione che non può e non deve sentirsi sola.

A chi la ricopre di fango e non fa un minimo di autocritica rispondono perfettamente le persone che si muovono sul territorio. Quel che mi preme dire, in relazione a commenti di tipo diverso, un po’ infarciti di giustificazioni, alibi, per il disinteresse mostrato in questa situazione, è che in questi casi non potete aspettarvi che la chiamata alle armi, per così dire, arrivi dalla persona che è vittima di un atteggiamento che rimuove il problema ed evita così di affrontarlo. Non mi interessa neppure parlare di quello che riguarda il processo, penoso per lei che lo subisce, perché compagne e compagni sono presenti in un modo o nell’altro per rappresentare una posizione umana e politica – non dico giuridica perché tra noi si discute un linguaggio diverso.

Mi interessa ragionare del sessismo diffuso, sedimentato, profuso con tanto di medaglie al merito, incluso quello di chi si aspetta da una persona “vittima” di un atto violento la forza di organizzare una resistenza che la ponga al riparo da bullismi e oppressioni, e se non si intravede il suo ordine diretto allora si evita di fare qualunque cosa.

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Chi è al centro di un linciaggio in piena regola non può, di fatto, risollevare la testa neppure per chiedere aiuto. Semplicemente annega, si augura che tutto finisca e si rende invisibile perché sparire è l’unica arma che la preserva dalla lapidazione. Questo è quello che generalmente prova una persona colpevolizzata e bullizzata con l’uso di un linguaggio a metà tra il compagno e il sessista, che poi è il linguaggio più subdolo che esista. In questa circostanza ci sono più figure attive che vanno citate. Ci sono le persone che pensano lei meriti il linciaggio, e così si uniscono al branco. Ci sono le persone che leggono, sono in grado di ascoltare, ma non fanno niente, per non inimicarsi nessuno, perché non vogliono guai, perché mancano di coraggio, il coraggio che serve a dire che, a prescindere da quel che pensi della vicenda giudiziaria in se’, parlare di lei usando termini sessisti fa schifo. Quindi ci sono questi complici inconsapevoli, una specie di pubblico senza il quale, vi assicuro, ogni azione di bullismo perde significato. Altri attori sono quelli che non parlano in pubblico ma istigano e tutto questo insieme di posizionamenti che hanno tanto di politico realizzano quel che diventa mobbing, ostracismo nei confronti di una persona che in senso libertario dovremmo considerare in termini umani e non secondo parametri di giudizio obsoleti e autoritari (tipo qualcun@ che la chiama “pazza” – sai che originalità. Chi è vittima di abusi e accusa le figure abusanti è sempre puttana e/o pazza).

Se proprio non si vuole parlare della faccenda in se’, penosa e alquanto vomitevole nel complesso, senza che ci si chieda di fare i “nomi” perché qui non si fanno gogne, almeno ragionare di sessismo nei movimenti, di risate sulla pelle di una persona filmata suo malgrado e le cui immagini sono state condivise compiendo così, già di per se’, una violazione, una prevaricazione, un atto fascista, sessista, sovradeterminante, irrispettoso della volontà della ragazza, dunque senza consenso.

Non importa se prima non ne sapevate nulla (e sarebbe ottimo chiedersi perché una cosa del genere non abbia assunto rilievo prima che fosse parte di un’inchiesta) perché lo sapete adesso e adesso avete la possibilità di creare una rete di protezione contro ogni commento, comportamento, posizionamento o alibi sessista. Non è lei che lo deve chiedere. Lei non vi deve assolutamente nulla. Quindi, io per prima, proviamo semplicemente a metterci nei panni di chi vive una situazione del genere. Pensiamoci, e accompagnamola in questo itinerario complesso e emotivamente faticoso, qualunque sia la conclusione processuale.

Ancora qualche parola per raccontarvi genericamente quel che prova una vittima di stupro, specie se è di gruppo e in un contesto che avrebbe dovuto essere “sicuro”.

Una ragazza in stato di incoscienza non può dare consenso. Il suo silenzio non vuol dire Si. Il fatto che non abbia la forza di andarsene e difendersi non vuol dire Si. Se una ragazza è incosciente e viene filmata in situazione di abuso tutto è avvenuto senza il suo consenso. Il video postato e condiviso tra “amici” è prova di questo abuso e non del fatto che lei sia una “troia”, come ho letto da qualche parte. La colpa non si compie perché non si sa reagire ad una penetrazione e la penetrazione in caso di abuso non è qualcosa che avviene in presenza di una vagina dentata. Se qualcuno dice che le donne penetrate con la forza stringono la vagina per non fare entrare un pene si sbaglia. E’ un muscolo e per prevenire lacerazioni si lubrifica. Questo non vuol dire che prova piacere, così come una eiaculazione di un ragazzino abusato da un pedofilo non dimostra che lui ha provato piacere. Si tratta di reazioni involontarie.

L’abuso non è vissuto con chiarezza dalla vittima che ritiene spesso di averne colpa, di esserne stata la causa, perché forse è stata disponibile con qualcuno, forse uno, ma può avere il diritto di dire di no in qualunque momento. Una vittima che ha ricevuto sollecitazioni a ubriacarsi o a prendere sostanze, fino allo stato di incoscienza, non ha colpa di quello che è successo. La vittima prova vergogna e la diffusione di un video che la ritrae in un momento di incoscienza e prevaricazione sul suo corpo non fa che aumentare il senso di vergogna. Lo stigma sulle donne è sempre lo stesso. Se tu posti un video in cui qualcuno abusa di te sei tu, la femmina, la troia, e lui o loro sono dei grandi uomini. A far sentire lei in colpa e piena di vergogna intervengono molti fattori, incluso l’isolamento sociale o il fatto che negli spazi sociali è lei quella che viene emarginata. Una posizione escludente non arriva solo dagli uomini. Arriva spesso anche dalle donne. Più di quanto immaginiate.

In queste circostanze può intervenire un grave periodo di depressione, uno stato di profonda insicurezza, totale mancanza di autostima, che non provano l’inaffidabilità della vittima ma solo le conseguenze psicologiche che un abuso causa sulla pelle delle vittime. La vittima viene sottoposta ad un processo sociale che spesso si accompagna a banalizzazioni, rimozioni, e ad una sentenza di colpevolezza perché per lei la presunzione di innocenza non esiste. Quel che compone gli atteggiamenti prima, durante e dopo un abuso sono frutto della cultura dello stupro che non è una invenzione delle femministe ma è una cultura che colpevolizza le vittime sempre e in ogni caso.

Alcune vittime, che non sono forti abbastanza per andare avanti o che non hanno ricevuto alcun supporto, senza una rete sociale che le sorregga, hanno più volte tentato il suicidio e talvolta ci riescono. Il numero dei suicidi delle persone vittime di abusi non è contenuto nell’elenco delle vittime di violenza di genere, ma di fatto lo sono. Sono vittime di violenza di genere.

Se tutto quello che ho scritto non riguarda quello che conoscete, quello che accade negli spazi che frequentate, ciò che avete visto, letto e sentito, allora nessun problema. Consideratelo uno sproloquio di una femminista alla quale stanno sulle ovaie le strategie di repressione del dissenso quando il dissenso è antisessista e si compie all’interno di un movimento che è quello di cui anch’io faccio parte. Se invece qualcosa di tutto ciò che ho scritto vi riguarda in qualche modo, se passate oltre il timore di strumentalizzazioni di parte fascista, pur chiarendo che chi pratica sessismo è un fascista e tra fascisti avviene un riconoscimento reciproco più che una strumentalizzazione in danno del movimento, allora scrivete, riflessioni personali, più che comunicati decisi in assemblea, dai quali si avverte poco il vostro personale sentire, il vostro vissuto, la vostra incertezza e la vostra umanità.

Per qualunque messaggio abbattoimuri@grrlz.net

Nella speranza che tanto possa dare spunto ad una discussione tra voci individuali che vogliono mettere in rete espressioni di lotta, linguaggi e visioni che possano rappresentare un sostegno emotivo e umano e politico assieme. Nella speranza che, infine, si smetta di usare un gergo militOnto per dare addosso alla vittima. Come altr* hanno ben spiegato non c’è stata denuncia di parte perché tutto è emerso senza che la vittima ne fosse a conoscenza, nel corso di una inchiesta, ma anche vi fosse stata una denuncia, quando parliamo di stupro, non è “delazione”. Delazione è quella praticata contro un compagno partigiano che sfugge alle leggi e alle aggressioni naziste, contro un compagno che compie azioni contro la repressione. Parlare di uno stupro non è delazione perché lo stupro non è una azione militante, non è degna di rispetto militOnto e, anzi, la questione va inserita nel capitolo della lotta alla violenza di genere, intersecata, a quella di classe e di razza e di identità politica. Se ti dici antifascista e dai della delatrice ad una vittima di stupro stai semplicemente mettendo in scena una orrenda azione di omertà. Si tratta di un elemento di oppressione, un esercizio di potere, e se siete anarchic* e compagn* dite voi com’è che si può trattare l’oppressore, il colonizzatore di corpi, l’espropriatore della sovranità carnale, l’imperialista della vagina a uso e consumo dell’ilarità e dell’eccitazione di un branco di… come vogliamo chiamarli? Sicur* che possiamo definirl* compagn*?

Badate che non c’è nessuna lotta per i diritti civili, nulla che sia degno di rispetto, perché la lotta alla violenza di genere si compie riconoscendo piena autodeterminazione alla donna che la subisce. E’ lei che decide. Può voler denunciare o meno ma in ogni caso saremo al suo fianco, perché sua è la violenza, sua la pelle, suo il preteso riscatto, sua l’elaborazione e il percorso che la porta in direzione di un superamento della violenza. Qualunque sia il modo in cui una vittima vorrà lottare tu le stai accanto, e questo è l’abc del femminismo.

Ps: non inviate a me messaggi da riferire ma scrivete tra i commenti, qui sul blog, quel che pensate, se pur anonimamente. Per una discussione pubblica che ci riguarda tutt*.

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1 pensiero su “Ancora sui fatti di #Parma: cosa vuol dire essere vittime di abusi”

  1. Diavolo, il fatto è che lo so che non c’è un lato sicuro.
    Lo so che anche tra coloro che dicono di essere per l’eguaglianza c’è qualcuno che crede di essere più uguale degli altri.
    Lo so che anche tra coloro che gridano pubblicamente di essere “contro” c’è qualcuno che, nella semicoscienza del privato, è in realtà “a favore”.
    Lo so, lo so che quanto scriveva Flaiano a propostito di fascisti e antifascisti è dannatamente vero…
    Ma perché, dimmi, perché e chi glie lo fa fare a questi camerata sedicenti compagni di chiamarsi anarchici o alternativi?
    Perché, nonostante tutti i miei “lo so” continuo a sentire questa notizia come una pugnalata alle spalle?
    Ci vorrebbero libri di testo nelle scuole, scritti da Eretica, cartelloni giganti nelle strade con i post di Eretica, ci dovrebbero interruzioni di pubblica utilità durante i programmi televisivi con estratti dai Post di Eretica e allora… Forse…
    Forse noi cittadini borghesi e vuajeur, omertosi a nostra insaputa, che amiamo guardare le notizie ad una certa distanza, per non sporcarci le mani, che non amiamo prendere posizione per quieto vivere, che non ci facciamo mancare nemmeno qualche battuta sessista alla pausa caffè (che sennò qualcuno potrebbe credere, guaimai, che siamo pure froci!), forse, dico forse, ci sveglieremmo dal nostro sonno ovattato che tanto assomiglia ad un coma.
    Perché se c’è una cosa di cui sono convinto è che un mondo in cui uomini e donne si considerano con pari dignità e diritti e in cui distribuiscono fra loro il potere in maniera equanime è un mondo migliore, l’unico nel quale vorrei vivere e per i quale sono disposto a lottare…
    Ma esiste?

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