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Lettera alle abolizioniste della prostituzione (da parte di una sex worker)

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Care voi, o dovrei dire che care non mi siete proprio, innanzitutto dico che mi avete rotto sinceramente le ovaie con la vostra morale da supermarket delle tradizioni patriarcali svendute come fossero espressioni di alto femminismo. Ne ho abbastanza di sentirmi dire che se la do tanto perderò il rispetto di me stessa, perché il rispetto per me non si realizza a seconda di quante volte allargo le cosce. Quella concezione di rispetto è vecchia quanto il mondo, perfino più vecchia di quanto siete voi. Perciò, spiace dirlo, ma siete diventate volontariamente veicoli di maschilismo. Come certi guardiani del buon costume. Siete responsabili per aver imposto stigmi negativi che pesano sulla nostra testa, come quello che ricalca le vostre parole che fingono di rappresentare il nostro bene. Noi che non comprendiamo quel che le madri pretendono di insegnarci, come la storia del rispetto a misura di consumazione della figa. Me lo diceva mia nonna e anche mia madre, che se la davo di frequente e senza amore perdevo la dignità. E questo è un altro dei vostri perenni insulti nei miei confronti. La mia dignità non corre alcun pericolo. Pensate piuttosto alla vostra. A pesarmi è lo stigma che voi attaccate alla mia pelle, attribuendo al sesso qualcosa che non mi appartiene, come se mi riteneste malata, pazza, cinica o disincantata, comunque anormale, perché non ritengo il sesso quella espressione di intimo calore familiare che a voi piace descrivere alle vostre figlie per indurle a tenere le gambe ben serrate fino all’incontro con il “vero” amore.

Non siete di certo voi a poter insegnare la bontà di certe relazioni, perché non conoscete altra relazione se non quella mediata attraverso il vostro patologizzante sguardo. Non mi vedete per quel che sono ma solo per quel che voi credete io sia. E la chiamate forse relazione questa? Entrare in relazione con l’altro significa ascoltare anche se dice cose che non ti piacciono e anche se ti mostra pezzi di mondi che non attraverseresti mai. Così smettila di raccontare una visione arcaica della sessualità e dell’incontro tra prostituta e cliente, come se tutte fossero vittime e sfruttate.

Ci sono, senza dubbio, quelle che lo fanno senza averlo scelto, ma poi ci sono quelle come me che non hanno affatto voglia di lasciarsi imbonire da voi insegnanti dell’amore vero, dell’orgasmo lecito, della dimensione del rapporto fisico plasmata su quel che per voi è l’incontro sessuale. Oh, come vi piace immaginare che qualcuno mi stupri ogni giorno, come sminuite la mia capacità di dare consenso, quasi che voi ne godeste, come se diversamente la vostra mente non si eccitasse, fanaticamente, all’idea di sapermi ingrata, irriconoscente nei vostri confronti. Voi, così buone con le donne al punto da ritenerle tutte idiote.

Voi che fate smorfie incattivite quando qualcuna descrive la prostituzione come un lavoro, perché vendere servizi sessuali non significa vendere l’anima, la dignità, il rispetto per se stesse. Questo modo di vedere la relazione anima-corpo, donna e sessualità, è vecchia. Voi siete vecchie matrone, sfruttatrici di pornografia emotiva, ad eccitarvi con parole che ricordano la superiorità morale delle donne su chiunque altro. Ma non donne qualsiasi, bensì le donne che piangono e possono dall’alto rimproverare l’uomo mostro, quello violento, dal quale è bene essere salvate. E sicuramente c’è quella categoria d’uomo, ma poi ce ne sono mille altre, e gli uomini che sposano le vostre raccomandazioni, onde evitare perdite d’anima dignitosa e rispettabile, sono vecchi tanto quanto voi. Misogini, per lo più, paternalisti e patriarchi che non attendono altro che di essere legittimati a vedere le donne tutte alla mercè di tutori che dovrebbero salvarci.

Care abolizioniste: io ho pieno rispetto di me e chiamo le cose con il proprio nome. Forse vi piace pensare che io abbia vissuto una vita piena di traumi ma non è così. Vendo servizi sessuali per scelta, per soldi, che importa, lo faccio perché è un lavoro come un altro e dato che non attribuisco a determinate parti del mio corpo la sacralità che voi e i patriarchi che accorrono in vostro aiuto amate attribuirgli questo, per me, non comporta nulla di traumatico. Sono felicemente accompagnata da un uomo che vive con me da sei anni. Mi ama e io lo amo. Abbiamo un figlio e io l’ho nutrito e svezzato per due anni pienamente e poi ho ripreso a lavorare.

Il mio compagno non mi guarda come se io fossi consumata dalla sporcizia altrui, perché sono i vostri giudizi a sporcarmi e non le relazioni che mantengo io. Che ne sapete voi della prostituzione per scelta dato che vi rifiutate di vederla? Cosa potete saperne voi di questo mestiere se non l’avete mai fatto? E come potreste? Voi la date solo per amore, il vostro orgasmo è puro, il vostro corpo è sacro perché voi avete rispetto per voi stesse. È da secoli che le matriarche ci rompono le scatole con la storia della angelicità, la purezza, la beltà e la sacralità di determinate parti dei nostri corpi. Voi che non vi scomponete se una donna, o un uomo, va in miniera, perché in quel caso, come no, non mette mica il corpo al servizio di una professione.

Voi che balbettate propositi sessisti, categorizzazioni basate su un criterio sessuofobo e su un pregiudizio che pesa su quelle come me e sulla sessualità maschile, tutta sporca, tutta da buttare. Gli unici uomini degni di rispetto sarebbero per voi quelli che ci considerano pietosamente vittime, e invece io temo uomini così, perché preferisco senza dubbio uomini che mi ritengono autodeterminata, forte e in grado di decidere per me stessa. Di uomini che si eccitano nel vedermi vittima bisognosa del salvatore ne ho più che abbastanza. Che realizzassero il loro ego in altri modi invece che tentare di restaurare – usando me – una visione reazionaria dei ruoli di genere.

Questa è la mia lettera rivolta a voi giacché mi create tanto danno, perché distruggete la mia reputazione, mi togliete libertà di scelta, rubate il mio diritto a essere un soggetto. Voi siete quelle che costruiscono uno stigma che peserà sul mio compagno, su mio figlio, sulle persone che amo e che mi amano, perché se lo stigma colpisce me è chiaro che colpirà anche loro. Voi siete quelle che inducete sensi di colpa e vergogna per il fatto stesso di non soffrire di quello di cui voi, forse, soffrite.

Vi rivolgo una preghiera, come si faceva in altri tempi, e vale a dire che dovreste imparare a rispettare le altre donne per quel che sono e a non generalizzare con un messaggio moralista che ci descrive tutte come deboli e passive. Se amate ricoprire ruoli di missionariato andate a soccorrere le donne di ogni luogo, a prescindere dal mestiere che fanno per sopravvivere, perché le umiliazioni e le mortificazioni che possono ricavarne non è detto che derivino da qualcosa che ha a che fare con il sesso. La vostra è sessuofobia, paura del buio, dei mostri, è pregiudizio, ed è, lasciatemelo dire, puro sessismo. Siete voi che ci obbligate a subire stereotipi sessisti che continuate a divulgare. Per quel che mi riguarda, nel pieno delle mie facoltà mentali, con grandissimo rispetto per me stessa, continuo a fare questo mestiere. Che voi lo vogliate o no.

Violet SexWorker

Ps: Grazie a chi ha scritto questa lettera.

3 pensieri su “Lettera alle abolizioniste della prostituzione (da parte di una sex worker)”

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