
di Mario No
Sono stanco, enormemente, profondamente, emotivamente stanco.
Qui leggo che gli uomini – tutti gli uomini – sarebbero responsabili della violenza di genere, indiscriminatamente, fino a quando non accettano di avere un ruolo sociale nel dovere di dissociarsi, se non accettano di farsi marchiatori apponendo stigma sociale ad altri uomini, che una volta commessa violenza non sarebbero più “veri uomini”.
Su Internazionale invece l’accento si pone sulla rieducazione dell’uomo patologicamente violento, ma delle cause di questa violenza non se ne parla. E allora mi viene il dubbio che questa violenza si ritenga essere innata.
E io sono stanco, svuotato da queste retoriche, da questa mentalità della contrapposizione che non conosce logica, solo capri espiatori.
Vorrei parlare di femminicidio, inquadrare la questione ma scusate non ne sono capace. Non ho una panacea per risolvere una violenza o le violenze, mi limito a vederle. E questo mi sfianca, perché non esiste riposo, la violenza è nel rumore di fondo del chiacchiericcio di una piazza all’ora dell’aperitivo, la violenza è nelle scuole, nelle relazioni e in una semplice chiacchierata, sul posto di lavoro, nella sua assenza, nei vicoli bui e sulle spiaggie assolate, in quei luoghi chiusi che quasi ci scordiamo che esistono prigioni, caserme, reparti psichiatrici, basi militari o ancora in quelli che si ricordiamo solo quando servono ospedali, case di riposo, nei magazzini vuoti e nelle stazioni, nelle chiese e nei bar, nei circoli, nei musei. Dietro ogni muro si sviluppano storie, sotto -quasi- ogni tetto. Decine, centinaia di migliaia, se non milioni di persone che condividono spazi, incrociano esperienze, inseguono gli attimi della propria vita per non farsene scappare nessuno. Questo vedo, e in mezzo a tutto questo un brusio indistinto di giudizio rabbia sdegno frustrazione gioia rimorso sconfitta rivalsa sopraffazione possesso rinuncia fuga caccia, odio e amore.
Scusatemi se non sono in grado di inquadrare politicamente il problema, se non mi sento in grado di offrire risposte che creino anticorpi sociali.
Il fatto è che mi sembra evidente come il vivere in consociazione abbia come diretta conseguenza il dissociarsi da altri, il tracciare un confine, il creare un’identità che ci accomuni e ci divida, che ci permetta di mettere radici nella terra su cui camminiamo.
Colonizzare l’altro, renderlo parte di me per poterne disporre, per chi non avesse capito è di questo che sto parlando. La violenza parte da qui e si struttura nelle sue infinite sfaccettature nel momento in cui si indirizza verso una categoria altra e io delle categorizzazioni ne ho le palle piene. Se si tratta di brusio, di un commento tagliente a giudicare o a imporre regole di comportamento o di una sopraffazione fisica a imporre immobilità o azione o annichilimento poco mi cambia, fa tutto parte della stessa vecchia fetida baracca, sono tutti mattoni in quei muri di prevaricazione.
L’autodeterminazione è semplice, sceglierla significa applicarla -sempre- a noi tanto quanto a chi abbiamo di fronte, indistintamente.
Porto ancora i segni addosso e dentro di me della violenza che ho inferto e di quella che ho subito, e davvero l’unica cosa che mi preoccupa è vedere quanto sia facile giudicare senza il minimo d’introspezione, c’è sempre qualcun* da sacrificare per espiare i peccati di tutt* e purificarli con un bel bagno di sdegno ipocrita.
Smontare la violenza significa smettere di agirla in ogni sua forma, decidere di smettere di subirla per quanto nelle nostre forze al di là delle categorizzazioni, senza cercare giustificazioni che servono solo a lasciare intatto il diritto dell’una o dell’altra categoria di esercitarla.
Questo per me ha un solo nome -fascismo- e a me delle guerre tra fascisti non me ne può fregare di meno, qualsiasi sia il campo di battaglia.
Io diserto.
Leggi anche:
- Il femminismo, la rieducazione del maschio e la teoria del passo inverso
- Femminicidio: non si risolve con la rieducazione del maschio
- #seseiunuomofirma: quella orribile petizione contro il #femminicidio
- A chi serve un #femminismo che infantilizza le donne?
- Per le femministe della differenza: ci avete prolassato l’utero!
- Di quelle donne che reclamano il patriarcato buono
- #25N: Care ragazze, non ascoltate le professioniste del vittimismo!
- Del femminismo necrofilo e la “vittima” come modello sociale
- In Italia si pratica il donnismo antifemminismo (Movimento di distrazione di massa)
- La retorica sul femminicidio non serve a niente
- #Brand #Femminicidio: Quanto mi paghi se faccio la donna morta?
- #Femminicidio: perché lei non lascia il suo carnefice?