Ancora su Augias, perché è giusto che abbia diritto di replica, per quanto a mio avviso la sua replica non migliori il risultato della prima intervista. Intanto i genitori di Fortuna Loffredo hanno dichiarato di averlo querelato per diffamazione e tra chi si divide in gruppi pro e gruppi contro, cosa che qui vogliamo evitare perché non ci interessano le tifoserie, c’è chi cerca di spostare la questione dall’attacco personale a lui a considerazioni politiche e più specificamente riferite a quel che sappiamo di violenza sui minori.
Nell’intervista pubblicata sull’Huffington Post lui dichiara:
“Non avevo mai visto una bambina pettinata e conciata in quel modo, ma non voglio suggerire che il suo aspetto abbia potuto sollecitare il pedofilo che l’ha uccisa”.
La mia domanda è semplice: ma dove vive? E che vuol dire con “conciata”? E assolutamente chiaro che non volesse giustificare alcunché ma temo che ci sia un problema di prospettiva. A parte che nella foto di Fortuna non vedo nulla di strano o di brutto, davvero non capisco come Augias immagini l’abbigliamento o il capello di una bambina.
Augias continua:
“Ancora una volta si conferma il fatto che la comunicazione nei social è grezza e approssimativa”.
E invece la comunicazione del programma al quale ha partecipato su La7, che ha affrontato un argomento chiedendo a lui un’opinione su una questione che non è detto gli competesse (è un criminologo? uno psicologo infantile?), non era forse approssimativa? Come si può parlare di una questione così grave e complessa commentando una fotografia?
Dice ancora:
“Il mio era un ragionamento complesso e partiva dall’analisi di una foto che mi ha fatto fare un balzo dalla sedia (…) In quella foto è drammatico il contrasto tra la statua di un santo e una bambina abusata due volte, una dal suo carnefice e una dall’ambiente sociale nel quale ha consumato una infanzia perduta”.
Posso dire che in questa affermazione vedo un lieve classismo? Lungi da me condividere l’esposizione di santi e icone di una cultura che non sento assolutamente mia ma stiamo sempre parlando di un crimine che può verificarsi ovunque e per mano di chiunque. Cosa voleva dire dunque?
Poi continua:
“Una mamma che pettina la figlioletta di 5 anni come se ne avesse 18 è una donna che ha perso i riferimenti e, tra questi, la capacità di comprendere il sacro. Mi ha fatto pensare a … (chi si circonda di … ndb) … immaginette e simboli cristiani, senza poi materialmente seguire gli insegnamenti morali di quei simboli. Anche nella foto di Fortuna padre Pio diventa una statuetta pagana”.
A parte che vorrò capire come può essere una spiegazione di quel che ha detto su La7 una ulteriore carica di giudizi, neppure tanto velati, sulla madre della bambina. Dalla foto non vedo nulla di quello che Augias dice. La bambina mi pare pettinata in modo normalissimo e in ogni caso non capisco il nesso tra i valori cristiani e il sempiterno boccolo. Cristianamente parlando un boccolo rappresenta un tradimento della religione?
Augias dice di non aver
“mai visto una bimba truccata e conciata in quel modo, con i boccoli biondi che arrivano alla vita. E ho voluto sottolineare la tremenda mancanza di infanzia in quella immagine. I bambini dovrebbero fare i bambini anche perché è una conquista recente: fino alla metà dell’Ottocento i diritti dell’infanzia non esistevano”.
Insisto: ma dove è stato rintanato fino ad ora? Io avevo i boccoli. E’ forse un reato? Devo considerarmi fortunata per non aver subito abusi nell’infanzia? E in quanto all’abbigliamento: sa Augias che ai mercatini, dove di solito ci si rifornisce di capi di abbigliamento a basso prezzo, le magliette rosa, con le strass, te le tirano dietro per pochi euro? Non tutte le famiglie possono vestire, sempre che lo vogliano, i figli e le figlie come i reali d’Inghilterra.
Continua:
“Il fatto che quella bimba fosse vestita in quella maniera e poi che sia stata vittima di abusi sessuali è soltanto un punto di collegamento casuale ed epidermico, l’unico punto di incontro di due discorsi lontani”.
Vestita, cioè, con una maglietta rosa con delle strass. Il mio punto interrogativo resta.
“La mia idea è che queste mamme di classe umile scaricano sulle figlie i loro sogni, truccandole e abbigliandole come avrebbero voluto essere alla loro età, influenzate certamente dalle campagna pubblicitarie e dalle veline della televisione”. In questo contesto, spiega Augias, “rimane il buco del sacro: la religione cattolica non riesce a passare nei valori e diventa mera idolatria”. Tuttavia, conclude, non possiamo generalizzare: “La pedofilia è un fenomeno che attraversa anche le classi benestanti e sarebbe sbagliato colpevolizzare tutti i vicini di casa della povera Fortuna. Ci vorrebbe uno sforzo culturale pazzesco per eliminare queste sacche di miseria, non solo economica, e fare di tutta l’erba un fascio è un atteggiamento controproducente”.
E menomale che lo dichiara. Resta assolutamente giudicante il commento sulla madre. Ma che ne sa? Mi dicono poi che in ballo c’è un’inchiesta che riguarda un bambino: Antonio Giglio, 3 anni, precipitato da quello stesso palazzo un po’ di tempo prima rispetto a Fortuna Loffredo. Come si spiega? Aveva i boccoli pure lui? Aveva una madre che trasferiva su di lui modelli estetici di un certo tipo?
Capisco e apprezzo lo sforzo di complessità ma qui si parla di persone e non si può calare un’analisi sociologica generale su un caso particolare e sulle persone che di quel caso sono protagoniste. Ancora una volta, con tutto il rispetto per Augias, porgo tutta la mia solidarietà ai familiari di Fortuna e una carezza a questa bimba, ovunque ella sia.
Infine chiedo: perché non parliamo di chi commette crimini contro i bambini? Troppo difficile spostare il discorso dalle vittime ai loro carnefici? Dove crescono i pedofili? Dove vivono? Hanno in casa statuette di santi? Come si vestono? Come si “atteggiano”? Che tipo di contesto li circonda? Che tipo di famiglia li ha cresciuti? Sono poveri? Ricchi? Parliamo di loro, perché ai bambini puoi pure mettere un burqa, come d’altronde anche alle donne, ma ciò non toglie che pedofili e stupratori continueranno a fare quello che fanno a prescindere dal modello estetico delle loro vittime.
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Bell’articolo complimenti