Raccogliendo ancora voci delle “dirette interessate”. Perché è facile parlare sulla loro pelle senza ascoltarle. Troppo facile.
“Questi giorni ognuno ha detto la sua sul Burkini, sul velo, sulle donne musulmane, le musulmane oppresse, le musulmane costrette ad indossare il velo.
Ognuno ha detto la sua, le finte femministe, i giornali, Fiorella Mannoia e chi ne ha più ne metta.
Ognuno ha voluto dire la sua, parlando dall’esterno però, senza far parlare le dirette interessate.
Ognuno ha voluto dire la sua, sulla mia fede, sulle mie scelte, sul mio corpo e su ciò che voglio mostrare e ciò che non voglio mostrare.
Vi siete messi in poche parole al posto mio, io musulmana nata e cresciuta in Occidente, io musulmana Occidentale. Perché anche se vi suona male si può essere sia musulmane che Occidentali.
Vi siete messi al posto mio, avete detto parole che non volevo dire, mi avete dato della sottomessa e dell’oppressa senza conoscermi e senza avermi chiesto niente a riguardo.
Eppure, parlate di me, pensate di voler liberare me.
Mi avete tolto la parola e la libertà di vestirmi come voglio.
Avete generalizzato, facendomi pagare le conseguenze di chi costringe altri a non essere liberi.
Allora mi chiedo, vi sentite così tanto diversi da chi dall’altra parte del mondo costringe le donne a velarsi quando qui volete costringere le donne a svelarsi?
Vi sentite così diversi quando parlate di libertà vietando ad altre donne la libertà di scegliere ?
Vi chiedo di non parlare a nome mio.
Vi chiedo di non parlare a nome mio, perché date per scontato troppe cose.
Date per scontato che il velo sia sempre un’imposizione e non una scelta e un atto di devozione.
Date per scontato che io non sia libera di scegliere, libera di godermi il mare indossando quello che voglio.
Date per scontato che se in un paese le donne non sono libere di scegliere allora lo sono ovunque.
Visto che non mi avete fatto parlare, vorrei dirvi che al mare ci andrò indossando il Burkini, sentendomi libera come qualsiasi donna Occidentale.
Vorrei dirvi che le donne oppresse altrove sono mie sorelle e che prego ogni giorno per la loro libertà, la stessa libertà di scegliere di cui voi mi volete privare.
Domani andrò al mare indossando il mio Burkini, perché sono una donna, poi una musulmana che deve essere libera di scegliere.”
“Bene, che ci venga chiesto che ne pensiamo allora, che ci venga chiesto se siamo costrette. Voglio proprio vedere se qualcuno sulla spiaggia mi ferma e mi fa “scusi, ma da cittadino responsabile vorrei fare il mio dovere civico e chiederle se un uomo stamani l’ha forzata a mettersi la tuta”. Rispondo in modo un po’ acido un po’ perché a forza di leggere la parola “costretta” nello stesso discorso in cui viene scritta la parola “musulmana” mi ha esasperata ultimamente, ma più seriamente dico che reagisco così anche perché questi sono discorsi generalizzanti a mio parere. Voglio prendere come campione alcuni casi presenti in Italia a prova della “accusa”, e ne parlo in modo ampio giusto per dare un’idea: ci sono donne straniere che non si scoprirebbero mai, magari più per cultura che per religione, e non hanno uomini contro la loro decisione perché essi la condividono. Ho conosciuto persone per cui è semplicemente naturale non entrare neanche in acqua ed è normalissimo che l’uomo invece ci entri, e sono casi spesso di persone ben salde nelle loro convinzioni e nel mantenere in un paese che non è il loro un’identità che separi loro da tutt* gli altr*. Le spiegazioni possono essere molteplici, possiamo dare per vero sulla base delle esperienze comuni che molte straniere indossano il velo anche se provengono da Paesi in cui è indossato sì e no (ad esempio Tunisia e Marocco). Ci sono donne di origine straniera, talvolta di seconda generazione, che decidono diversamente dai “connazionali” di cui ho appena parlato, oppure fanno le stesse scelte di vestiario con ragionamenti diversi. Ci sono donne che si sono semplicemente convertite e si velano, come ho fatto io, perché molto legate al proprio cambiamento, perché desiderose di esternare con gli altri la propria fede e i tratti religiosi della propria identità e per molti altri motivi slegati di certo dai connazionali italiani, ma anche da qualsiasi volontà di qualsiasi uomo. Ci sono donne italiane e non musulmane costrette dagli uomini che a prescindere dalla religione, o usandola come pretesto (e non solo l’Islam viene preso come pretesto e distorto), decidono che esse non toccheranno l’acqua. Ci sono donne italiane costrette dai compagni “musulmani”? Certo, ma spesso e volentieri non toccano neanche l’acqua. Plagiate? Certo, ci sono anche loro. Ma vista tutta questa lunga serie di esempi, appartenenti ad una lista ancora più lunga e particolare per ogni donna, non credi che il tuo discorso sia generalizzante? Che non trasmetta il messaggio “loro tutte non sono libere di farlo” (se vuoi puoi mettergli il fiocco scrivendo “probabilmente)? Vietare il burkini serve a cosa, a limitare le migliaia di donne che hanno scelto liberamente di indossarlo? Per le donne costrette ci sono altre soluzioni, altre strade da percorrere, altri discorsi da fare, e negare questo diritto non le aiuterà. E’ come dire “vietiamo la prostituzione perché ci sono le prostitute sfruttate!”: vuol dire che quelle non costrette non potranno fare il proprio lavoro e che entrambe le parti agiranno nell’illegalità. Forse è un esempio azzardato, ma spero di aver reso l’idea.”
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Allora, dico anche io la mia, senza avere la presunzione di impartire lezioni a chicchessia e rispettando le opinioni di tutte. Un certo abbigliamento nasce, comunque lo si voglia vedere, come segno di oppressione maschile, su questo credo non ci siano dubbi. Che poi ora, in epoca moderna, non sia sempre e non ovunque obbligatorio, è un grande passo avanti. Ma mi chiedo, quanto sia effettivamente una libera scelta oppure il risultato di una magari non percepita appieno, pressione sociale. Il discorso che fa la Zanardo, ad esempio, è questo: quando un certo abbigliamento non sarà più un simbolo del patriarcato e dell’oppressione della donna, allora sarà veramente indossato con coscienza. E’ lo stesso discorso della maternità, che spesso si dice anche qui che non possa essere una vera scelta ma piuttosto il risultato di una pressione sociale ancora forte, che fa sentire le donne in qualche modo obbligate a divenire madri. Perchè allora un certo tipo di abbigliamento non dovrebbe porre lo stesso dubbio? Poi, per me ogni donna deve essere libera di vestirsi come più le aggrada, non mi permetterei mai di commiserare chi indossi il velo o il burkini o scegliesse la nudità. Però, se vogliamo veramente una discussione franca, dovremmo smettere di parlare con il paraocchi, accettare ogni punto di vista, trovare obiettivi comuni e portarli avanti. Il femminismo è vario ed eterogeneo, com’è giusto che sia, ma fare barricate non serve a niente. Io mi auguro solo che sia rrivi presto ad una vera libertà e parità dei diritti delle donne, di tutte le donne, che le pressioni sociali di cui siamo tutte vittime, in qualche modo, vadano a sparire. Ma per far questo, occorre un ulteriore sforzo di coesione.
A me lascia perplessa che siano sempre le fedeli, di tutte le religioni monoteiste, a doversi velare, a dover essere preservate, tutelate, protette e tutte le balle spacciate per addolcire il dominio maschile.
Dio è sempre maschio, misogino, vendicativo e noi femmine proprio dobbiamo coprirci, perchè spiegare ai maschi che devono tenerselo nei pantaloni finchè la donna non dice di sì è troppo complicato, talmente complicato che infatti il maschilismo è un problema planetario, anche dove non ci sono Dei.
Premesso questo, non credo nel proibizionismo e trovo controproducente il divieto anche se trovo interessante che sia vietato in piscine e resort del Marocco, dove mi pare che di musulmani ce ne siano parecchi.