Lei scrive:
Mi chiedo dove sbaglia una mamma quando dice che fatica con i propri figli, se sbaglia a dire che pur amandoli profondamente rimane una sottile distanza fra lei e loro incolmabile perché la fatica di occuparsene è troppa. Mi chiedo perché una mamma che ha deciso di tenere un figlio che non voleva debba stare in silenzio di fronte alle difficoltà e debba ascoltare giudizi o consigli non richiesti, quando forse le basterebbe potersi aprire e sapere che non c’è nulla di malato in quello che prova.
Mi chiedo dove sbagli una mamma che ha deciso di vivere nella chiarezza con se stessa e la propria famiglia, parlandone apertamente con gli adulti che le stanno accanto, in primis il padre, dicendosi che forse l’ultima possibilità che le rimane è la sincerità e sperando che questo le permetta di andare avanti e colmare quella sottile distanza che la separa da suo figlio. Mi chiedo perché questa fatica urti tanto la sensibilità altrui, perché la richiesta di ascolto in questo ambito passi sempre come mancanza.
Mi chiedo cosa ci sia di sbagliato nel tentare di proteggere i propri figli non voluti cercando di essere oneste nel vivere la quotidiana difficoltà ed esprimendola nella speranza che la chiarezza possa essere d’aiuto anche a quel figlio che almeno avrà una madre che non perderà del tutto la propria autostima e non si sentirà del tutto sbagliata. Sbagliata al punto di dirsi che forse dovrebbe abbandonare la lotta perché non è in grado di combatterla. Mi chiedo se e dove si sbaglia in questo. Dovremmo tacere forse? La protezione e l’amore per un figlio si misurano solo con la quantità di sentimenti positivi che risveglia la maternità? Non si possono anche misurare con il coraggio di dire e parlare senza raccontarsi cazzate?
Se proprio volessimo metterla sul piano dei buoni sentimenti, non è un gesto d’amore anche il coraggio di guardarsi dentro e andare a sviscerare quel lato più oscuro senza pudore? Cosa c’è di sbagliato in questo? Perché è così difficile ascoltare queste mamme in silenzio e provare ad essere empatici senza sentenziare o diventare distributori di consigli che vanno solo a rafforzare la convinzione che sì, non siamo capaci, non possiamo occuparcene bene, sarebbe meglio darli via, perché creeremo solo e soltanto dolore? Perché mai un abbraccio, un gesto d’affetto, un incoraggiamento, un attimo di ascolto, uno sguardo affettuoso, un qualcosa che lasci la sensazione che ce la faremo, in un modo o nell’altro, anche noi. Una mamma in difficoltà è una mamma che deve fare tutto da sola.
Guardarsi dentro, gestire la melma che la abita e non perdere la propria autostima di madre nonostante tutto e tutti. Ingoiare le colpevolizzazioni, stare in silenzio ad ascoltare chi le dice che deve abbandonare la sua battaglia e dare via quel figlio, ingoiare le pillole amare dei padri che dicono loro che toglieranno il disturbo portandosi via quei figli. Ridotte così a portatrici e involucri, senza che venga loro riconosciuto che quei figli li hanno cresciuti nei loro uteri loro malgrado per nove mesi. Mettendoli al mondo belli e sani, e che il manifestare la loro fatica non dà il diritto a nessuno di giudicarle e di negare il diritto di essere, comunque, madri.
Quei figli non voluti sono anche nostri. E ce li teniamo. Non li molleremo per nulla al mondo. E se facciamo fatica lo urleremo al mondo e se non ci ascoltate impareremo a stare in silenzio e a colmare quella sottile distanza che ci separa dai nostri bambini lavorando su noi stesse e dimostrando che non esistono maternità sbagliate e che quelli sono i nostri figli tanto quanto noi siamo le loro madri. E questo diritto non ce lo toglierà nessuno. Io non ci vedo nulla di sbagliato nel parlare, se mai non capisco come non ci si possa chiedere cosa ci sia di disumano nel non ascoltare.
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Come possiamo insegnare l’onestà ai nostri figli se noi per prime non siamo oneste con noi stesse? Amore è il.coraggio di guardarsi dentro e lavorare su noi stesse per questi nostri figli. Splendido articolo.