Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, Personale/Politico, R-Esistenze

La realtà, di corpi, vite, generi, che spaventa il mondo

Quel che si sa è che l’imperfezione non può essere tema di rivendicazione. Se vuoi restare in riga devi rivendicare quel che comunque è fedele alle norme sociali. Rivendichi di poter vivere in santità, del tuo corpo rivendichi il riconoscimento della sacralità, della tua vita la maggior parte delle volte vendi menzogne che ti facciano comunque apparire fedele alle convenzioni sociali. Non puoi rivendicare uno spazio per dirti imperfetta e umana. Per descrivere la perdita di verginità di qualunque tuo orifizio. Per raccontare il fatto che il tuo corpo non è affatto sacro e dunque non lo tieni mummificato, perfettamente levigato, come tu fossi una statua di marmo.

Il tuo corpo ha croste, smagliature, peli, rigonfiamenti, cicatrici, ed è così grave per la società il fatto stesso di mostrarli che quando e se lo fai ti senti in colpa. Ti devi misurare con chilometri di offese, di sputi, insulti, vomito in faccia, e pietre sulle spalle. Il tuo corpo non è nato così come lo vedono quell* che vorrebbero tu fossi ancora come una neonata, una piccola bambina senza un solo graffio, lolite senza macchie, senza screpolature, senza segni dell’usura, perché i corpi sono vivi solo se li consumi, e dunque la pelle consumata è segno che hai vissuto e non sei rimasta blindata nella tua stessa prigione.

Dovrebbero esserne felici, tutti quanti, quando hai il coraggio di tirare fuori la tua umanità, quello che ti rende forte e empatica, perché sai capire il mondo quando sei in grado di capire te stessa, così come la tua intransigenza si misura prima su di te che su altre persone. Delle donne è impossibile vedere rughe, linee del tempo, corpi vissuti o comunque al “naturale”, dove quel “naturale” viene deciso da chi traccia le dimensioni della propria erezione a seconda di quel che l@ eccita e coincide con la propria preferenza sessuale. Ti piacciono bambine, abbiamo capito, ma non è così per tutti, perché il mio amore bacia tutto quello che di me è perfettamente umano e non si occupa di dirmi a quale norma dovrei essere fedele.

Il corpo è cosa da tenere segreta perché è come se a vederlo scorgi tutto il dolore che viene custodito là dentro. La pelle ispessita e a grattarla via vedi l’altro segreto impossibile da dire. L’altro stigma che è fatto da disturbi alimentari, depressioni, malattie mentali, e non mi riferisco a quel che anticamente segnava la differenza tra sani e malati, perché che io sappia tu sei malat@ ma non hai ancora una diagnosi che ti riguarda. Anzi: sei tanto più pien@ di problemi se ti scagli violentemente contro i disturbi altrui, scavando nell’altrui dolore per rintracciarvi una chiave patologizzante per sentirti meglio con te stess@, riuscito, finito, perché in fondo hai il timore di dirti vinto o vinta, di raccontare come la sconfitta ci riguarda tutti e anche tu resti prigionier@ entro quel perimetro creato ad arte per chi sporca l’immagine fasulla del mondo con la propria imperfezione.

La terza faccenda che pesa come un enorme macigno sulla testa delle donne è l’idea di perfezione materna, la donna pulita, perfetta, depilata, truccata, in una immagine da donna anni ’50, felice di fare la casalinga, per nulla frustrata o giammai sognante di altri percorsi, la donna pacifica, leggera, bella, buona, gentile, sensibile, materna, accogliente, in grado di sedare il malumore del marito e di sorridere ai figli a qualunque costo. Donna sacrificata, agnello che sta espiando i peccati del mondo, madonna addolorata che si fa martire e compie sacrifici immensi per i figli. Donna perfetta che mai potrebbe fare del male, tantomeno si può dire che potrebbe fare male ai figli, contrariamente all’idea che si ha dell’uomo, secondo attribuzione di ruolo di genere in sequenza binaria. Ed eccoci a soffocare rivolte interne, a non poter mostrare altro di noi. Così vedete che è un tutt’uno. Il corpo, i peli, i difetti, i disturbi, evidenti se mostriamo atti di autolesionismo, e forse si attenuerebbero se solo non dovessimo apparire tanto perfette. Il corpo, il nostro umore, tutto quello che ci capita di sbagliato e difficile e poi il peso addosso, la pressione sociale su quel che dobbiamo fare o essere in quanto donne.

Fedeli, mogli, madri. Mai “in carriera”. Lontane per lavoro, ma mai per noi stesse. Egoiste, ma esserlo non è mai sano. Pensare a noi stesse non è un’eventualità da considerare. Madri quiete e pazienti, invece che le donne difettose che non corrispondono all’immagine attribuita per nascita. Il corpo, il dolore intimo, i ruoli di genere mal interpretati. Donne cattive, donne aggressive. Mostruose se diamo schiaffi e gli uomini invece trovano sempre una scusa. Li hai provocati, non potevano trattenersi, è la natura, e invece quel che per noi è natura è anche la nostra prigione. Non siamo libere di manifestare la nostra aggressività, perfino la violenza, perché le donne non sono così. Le donne fanno sesso solo per amore, e non come quelle bestie che sarebbero gli uomini. Le donne non godono ma rispettosamente fingono in silenzio. Le donne hanno “nel sangue” la voglia di essere eternamente quiete e sono brave in tutto, incluso l’essere madri. Non può esistere una madre imperfetta, sbagliata, umana, che non è stata per niente brava, che ha commesso degli errori. La donna, le nuove madri imperfette che emergono, oggi vengono narrate per lo più da uomini che vogliono appropriarsi della bella immagine di genitori affidabili. Forse perché per tanto tempo non sono stati descritti in quanto tali o forse per altre ragioni, ma il punto è che le madri “cattive” sono descritte da voci altre e le madri, allora, per tutta risposta, invece che smontare lo stereotipo che le vuole perfette, raccontano di essere vittime, martiri, sante, serrando ancora di più le sbarre della propria prigione.

Alle donne non è dato il diritto di narrarsi imperfette. La tua imperfezione viene descritta da chi ti condanna e giudica e non da te che hai tutto il diritto di analizzare, assieme a tutte noi, quello che hai vissuto o che vivrai, mettendoti in discussione senza aver paura di prestare il fianco a chi vuole accedere al file in cui sono nascosti i tuoi errori per fare emergere la menzogna. La società impone a chiunque tra noi di vivere di menzogne, apparire sante e perfette, migliori e inattaccabili, e chiunque abbia accesso alla tua vita, o vorrà inventare una stronzata che ti riguarda, potrà ricattarti dicendo di te che presto ti smaschererà, ti darà in pasto a chi ti metterà alla gogna, a chi ti lapiderà perché sei un’infedele.

Infedele al ruolo imposto, a tutto quello che si dice delle donne. Corpi perfetti, mente perfetta, vite perfette, realizzate, compiute, senza avere la consapevolezza che l’interezza è data dalla somma dei tuoi errori, dal modo in cui convivi con essi, dal fatto che non temi le minacce di chi immagina di sapere di te e invece non sa un cazzo.

Non lasciate ad altre persone il diritto di definirvi. Sia che si tratti della paparazzata cellulite di una showgirl in vacanza ai Caraibi, sia che si tratti di una notizia sulla vostra vita reale. Siete voi che dovete farlo, per voi stess* innanzitutto, per disinnescare l’arma che altre persone possiedono, perché non potete essere tenut* in ostaggio da chi vuole solo farvi del male. Perché parlare di se’ non è reato e nessuno può scipparvi il diritto di raccontare le vostre vite senza filtri e senza corrispondere all’immagine demonizzata che altri vorranno dare di voi. Non demoni, non mostri, ma persone, solo questo. Siamo corpi, menti, anime, vite sporche, sconce, inabili ad abitare piedistalli adatti solo alle sante. Noi siamo in terra, complesse, puttane, cagne, troie, pazze, egoiste, senza ritegno, e non ci vergogniamo di sostenere lo sguardo di chi ci odia, di chi pensa male, di chi pensa di essere “superiore” o di chi presume di sapere tutto e non sa niente. Dite che siamo scimmie, lardose, grasse, brutte, dunque femministe, e poi che abbiamo vagine slabbrate, schifose, dalle quali è sconcio pensare siano passati figli che portano attaccato alla pelle il nostro lordume. E siamo cattive madri, amanti lussuriose, siamo violente perché perdiamo la pazienza, perché non siamo le creature angeliche che volevate fossimo e perché abbiamo dato schiaffi, calci, e a noi non serve dire che avevamo una “ragione”. Abbiamo fatto tante cose e ce ne assumiamo la responsabilità, non sfuggiamo il peso, non abbiamo voglia di mentire, in quest’epoca fatta di esposizione pubblica, dove hai necessità di costruire un soggetto bello da guardare e da conoscere sui social, con le foto di coppie sorridenti, di te e il figlio, sorridenti, di te e il padre, sorridenti, di te e la madre, il fratello, la sorella, sorridenti, anche se poi vi scannate in privato, anche se le tue parole non suonano vere perché quei tanti cuoricini, i sentimenti piegati ad espressioni iconiche rubate ai social, non ci rappresentano.

Ma di che cuoricini e selfie di meraviglie felici stiamo parlando. Che balla la famiglia pacifica, invece che quella che è realmente. Con contraddizioni, da guardare in tutta la sua meravigliosa complessità. Che balla la faccenda della perfezione, con il terrore di toccare con mano chi si presenta per quel che è: una persona vinta, sconfitta, che mostra fragilità e debolezze. E invece una persona così ci fa pena, diventa vittima di cyberbullismo, ed è di questo che abbiamo paura, di quello che è a tutti gli effetti terrorismo, simbolico, sociale, virtuale, fisico, che ci spinge poi a nasconderci, a sotterrare i corpi, segreti, sessualità, difetti, umanità, ruoli di genere, fallimenti. Abbiamo il terrore di quel che potreste dire, di come potreste trattarci, di come potreste farci apparire, voi, se solo concedessimo un’oncia della nostra intimità, quella in cui ruttiamo, caghiamo, scaccoliamo, mandiamo a fare in culo il prossimo e poi trascuriamo cose o persone che a parole diciamo di amare.

Insomma eccoci. Noi siamo umane. Siamo persone. Siamo reali. E se volete davvero saperne di più smettete di censurarci, stigmatizzarci, di insultarci quando ci presentiamo con i nostri abiti reali, o altrimenti non dispiacetevi quando arriviamo tra voi ed è un piacere vedervi scappare, con la paura che avete di incontrare voi stessi/e. Non dispiacetevi quando invadiamo la vostra bella bacheca facebook con i nostri peli, la cellulite, i nostri problemi, le nostre vite, quel che siamo in realtà. Noi siamo questo, siamo reali, ed esistiamo per ricordare a te, a te, a te, a noi stesse, che lo specchio della società dello spettacolo, quella che tiene all’immagine più di tutto, può essere infranto. Non vedete le crepe? Ancora una spinta, ancora una storia, una foto, ancora un po’ di tutte noi, e quello specchio cadrà. E poi saremo qui a raccogliere i vostri cocci, quelli di tante persone che senza quello specchio non sanno come vivere. Quelli di chi dapprima penserà di vedere un mondo meno scintillante, opaco, senza sapori né buoni odori, ma poi recupererà vista, tatto, gusto, udito, olfatto, e scoprirà quanto sia doloroso ma incredibilmente emozionante, un vero trip, entrare in relazione con la realtà non più mediata da nessun@.

E dunque scegli cosa vuoi essere e cosa vuoi vedere, ascoltare, annusare. Pillola rossa o pillola blu?

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