di Ethan Bonali
E’ necessario che premetta che quello che sto per scrivere è il mio personale modo di vivere la condizione di uomo transgender e che non rappresenta una condizione generale. Sono anche un convinto sostenitore della libertà di genere, dei diritti delle persone non-conforming e della lotta anti-binaria, ma questa è la mia storia.
Come uomo transgender, nato e vissuto in un corpo femminile e socializzato come donna, mi sono dovuto porre diverse questioni: che cos’è il maschile? Come viene espresso? Come viene percepito? Siamo spinti a rendere triviali le differenze di genere e abituati a pensare che la parola uomo sia sinonimo di corpo maschile e di caratteristiche maschili. Come riuscire a vedere e far vedere il genere oltre le considerazioni sociali (ruoli) e politiche (genere come controllo sociale)? Tutto si gioca sul rapporto interno/esterno, identità/espressione, disforia/euforia. Per immagine interna intendo la consapevolezza della propria identità di genere (uomo, donna, entrambi, nessun genere etc.) che è immediata, intuitiva e indipendente da chi ci osserva e la capacità di “vedersi”, descriversi. L’immagine esterna è ciò che ci rimanda il mondo che ci guarda e con il quale comunichiamo attraverso l’espressione di genere. Ma il mondo non è uno specchio che rimanda la nostra immagine interna tale e quale è né è depositario della verità oggettiva ma solo degli occhi degli altri e dell’elaborazione culturale, la quale cambia nel tempo e nello spazio. Dobbiamo trovare l’equilibrio tra le due immagini perché la disforia viene dal gap tra immagine interna e ritorno esterno mentre l’euforia deriva dalle conferme esterne della nostra identità. Questo meccanismo coinvolge tutti, ma è evidente e violento nelle persone T.
Identità di genere (immagine interna) o da dove viene il maschile
Non ricordo un “prima” alla mia coscienza di essere uomo. Mio fratello era un mio simile, uno specchio, mentre le donne che mi hanno cresciuto erano “l’altro da me”, un magnifico estraneo. La differenza anatomica non sembrava sconcertarmi, semplicemente pensavo ci fossero diverse specie di uomini e solo più tardi mi diede fastidio l’idea che il mio petto non fosse quello di un uomo. Se ci rifletto il petto maschile viene esposto e fa parte dell’espressione di genere ancor prima che dell’anatomia. Esso è “performante” della maschilità se risponde a determinati criteri mentre, se non lo fa, è devirilizzante.
Ma, tornando all’identità di genere, credo non sia altro che un’intuitiva adesione a ciò che si ritiene simile a sé sotto qualche forma, vuoi per un inprinting o per una prima forma d’amore. Ed io mi sono identificato/innamorato con/degli uomini. La prima foto mi ritrae allattato da mio padre. Se la mia prima forma d’amore, quella identificativa, è stata maschile, in seguito ho interiorizzato qualunque cosa come uomo, rompendo gli stereotipi di genere e valicando il confine uomo/donna, diventando tenero e accudente (materno e paterno) e non solo duro e protettivo. Alla dicotomia, al aut aut ho preferito la forma mentale del e-e, l’inclusione di tutto. Ho sempre trovato che il concetto di coerenza, così come lo usiamo, sia una forma di menomazione. Esistono il coerentemente maschio e il coerentemente femmina?
Espressione di genere o come viene espresso e percepito il maschile
Il primo riconoscimento positivo della mia espressione di genere venne da mio padre con una frase che tuttora è stampata a fuoco nella mia mente: sei il figlio maschio che non ho mai avuto. Non si riferiva tanto al mio aspetto fisico, quanto alla mia gestualità, interessi, modo di relazionarmi. La stessa cosa fu notata da mia madre che però vi vide qualcosa di cui vergognarsi. Il femminile mascolino è fonte di ilarità, è una caricatura, e vedersi riflessa in un figlio del genere causa un senso di repulsione (sentimento non accettabile per una madre nei confronti del figlio) che viene poi trasformato in un atteggiamento “correttivo”.
In qualche modo credo che la trasformazione del mio corpo non solo e soprattutto corrisponda al desiderio di realizzare l’immagine che ho di me (questo viene dall’identità di genere) ma che sia anche un modo di difendersi dal ridicolo che ancora colpisce il femminile mascolino (ed il maschile femminino). Per rendere pienamente soddisfacente la mia espressione di genere il mio corpo deve rappresentare il maschile, altrimenti, ai miei occhi prima ancora che a quelli del mondo, l’immagine interna resta confinata, inespressa e dolorosa.
Virile come esaltazione del maschile
Mi accorgo di andare nel verso opposto a quello dei miei amici in questa campagna per la determinazione di un nuovo maschile.
Non devo superare il senso di vergogna e il blocco di chi è nato con un corpo maschile e deve rivendicare la possibilità di essere fragile perché mi è stata fornita un’educazione femminile che ho elaborato con il cuore di un uomo, mentre rubavo quella maschile osservando, spiando, parlando e relazionandomi con gli uomini. Il “nascosto” è stato per me sinonimo di prezioso, naturale e bello per molto tempo, e ancora oggi tendo a nascondere ciò che amo.
Per me è il riconoscimento della mia identità maschile ad essere una conquista.
Parlo di identità maschile e non solo di essere uomo perché in me è prepotente tutto ciò che è attribuito al maschile, in me è prepotente l’istinto e il desiderio di vivere al maschile.
Ma cosa intendo per maschile? Quando ci penso la mente va subito all’Iliade e al contrasto Achille/Ettore. Achille è l’uomo/adolescente, non ancora emotivamente maturo e in cerca di conferma, di gloria, capace di conquistare ma non di costruire (attenzione perché queste sono categorie essenziali anche in amore).
“[…] Ettore tese le braccia a suo figlio, ma il bambino piegò la testa piangendo nel seno della nutrice, terrorizzato dalla vista del padre; lo spaventava il bronzo e il cimiero coi crini di cavallo che vedeva oscillare terribilmente in cima all’elmo. Sorrisero allora il padre e la nobile madre, e subito lo splendido Ettore si tolse l’elmo e lo depose, rilucente, sopra la terra; baciò suo figlio e lo palleggiò tra le braccia […]”, Omero, Illiade
Ettore è l’uomo consapevole della forza del proprio maschile e che si rende tenero, protettivo e accudente verso coloro che ama. Sa che la forza e la violenza attribuiti al suo sesso possono spaventare chi gli è vicino. E allora si spoglia di questa violenza, di una finta autorità per avvicinarsi a coloro che ama. E’ un uomo consapevole, che non ha bisogno di confermare il proprio essere maschio. E allora esalto il suo maschile, o, ancora di più, la virilità come dominio delle pulsioni distruttive, del bisogno come fine, virilità come capacità di costruire, essere una guida e proteggere. Esalto la dolcezza, le carezze e l’intimità che fanno parte del maschile. La carezza di un uomo e quella di una donna sono sempre gesti di tenerezza ma sono diversi nel loro realizzarsi, sono diversi al tatto. Non dipendono tanto dal corpo quanto dall’identità che li compie. Il mio corpo T è la prova tangibile, esso attraversa quello che “la differenza” vuole diviso.
—>>>Questo è un contributo di Ethan per la campagna #mascolinitàfragile. Inviateci storie, immagini, quel che volete, su stereotipi che riguardano il maschile e oltre. Su abbattoimuri@grrlz.net
—>>>Guarda le immagini e i meme creati per la campagna.
Leggi anche:
bisognerebbe liberarsi degli stereotipi, riscrivere la storia perché la questione del genere di un individuo non è legata al proprio sesso biologico, ma unicamente alla psiche: è quella che determina il sesso di un essere umano e solo una persona trans come noi può saperlo bene. è tempo di essere liberi, di non vergognarsi della nostra diversità. Forse un giorno la gente capirà che abbiamo qualcosa in più rispetto alla conformità degli altri esseri umani, come quando hanno rivalutato i mancini… Un abbraccio. Sarah