Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Femministese, Personale/Politico, R-Esistenze

Femministe e lesbiche contro la Gpa? Non in mio nome. Voi non rappresentate tutte!

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Avrete letto delle 50 firme contro la Gpa con documento pubblicizzato su Repubblica e vari ed eventuali – giacchè loro si che hanno i media a disposizione e possono dire alle donne quello che devono o non devono fare – a cui risponde la petizione di 50 bionde a favore della Gpa rivolta direttamente a Dio. Scherzi a parte, la cosa più grave di questa iniziativa è il fatto che ci siano 50 donne, femministe e lesbiche, che pensano di poter rappresentare tutte le femministe, tutte le lesbiche, tutte le donne. A dimostrare che così non è c’è intanto il durissimo pezzo di Milena Cannavacciuolo che su Lezpop parla di iniziativa della vecchia guardia lesbo-femminista.

Grave è che su questa questione, così come sul sex work, si ergano muri fatti di divieti paternalisti, imposizioni che un gruppo di donne bianche, occidentali, temo non-precarie, vorrebbero elevare al rango di regola, di legge morale per chiunque. Non si tratta solo del rispetto all’autodeterminazione che viene meno, perché una scelta autodeterminata va rispettata sempre, ma anche della mistica della maternità – della beddamatresantissima martire e addulurata – imposta come visione che le donne, femministe, in realtà, tentano di scrollarsi di dosso. Chi ha detto che il rapporto madre/figlio sia vissuto da tutte allo stesso modo? Chi dice che bisogna stigmatizzare le donne che si fanno pagare per una gestazione per altri, come se, a questo punto, anche quando è perfettamente legale e con tutte le garanzie del caso, si parlasse di commercio clandestino privo di morale?

Chi dice che le donne siano tutte vittime? Ed è questa vittimizzazione che finisce per rendere poco credibile la posizione di queste firmatarie, perché interviene solo in situazioni che la stessa cultura patriarcale osserva dallo stesso punto di vista. Donne che giammai vorrebbero essere staccate dai figli, alle quali delegare il ruolo di cura, senza mai sperare una condivisione di ruoli. Ed è interessante poi che tra le firmatarie non vi sia chi ha scelto, liberamente, tra un lavoro e la nera disoccupazione, perché se l’aveste fatto allora sapreste che si può scegliere liberamente perfino di raccogliere pomodori a due euro l’ora, perché tramite quel lavoro qualcuna inizia il percorso di emancipazione.

A tal proposito: dove stanno le firme per le vittime del caporalato? E per le schiave badanti? E per altre tante precarie che, per esempio, non vogliono affatto prendersi cura dei figli?  Chi decide qual è la funzione materna, cosa sia importante e cosa no? Perché non mi pare di aver letto in nessun libro di femminismo il fatto che nel 2016 avrei assistito alla più clamorosa negazione del femminismo stesso. L’utero è mio ma lo gestisci tu? Ma di queste cose, se avrete la pazienza di leggere anche solo qualcuno dei post linkati in basso, scritti su questa materia, vi renderete conto che abbiamo già mille volte parlato. Da anni parlo della terribile deriva autoritaria, a tratti destrorsa, intrapresa dal femminismo.

Parlo di imposizioni, di Donnismo, quel che è proprio di chi pensa che le donne, tutte, perché aventi una vagina in comune, fedeli ad una logica binaria che al massimo ammette le donne lesbiche, purché mai disponibili a prestare parole in soccorso dei gay che vogliono figli, debbano pensare, sentire, desiderare allo stesso modo e le stesse identiche cose. Parlavo di toni da crociata, di fanatismi che limitano la possibilità di una dialettica laica tra soggetti diversi appartenenti a generi diversi. Parlavo del fatto che femministe di un certo tipo siano favorevoli a reggere lo scettro di maschilisti che dicono che uomo e donna sono come natura li ha fatti, perciò quel che è cultura, ovvero imposizione di un loro punto di vista in relazione al genere e ai ruoli imposti per determinismo biologico, diventa “natura”. Perciò vi lascio ad alcuni commenti a questo documento.

Angela Azzaro scrive:

Leggo l’appello, firmato da lesbiche e femministe, contro la gpa e, devo ammettere, mi viene un colpo. Mi viene un colpo perché ho sempre pensato che chi si batte per la libertà di scelta, lo faccia in ogni campo. Invece scopro che la libertà di vivere la propria identità fuori dalla norma eterosessuale si fermi davanti alla maternità: la sessualità è libera, la maternità invece è – testuale – “norma”, natura, supremazia di una idea biologista della sessualità, dell’identità e delle relazioni.

Ho più volte scritto ciò che penso. Trovo assurdo che, anche chi la pensa diversamente, possa chiedere di vietare la gpa per tutte e tutti. Discutiamo quanto vogliamo, ma cedere alle tentazioni oscurantiste e proibizioniste lo considero un punto di non ritorno. E’ la presunzione di alcune e alcuni di possedere la verità e per questo di volerla imporre agli altri. Trovo anche davvero subdolo usare come argomentazione quella di voler contrastare lo sfruttamento delle donne. Lo sfruttamento esiste in mille campi, anche nei matrimoni tradizionali e nella maternità tradizionale. Il punto è far sì che ci siano regole chiare che impediscano lo sfruttamento, non vietare una pratica tout court per paura delle sue storture. Se infatti il ragionamento delle proibizioniste venisse applicato a tutti i campi, vivremmo in un Paese, in un mondo senza libertà.

Ma voglio tornare sul primo punto. Considero infatti quell’appello in contraddizione con le battaglie femministe e lesbiche di almeno un secolo: riproporre l’idea della maternità fondata sulla natura e sulla biologia, dà ragione a coloro che dicono che non si dà sessualità, amore, relazioni, desiderio fuori dalla norma eterosessuale. Insomma è come se le firmatarie attaccassero se stesse, come se volessero minare anche i loro diritti. Di questo voglio discutere. Sono sorpresa. E anche un po’ arrabbiata,

Federico Zappino scrive:

Se avessi visto anche solo una petizione a favore dell’abolizione del lavoro delle operaie del petrolchimico, o delle braccianti a due euro al giorno, o delle badanti (anch’esse tutte donne e tutte povere), o a favore dell’abolizione della precarietà nell’ambito del lavoro accademico – o a favore dell’abolizione del lavoro come fonte di reddito – sarei meno dubbioso nei riguardi dell’appello delle cinquanta intellettuali e militanti lesbiche bianche e occidentali che, su “Repubblica”, firmano per il “mantenimento della norma di elementare buon senso secondo cui la madre legale è colei che ha partorito”.
Gli stessi dubbi li ho anche nei riguardi delle classiche risposte secondo cui tali appelli mirano a calpestare l’autodeterminazione delle altre. Non saprei dire con certezza se una gestante surrogata si stia autodeterminando: personalmente, sono più propenso a ritenere che stia scegliendo di svolgere un lavoro che è più retribuito di altri, tra alternative scarse, sia materiali sia simboliche. Quindi, piuttosto che farci paladini di autodeterminazioni altrui, delle quali non abbiamo troppe certezze, proporrei di dirottare la critica verso la più nota volontaria cecità della borghesia occidentale di fronte ai rapporti di forza, e verso la sua esplicita connivenza. Vale sempre la pena, d’altronde, scompigliare quelle “norme di elementare buon senso” per cui morire raccogliendo uva per due euro al giorno scandalizzi di meno della surrogacy.

Antonella scrive:

A me “l’elementare buon senso” mi fa senso. E che tale locuzione sia usata da persone di cultura mi fa decisamente orrore.
A me l’idea che si debba stabilire che è madre SOLO chi partorisce mi fa incazzare. Molto. A me ‘sto fatto che c’è chi scopre che esiste “un sistema organizzato che comprende cliniche, medici, avvocati, agenzie, tutti mossi dal proprio interesse monetario” solo in relazione alla maternità legata alla GPA mi fa salire la pressione. A me che tu sei lesbica e pensi perciò solo tu di avere verità in tasca relativamente a cosa significhi essere donne madri genitori avendo a cuore i BAMBINIIIII e che il resto del mondo invece i bambini li odia e li vuole mercificare mi crea immagini al napalm nella testa.
Sono lesbica e sono fermamente contraria al divieto per la GPA.
Sono lesbica e penso sia un errore clamoroso approcciare questo tema nella modalità proposta dal documento in questione.
Sono lesbica ma non sono scema: chi pretende di azzerare la complessità di un tema di questo tipo – silenziando il dibattito prima ancora che inizi davvero – non ha tenuto conto di nuove soggettività (che conoscono l’oppressione di questo porcomondoinfame su diversi e innumerevoli piani). Quelle soggettività non potranno essere messe a tacere. Non ci contate.

Da leggere l’articolo di Chiara Lalli su l’Internazionale. Ve lo ripeto: il pezzo di Milena Cannavacciuolo su Lezpop.

Se ci sono altr* che hanno qualcosa da dire in proposito il nostro blog è aperto. Diteci, perché il fatto che le 50 siano più visibili non vuol dire che siano le sole al mondo e che tutte le altre la pensino allo stesso modo.

Se volete: abbattoimuri@grrlz.net

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1 pensiero su “Femministe e lesbiche contro la Gpa? Non in mio nome. Voi non rappresentate tutte!”

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