Lei scrive:
La notizia di una educatrice stuprata da un gruppo di ragazzi mi ha toccato nel profondo. Mi ha fatto riemergere ricordi spiacevoli, mi sono passate davanti le frasi, le parole, gli atteggiamenti discriminatori che ho vissuto da parte di colleghi (e colleghe) che invece avrebbero dovuto sostenermi.
E’ dieci anni che lavoro nell’ambito dell’educazione e del socio-sanitario. Ho visto donne, anche di una certa età, a capo della gestione di comunità per minori o per tossicodipendenti, o disabili. Donne. Alcune con corpi gracili, che riuscivano a tenere testa a uomini il doppio di loro. Uomini senza molti scrupoli in fatto di rispetto.
E’ tuttavia dieci anni che mi sento dire che gli educatori lavorano meglio, che le educatrici in comunità portano scompiglio, che non sanno difendersi, che sono deboli, fragili; che, se sono belle, agitano l’utenza, che con i loro corpi rimandano richiami sessuali, portano preoccupazioni. Per quanto in gamba magari non vengono assunte. E questo è terribile.
Al corso di scienze dell’educazione la maggior parte delle iscritte sono donne. E’ un lavoro visto ancora come ruolo di cura, quindi qualcosa che appartiene alla sfera femminile. Paradossalmente però, già nei primi giorni di università, agli incontri conoscitivi con il rettore e alcuni professori si vociferava di quanto i maschi fossero migliori e “che peccato che non se ne iscrivono così pochi”.
Una direttrice di un istituto infantile, che avrebbe dovuto raccontarci come si svolge il lavoro e le possibilità occupazionali, fece qualche battuta su quanto fosse piacevole fare le riunioni con gli uomini rispetto alle donne che invece “sono isteriche , e sempre mestruate” e “se mi si presenta un uomo alla porta lo assumo subito”. Coraggiosa. Lo è venuta a dire davanti a 300 iscritte, che pagano regolarmente l’università, che magari hanno voglia di impegnarsi e che in questo lavoro, davvero vogliono metterci il cuore.
Si, avremmo dovuto alzarci in massa e abbandonare la sala. Eppure non lo abbiamo fatto. Questo perché certi discorsi triti e ritriti li sentiamo da sempre, da quando siamo bambine. Alcune annuivano, altre ridevano. Ecco.
Sono stanca.
Sono stanca, sfibrata. Perché so di aver raggiunto una certa consapevolezza nell’ambito lavorativo. Di essermi presa botte, schiaffi e graffi, esattamente come i colleghi. Solo che ho trasformato quelle ferite in consapevolezza e autorevolezza.
Ho vissuto tanto sulla mia pelle e confesso di aver avuto paura, la stessa che molti colleghi hanno avuto, ma che difficilmente confessano. Alcuni mi hanno raccontato i loro stati d’animo, abbandonando la supponenza che non gli permetteva di imparare anche qualcosa da me. Solo questi scambi paritari permettono di arricchire il lavoro.
Questo lavoro a volte è un delirio perché sei costretto ad immergerti fino al collo, sei spinto ad agire prima ancora di pensare. Non c’è tempo. Perché sei sol@, perché hai tante cose da fare, perché spesso le cose non vengono gestite in prevenzione, ma risolte nel momento in cui si presenta l’emergenza.
Non vengono rispettati gli orari di lavoro stabiliti per legge, e magari dopo un turno di notte di 10 ore fai anche quello di giorno. E le tue capacità cognitive dopo 17 ore di lavoro hanno poco a che fare col tuo sesso d’appartenenza.
Educare non è non assumere una educatrice (per quanto in gamba) in quanto donna. Educare è assumerla e permetterle di lavorare in sicurezza, non da sola con, davvero, troppi utenti da gestire.
Educare è anche porre attenzione al linguaggio che usiamo. Se per primi sono i colleghi e le colleghe a pensare che le donne non possono svolgere questo lavoro, cosa viene trasmesso a dei ragazzi già abbastanza impregnati di questo tipo di cultura dello stupro?
Le colleghe vanno supportate, non discriminate.
Se avviene uno stupro in una comunità, è bene ribadirlo:
non è perché c’era un’educatrice invece che un educatore.
Non è perché l’educatrice è troppo carina.
Non è neanche perché “fa parte dei rischi del mestiere”. No, assolutamente no.
Se avviene uno stupro in comunità è perché:
- non c’è stata prevenzione. Attraverso un’educazione sessuale e affettiva. che decostruisca certe dinamiche e che prevenga certi rischi dentro e fuori dalla comunità. Si deve lavorare su chi stupra e non su chi subisce lo stupro, perché chi stupra può farlo (o può già averlo fatto) all’esterno. Non è una cosa da poter marginare non assumendo un’educatrice, dato che questi ragazzi spesso frequentano la scuola, o hanno un lavoretto, o scappano dalla comunità. Chi subisce lo stupro sa già che è sbagliato. Dire che poteva evitarlo facendo la commessa è veramente schifoso.
- Un’altra causa che aumenta i rischi sul lavoro è che si fanno i turni da soli per risparmiare sulla pelle del lavoratore/trice.
- Anche i colleghi rischiano a fare i turni da soli e potrebbero rivendicare questa cosa insieme alle colleghe, invece di competere.
- Si fa pochissima formazione per affrontare invece un tema importantissimo, che è appunto l’educazione sessuale. Che fa parte del nostro ambito, ma che anche all’università viene affrontata veramente troppo poco. Per cui non ci sono gli strumenti necessari.
Chiedo: quanti colleghi alle prime armi hanno avuto paura? Quanti hanno pensato di mollare? Quanti sono rimasti soli durante il turno di notte e non sapevano più come gestire la violenza? Porte rotte a suon di calci, letti ribaltati, urla, offese, sputi in faccia. Quanta angoscia è stata silenziata dal fatto di essere uomini e quindi di non poter esprimere le proprie fragilità? Quanti/e si ritrovano alla fine a fare da secondini in un luogo trasformato in un carcere, invece di fare gli educatori/trici? Quanti si ritrovano speculari all’utenza, esasperati, rispondendo a specchio, senza riuscire ad uscire da questa forma autoritaria in cui si è trasformato il lavoro?
—>>>quella che inserisco a supporto delle affermazioni della nostra amica è un’immagine tratta dai social, con un commento, uno tra i tanti, che spiega in poche parole qual è la mentalità con la quale le educatrici si ritrovano ad avere a che fare. Che meraviglia, vero?
L’ha ribloggato su gatt(A) randagi(A)e ha commentato:
Ecco, colleghe(educatrici, assistenti sociali, psicologhe, operatrici). Vi ci ritrovate almeno un po’?. E voi che ancora studiate, corrisponde alle vostre paure, timori sul futuro e discriminazioni che già un po’ subite?.
Ho letto con interesse il tuo articolo. Condivido il tuo pensiero e molto altro. Sono Educatrice.