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J’accuse: quando a promuovere la discriminazione è un attivista LGBT

Firmo questo articolo con il mio nome di battesimo come gesto di solidarietà con le persone transgender candidate alle amministrative che non possono presentarsi con il proprio nome d’elezione perché non è ancora riconosciuto il diritto umano all’autodeterminazione del proprio genere.

Elena Bonali alias Ethan

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Non mi fu difficile accorgermi che in realtà tutta quella gente, lungo le strade del loro mondo di impiegati, di professionisti, di operai, di parassiti politici, di piccoli intellettuali, in realtà correvano come matti dietro ad una bandiera. […] Si trattava, in realtà, di uno straccio, che sbatteva e si arrotolava ottusamente al vento. Ma come tutte le bandiere, aveva disegnato nel suo centro, scolorito, un simbolo. Osservai ,meglio, e non tardai ad accorgermi che quel simbolo non consisteva in nient’altro che in uno Stronzo. (P.P. Pasolini – La Divina Mimesis)

Un attivista è abituato ad ascoltare e contrastare con la passione e la ragione le argomentazioni più violente, strane, a volte con qualche fondamento, a volte buffe.

Tuttavia mai ti aspetteresti che sia un altro attivista a pronunciare frasi e diffondere idee con lo stesso lessico e ragionamento di coloro che promuovono ignoranza e discriminazione.

Pochi giorni fa mi hanno segnalato questo post in una bacheca pubblica:

Figura 2

Definiamo innanzi tutto cos’è la transfobia: è l’avversione solitamente prodotta da pregiudizi e stigmatizzazione, nei confronti di persone transessuali e transgender. Tale avversione non si manifesta solamente mediante un aperto atteggiamento di ostilità ma anche mediante la volontà di normare una realtà per renderla più accettabile al proprio modello di valori basato su preconcetti e mediante la promozione di teorie autoreferenziali che portano alla discriminazione di una categoria.

Normalmente la società è portata a condannare atteggiamenti discriminatori. Come si riesce a rendere moralmente accettabile un atteggiamento transfobico?

  1. Si costruisce una nevrosi. Dall’Orto fa continuamente riferimento alla teoria Queer come Adinolfi, ProVita e Manif Pour Tous fanno riferimento alla teoria Gender. Perché la costruzione sia credibile ci deve essere una base reale: per il Gender sono stati gli studi di genere e per dall’Orto la teoria Queer. In seguito si deforma la fonte e si opera un distacco dalle premesse reali. L’operazione va fatta con cautela poiché é qui che ci si gioca tutto. La teoria Queer esiste realmente e si tratta di una critica della derivazione “naturale” del genere basata sui caratteri sessuali primari. Il trucco sta nel trasformarla in una specie di religione non modificabile e quindi presentandola come dogma e non, come una corrente di critica in evoluzione. Una volta creato il dogma tutti i ragionamenti conseguenti si basano su leggi stabilite dal promotore della nevrosi e quindi il ragionamento sembra coerente e razionale.
  2. Si portano esempi per comprovare le proprie tesi e associare repulsione verso idee e categorie.

Questa è una tecnica cui siamo ormai abituati da parte dei promotori del Family day. Un altro modo efficace è quello di  cercare articoli riguardanti casi eccezionali e farli passare per la norma all’interno di una categoria di persone oppure i classici manifesti dei partecipanti al Pride con le natiche al vento per istillare la convinzione di dissolutezza e perversione.

Il post del signor dall’Orto scaturiva da un articolo tratto da un sito notoriamente transfobico. A sua difesa, dopo che gli è stata fatta notare la cosa, l’autore di quanto leggete nella  figura qui sopra, riporta la fonte primaria della notizia, che, secondo lui, usava più o meno lo stesso lessico, affermando che “La bontà di una posizione non dipende dalla gradevolezza della fonte.” Potrei essere d’accordo riguardo moltissimi argomenti tranne che su questo poiché anche i civilissimi Corriere, Espresso e Panorama&co diffondono idee assolutamente inesatte e trattano le persone T in maniera non corretta né dignitosa. Un esempio su tutti è la trans Brenda (quella del caso Marrazzo) che per tutti diventò simpaticamente “Brendona”. A volte anche la malignità di un pregiudizio non dipende dalla gradevolezza della fonte. E un attivista non solo dovrebbe saperlo, ma dovrebbe contrastare un lessico o una presentazione deformante di una categoria.

Visto che chi scrive è una persona che verifica le notizie mi sono preso la briga di confrontare i due articoli e mi sono reso conto che ben poco hanno in comune! Nel primo, quello citato da Giovanni dall’Orto nel post, vi è un contenuto transfobico e l’uso di immagini che spingono la persona non avvezza a queste manipolazioni a provare repulsione. Ricordiamoci che questa è stata la sua prima scelta e che, solo in seguito a osservazioni, il signore posta in fretta un altro link che NON dice assolutamente le stesse cose come da lui affermato.

Dave Muscato, o meglio, Danielle Muscato, della quale trattano i due articoli, è una donna transgender che ha intenzione di iniziare il percorso di transizione. L”autore del post scrive: “Dunque non è una donna. E’ una persona trans in transizione.” Confondiamo transgender con transessuale? Per dall’Orto transgender è una condizione passeggera tra il prima e il dopo? Ignora che sia un’identità di genere riconosciuta? Quindi è un’operazione che mi rilascia il permesso di essere uomo o donna o mi fa accedere solamente al riconoscimento legale della mia identità di genere? La domanda non è peregrina poiché proprio quest’anno il tema centrale del Pride europeo sarà l’autodeterminazione dell’identità di genere e la scelta libera di servirsi o no della chirurgia. Purtroppo qui c’è l’ignoranza riguardo la definizione di identità di genere e espressione di genere. Come la maggior parte delle persone il signore considera la disforia fisica, che porta a un percorso di trasformazione chirurgica, ma non la disforia sociale e il fatto che la persona transgender può anche non sperimentarne nessun tipo ma riconoscersi comunque nel genere opposto (o altro) a quello che la società gli attribuisce per i suoi connotati fisici. Non fa altro che perpetuare pregiudizi che circolano anche in ambiente transgender e trans riguardo all’essere o non essere abbastanza ”transgender”.

La sfortuna di Danielle Muscato è di essere anche una donna in politica e questo ha autorizzato il signor Giovanni a pensare ad un gesto di opportunismo per ottenere visibilità… proprio la visibilità che uno vorrebbe in una società come la nostra!

Seguono infatti link che mostrano persone che hanno cambiato la propria fenomenologia per assomigliare a draghi e chi per diventare una donna di colore con l’insinuazione di presunti vantaggi ottenuti dal cambiamento. Anche in questo caso non si fa altro che ripetere luoghi comuni riguardo ai transgender e che sulla pagina facebook di Progetto GenderQueer si cerca di combattere.

  1. Si accusa di voler manipolare il lessico. Il signor Giovanni dice: Lo stesso problema della sostituzione di “sessualità” con “erotismo” io lo trovo con la sostituzione del vittoriano “genere” (che appartiene alla grammatica, e lì deve tornare a stare) al termine tanto amato e tanto digitato su Google da tutti noi: “sesso” (che appartiene alla biologia ed alla vita, e che è anzi all’origine stessa della vita). La femminista della differenza vicina ad ambienti vaticani, Luisa Muraro, afferma: Pensato per gli scopi della ricerca storica, il cosiddetto “genere” è dilagato come uno pseudonimo di “sesso”, o come un eufemismo: il “genere” non fa pensare al femminismo e ha l’ulteriore vantaggio che si può adottare nel linguaggio ufficiale e accademico senza suscitare imbarazzanti associazioni sessuali. Lexicon troviamo scritto: Si è denunciato il fatto che uno dei sintomi più preoccupanti dell’offuscamento morale è la confusione dei termini che porta a livelli estremamente degradanti quando essi vengono utilizzati, con freddo calcolo, per ottenere un cambiamento semantico, cioè del significato delle parole, in maniera artificiosamente pervasiva.Non è stata perciò una mera disputa terminologica quella che, durante la Conferenza delle Nazioni Unite sulla donna che si è svolta a Pechino nel 1995, ha portato il Vaticano a battersi per la cancellazione del termine ‘genere’ dai documenti della piattaforma organizzativa, denunciandolo come nome in codice per l’omosessualità e chiedendo che venisse sostituito dalla parola ‘sesso’, più affidabile nel garantire la ‘naturalità’ dell’ordine eterosessuale.
  2. Difesa del binarismo di genere “Uomo e donna li creò” è la posizione del Vaticano e del Family day. Stessa posizione quella della Muraro: Ben prima che apparissero gli esseri umani la vita si è biforcata in maschio e femmina. Per dall’Orto genere e sesso devono essere allineati in una logica assolutamente binaria. Nel post iniziale si legge “Del resto una volta che si è partiti con lo slogan – non è il fatto di avere un utero che fa di una persona una donna (sentita con le mie orecchie da esponenti trans italiane), qualsiasi conclusione di questo tipo diventa lecita.” Ora, a parte inserire un link della rivista Nature per sfatare la convinzione che vi siano due sessi consideriamo le conseguenze di questo pensiero:
  • a) Transgender non sarebbe più un genere, come anche riconosciuto dall’OMS, ma diventerebbe una fase momentanea tra la situazione di nascita e l’obbligatoria riassegnazione per appartenere ad uno dei due sessi.
  • b) Questa concezione assolutamente errata e senza fondamento contribuisce a perpetuare il mito del “sono nato nel corpo sbagliato” imposta dalla visione cissessuale (persone in cui identità di genere è in accordo con il sesso biologico ) e che considera esclusivamente (ed erroneamente) la disforia fisica. La visione binaria porta all’utilizzo di test basati su stereotipi cui si deve rispondere secondo l’aspettativa semplicistica di cosa è maschile e cosa femminile per avere accesso ai trattamenti.  Molto spesso le persone transgender si vedono costrette a mentire per non vedersi negato il percorso di transizione. 
  • c) Si rende obbligatorio il riassegnamento del sesso anche se la persona transgender non lo ritiene necessario. Molti stati europei, in seguito a pronunciamenti della Corte Europea per i diritti umani e al lavoro delle Nazioni Unite e di Amnesty, stanno accordando dei risarcimenti alle persone obbligate a operarsi.
  • d) Obbligo di passing, ovvero obbligo di mimetizzarsi con uno dei due sessi.
  • e) Ubbidendo all’imperativo binario le persone intersessuali devono essere obbligatoriamente operate. Proprio la visione binaria nutre la convinzione che la condizione intersex sia una deviazione e giustifica l’intervento di mutilazione genitale sugli infanti, prima che questi possano determinare il proprio genere.
  • f) Cancellazione e discriminazione di tutte le persone nonconforming.

In sostanza Giovanni dall’Orto promuove un’idea normata e stereotipata di persone transgender e transessuali che non infastidisca i suoi preconcetti e le sue convinzioni e cerca di far passare un pregiudizio su una categoria come difesa della “credibilità” della stessa nella causa politica di richiesta di diritti (https://progettogenderqueer.wordpress.com/). Ma diritti di chi? Il giornalista non fa segreto di considerare prioritaria la battaglia per il matrimonio ugualitario e di considerare secondarie le istanze del popolo T. Quindi servono persone trangender e trans presentabili? E’ per questo che dobbiamo rispondere a stereotipi tranquillizzanti per il pubblico eterosessuale che viene trattato come una massa di cretini non in grado di gestire situazioni complesse?

Cercare di normare una categoria seguendo i propri pregiudizi è transfobia e la creazione di una nevrosi queer è la scusa socialmente e politicamente accettabile dietro la quale nascondersi.

Ora vorrei porre delle questioni politiche e morali al movimento LGBT:

  1. E’ moralmente e politicamente accettabile che un attivista Gay (perché non lo è sicuramente per le altre categorie) promuova idee stereotipate e non esatte riguardo le persone trans e transgender allo scopo di favorire, o perlomeno di non mettere in pericolo la battaglia che egli ritiene prioritaria, anche se ciò crea danni psicologici (è importante riuscire a parlare della propria condizione di transgender con le proprie parole e non seguendo un’idea imposta per ottenere l’aiuto necessario e cure che non corrispondono ai propri bisogni), fisici (riassegnazione obbligatoria per i transgender e intersex, bullismo o peggio per transgender e nonconforming), e sociali a queste categorie?
  2. E’ lecito per un attivista usare e promuovere argomenti che non riconoscono e danneggiano le persone nonconforming (genderqueer, gender fluid, agender etc.)?
  3. E’ moralmente accettabile che un attivista non concorra a decostruire luoghi comuni ma anzi, rafforzi argomenti usati anche da ProVita&co?
  4. E’ conveniente ancora basarsi sulla inevitabilità genetica (assolutamente vera ma, come per qualunque altro tratto, dipendente anche dal contesto) per difendersi dal pericolo delle teorie riparative? E’ ancora necessario accettare la definizione di deviati dalla norma? Non è stato forse un compromesso conveniente al momento ma ormai da abbandonare in quanto l’omosessualità è nello spettro degli orientamenti sessuali e non una deviazione da una eterosessualità obbligatoria? Non è un’eredità pesante da lasciare alle future generazioni e agli attivisti LGBT di oggi?
  5. E’ lecito che si definisca attivista chi promuove ignoranza e discriminazione?
  6. E’ lecito che chi promuove gli scritti di un attivista con questa mentalità non ne informi i lettori?
  7. E’ lecito che si consideri questa persona un attivista e un degno portavoce?

In un anno eccezionale in cui l’argomento principe è l’autodeterminazione del proprio genere e l’emancipazione dalle pastoie ideologiche e dalle costruzioni sociali basati sul meccanismo di inclusione/esclusione, parlare ancora in questi termini è una scelta politica miope e moralmente inaccettabile.

Ma oggi sono qui a parlare di omotransfobia e di come queste questioni non siano per nulla estranee al movimento LGBT. Non possiamo più ignorare questa realtà. Per queste due battaglie e per tutte le altre ci metto la faccia… e anche la barba.

Figura 3

 

—>>>Leggi la nota bibliografica di Giovanni Dall’Orto

 

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