Come la cultura dominante condiziona l’immaginario e le aspettative femminili, in linea coi peggiori stereotipi di genere.
Di Martina Manfrin
La lingua, scritta e parlata, costituisce un mezzo di espressione individuale, culturale e sociale; pertanto, un’analisi lessicale e statistica dei lemmi risulta essere un’ottimo indicatore di come alcune fasce della popolazione percepiscono il mondo che le circonda.
A tal proposito, chi scrive ha deciso di utilizzare alcune tecniche di elaborazione del linguaggio naturale (Natural Language Processing, NLP) per delineare gli orizzonti semantici delle lettrici degli “Harmony”. Più in dettaglio, si è partiti dal catalogo di suddetta collana -distribuita dalla casa editrice Harper Collins Italia- e lo si è esplorato mediante l’uso di programmi informatici.
Come riportato dal grafico sottostante, in testa alle 20 parole più frequenti nei titoli di questi romanzi rosa troviamo il prevedibile “amore”, a cui fanno seguito le parole “notte” e “capo”; esce invece dal podio “cuore”, che deve accontentarsi del quarto posto, a fianco di “vendetta”.
Per approfondire la questione, abbiamo deciso di analizzare quali lemmi venissero più frequentemente associati all’amore, che appunto è la parola più gettonata; si sono dunque osservati i seguenti fenomeni: “capo” aumenta la sua frequenza relativa fino a raggiungere “notte”; a seguire incontriamo “deserto” ed “estate”, ovvero dei lemmi legati fra loro da un punto di vista semantico in quanto rimandano a un concetto di calore, il quale, com’è noto, risveglia passioni inattese: ne erano una prova tutti quei turisti di entrambi i sessi che ogni anno vedevo arrivare a Cuba in cerca dell’anima gemella.
Arrivati a questo punto, resta da chiedersi quali ingredienti potrebbero costituire la base per il prossimo bestseller strappalacrime: forse una notte d’amore col capo? Purtroppo ci ha già pensato E.L. James, che con le sue “Cinquanta sfumature di Grigio” ha dato vita a uno dei più grandi successi editoriali degli ultimi anni.
Questo mi ricorda una discussione avuta di recente con una delle mie ex compagne di università: trentenne, laureata, insegnante supplente alle scuole medie. Si lamentava con la sottoscritta del fatto che la madre non gradisse il suo fidanzato per il fatto che era un semplice segretario; di contro, l’augusta genitrice si vantava con la figlia di come, ai tempi suoi, fosse riuscita a prendersi “almeno un dirigente”. Inutile dire che la ragazza si sentiva un po’ in colpa per la sua scelta e temeva, in questo modo, di deludere le aspettative dei genitori.
Mi chiedo, a questo punto, quale sia il valore dato all’istruzione e ai sentimenti e soprattutto quali pressioni mediatiche eserciti la società su una giovane donna al giorno d’oggi: ci spingono a lottare per laurearci, per entrare poi in una grande azienda…ed infine rimorchiare il manager di turno durante un meeting. L’alternativa? Restare single e precarie, sottopagate; è la storia di Cenerentola che si ripete.
Non so a voi, ma a me un simile scenario mette parecchia tristezza.
Spero sia solo… sporadico e non radicato questo pensiero…
Però il nesso denaro-accasamento c’è, è evidente.
…a perplimermi è la parola “greco”…