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Razzismo super decomplessificato – Se la “moda islamica” mette a nudo il razzismo di Stato

H&M

di Faysal Riad (professore di francese e militante antirazzista)*

Con la dichiarazione di Laurence Rossignol, il razzismo repubblicano dei liberali francesi attualmente al potere ha raggiunto un livello straordinario, non nella sostanza ma nella forma: islamofobia + negrofobia completamente decomplessificate, totalmente accettate e espresse in un linguaggio osceno, dove il disprezzo, l’odio, l’ignoranza e la stupidità fanno a gara con l’ignominia e l’orrore. Intervistata su RMC la “ministra delle famiglie, dell’infanzia e dei diritti delle donne” Laurence Rossignol ha dichiarato che le case di moda che vendono degli “abiti islamici” (veli o foulard) sono “irresponsabili” perché “da un certo punto di vista incoraggiano la prigionia del corpo delle donne”. E quando il presentatore ha obiettato che alcune donne portano il foulard o il velo per scelta, la ministra ha avuto il coraggio di rispondere così: “c’erano anche dei negri americani che erano favorevoli allo schiavismo (…) Io credo che molte di queste donne siano delle militanti dell’islam politico”.

Laurence Rossignol non è contenta. Quando me l’hanno detto, inizialmente ho creduto, in modo piuttosto ingenuo, che forse era diventata femminista – in un mese e mezzo, perché no – e che dunque fosse a causa dell’intestazione ridicola e retrograda del suo ministero “delle Famiglie, dell’Infanzia e dei Diritti delle donne” che si era arrabbiata.

Ma no, non è questo che rende furiosa Laurence Rossignol. È invece la “moda islamica”. Allora, sconcertato, mi sono domandato seriamente: quale moda? Che cosa vuol dire “la moda islamica”? È la moda di essere musulmani? O la moda nel senso della moda vestiaria… ma quindi, ancora, quale moda? Quella di tutti i musulmani? Ma quali? I marocchini, gli indonesiani, i turchi? E perché questo dovrebbe interessare la ministra? Perché i media rilanciano la sua opinione sulla questione? Dopo ho capito: quello che preoccupa la ministra delle famiglie (e dell’infanzia e dei diritti delle donne in Francia) sono i prodotti che alcune grandi marche hanno recentemente messo sul mercato, i quali sono rivolti a un segmento di consumatori particolare, composto – l’avrete capito – dalle donne musulmane.

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Ebbene sì, ancora una volta, le donne musulmane. E ancora una volta alcuni dirigenti politici, trascurando i problemi urgenti che si ostinano a non voler risolvere, decidono di immischiarsi in qualcosa che non li riguarda per imporre i loro punti di vista di vecchi dominanti nauseabondi e fuori di testa. Laurence Rossignol appartiene al governo Valls – quello stesso Valls che aveva lanciato la sua carriera di militante attaccando un supermercato della città di cui era sindaco, che voleva costringere a vendere alcool e carne di maiale. Lo scopo di Valls era insensato tanto quanto quello di Laurence Rossignol oggi: non si riusciva a capire la ragione per cui un sindaco poteva impicciarsi di ciò che un negozio aveva deciso di vendere nei suoi reparti, dal momento che non si trattava di prodotti illegali. Questa fu delle prime circostanze in cui si manifestò la confusione – in seguito sempre più diffusa tra i dirigenti francesi – tra i diversi significati della parola “pubblico”

Oggi, qualsiasi cosa uno/a pensi della “moda” detestata da Laurence Rossignol, che la si ami, la si odi o che non si abbia nessuna opinione in merito, notiamo che è estremamente strano che una ministra si interessi di questo settore: dei vestiti che alcune marche – ovvero delle imprese private – decidono di lanciare sul mercato, quando tanti altri prodotti la cui nocività diretta è assodata, non soltanto non preoccupano per niente la nostra ministra, ma anzi possono essere per la maggior parte promossi tranquillamente, arricchendo così numerose imprese di grandi dimensioni – le quali sono anzi spesso favorite dalla politica economica del governo. Tra gli altri esempi: armi, alcool, tabacco, senza parlare del cibo spazzatura, di tutti gli alimenti che provocano il diabete o l’innalzamento del colesterolo, o ancora dei telefoni e dei videogiochi, il cui impatto negativo sulle capacità scolastiche dei bambini è dimostrato da diversi studi…

E sempre per quanto riguarda la moda, perché madame Rossignol non si preoccupa di altre mode d’abbigliamento, più bianche e meno meticce, ma che possono fare altrettanto l’oggetto di analisi critiche femministe – come i tacchi a spillo, i décolleté o la minigonna (contro i quali peraltro non ho nulla, lo preciso, non più e non meno che contro i tacchi piatti, i vestiti lunghi e i veli)?

Ascoltando questa spiacevole manfrina, si possono riconoscere due cause presupposte alla base del suo odio:

1) Il velo in generale è contro le donne.

2) È il segno di un’adesione politica nemica dello Stato francese.

Riattivando il vecchio cliché del “velo-stendardo-del-fascismo”, e prendendosi per il Professore X di X-men, il grande mutante esperto di telepatia, Laurence Rossignol sa che molte delle donne che vogliono comprarsi un lungo vestito unicolor da Mark & Spencer, in fondo in fondo, qualsiasi cosa dicano o facciano, sono in realtà “delle militanti dell’islam politico”. Dovendo, purtroppo, usare ancora una volta l’analogia con l’antisemitismo per mettere in luce l’islamofobia evidente in queste affermazioni, nonché la loro gravità, immaginate che qualcuno dica: “Io credo che molti di quelli che portano la kippah siano dei militanti sionisti a cui non piace il sistema repubblicano”. Questo sarebbe considerato antisemitismo, no?

Poi segue l’ormai celebre allusione ai “salafisti”. Non per criticare la politica estera della Francia, alleata di stati che non rispettano né i diritti umani in generale, né di certo i diritti delle donne, ma ancora una volta per prendersela con le donne musulmane che scelgono di portare un foulard. Ah, queste salafiste… Lo sappiamo, dal nostro Primo Ministro, “le reti salafiste” sono colpevoli degli attentati che ci hanno toccato di recente. Quindi, “logicamente” se posso dirlo, tutti i salafisti sono dei potenziali terroristi. E siccome è sufficiente essere cliente di alcuni reparti di Mark & Spencer per essere accusati di “salafismo”, vediamo in che modo le affermazioni di Laurence Rossignol sono estremamente gravi.

Una volta elaborato il nesso nei piani alti, Plantu (1) gli ha donato forma con il suo consueto talento, e se volessimo incitare un qualsiasi squilibrato intenzionato a salvare l’Occidente minacciato eliminando qualche membro delle “reti salafiste” più o meno complice degli attentati, non avremmo potuto fare di meglio: amici patrioti, i vostri nemici saranno in fondo al secondo piano, reparto donne di Zara, lato “moda islamica”… E la ministra ha il coraggio di parlare di “irresponsabilità”!

L’accento posto sul sedicente carattere islamista di questi abiti, esplicitamente indicato con la ridicola espressione “moda islamica”, rivela ancora una volta la sineddoche razzista: al di là dei vestiti che scelgono di portare è in realtà la stessa presenza di queste donne nello spazio pubblico che pone un problema, e che si vorrebbe far scomparire. Dopo averle allontanate da scuola attraverso una legge, i nostri dirigenti e opinionisti evocano regolarmente il divieto di portare il velo all’università, sui terreni sportivi, nelle imprese, quando si va in gita… E improvvisamente si tratta di prendersela con i negozi che vendono loro dei vestiti!

Manuel Valls ci aveva avvertiti: “il velo che impedisce alle donne di essere quello che sono deve restare una lotta essenziale per lo Stato Francese”. Non si tratta quindi di una questione di laicità come si è spesso sostenuto, ma piuttosto di una sedicente difesa dei diritti delle donne – dixit il capo di un governo dove i diritti delle donne vanno a braccetto con l’infanzia e la famiglia… Per il bene di alcune donne, invece di lottare contro le numerose discriminazioni e aggressioni che le riguardano, impediamo loro di andare a scuola, di lavorare, di comprarsi dei vestiti! Questa caccia alle streghe è stata innalzata al rango di “lotta essenziale” dello Stato francese. Addio alla lotta contro le frodi fiscali, le inuguaglianze economiche e sociali, gli abusi della finanza… Addio alla lotta contro il razzismo. Addio alla lotta contro lo stupro, le molestie sessuali, la ripartizione ineguale delle faccende domestiche, la disuguaglianza salariale… La lotta fondamentale per la nostra République sarà ancora, per diversi anni, quella contro il velo.

Anche scagliarsi contro il velo millantando un sedicente femminismo è solo un vecchio cliché, impiegato a lungo da persone super sessiste. Da troppo tempo continuano a prendersi gioco di noi:  anche i nostri genitori sono stati colonizzati – si diceva – per il loro bene. La cosa nuova è la rilassatezza con cui la République si permette queste esternazioni: l’eufemizzazione del razzismo di stato, com’è stata analizzata in particolare da Sylvie Tissot e Pierre Tevanian, non sembra neanche più necessaria: la prova della “servitù volontaria” delle donne velate? “C’erano anche dei negri americani che erano favorevoli allo schiavismo”.

Esatto: dei “negri”. Questa frase contiene talmente tanta violenza che è fastidioso doverla analizzare. Non è la frase di uno/a poeta della negritudine che lavora alla rivalorizzazione di quello che è stato a lungo svalutato dalla storia coloniale… È l’affermazione di una donna bianca che sta al potere, che ha il diritto di parola, che riveste una posizione di dominio. Nella bocca di questa signora la parola negro è evidentemente un termine di un razzismo insopportabile. Lo si è notato poco, ma prima di dire “negri americani” la ministra ha esitato, ha cominciato a dire “afr…”, rivelando forse che secondo lei tutto il commercio triangolare degli schiavi era non solo desiderato ma anche incoraggiato da alcuni africani complici.

La parola in questione non ha nemmeno sorpreso il presentatore, che non ha chiesto nessun chiarimento. Solo i social network, vergognandosi dei nostri dirigenti, hanno rilanciato l’informazione, proponendo fin dall’inizio le analisi e le reazioni che qualunque umanista degno di questo nome attendeva. Segnale evidente che i dirigenti politici e i media sono pericolosamente distanti dalle preoccupazioni della popolazione e quasi completamente impermeabili ai principali progressi civili che si sono realizzati lontano dai ministeri e dai programmi televisivi. Nell’istituto scolastico di Seine Saint Denis (2) dove lavoro, uno di quegli istituti tanto disprezzati dai nostri governanti, è vietato l’impiego di tali parole: un/a allievo/a che lo facesse sarebbe immediatamente punito/a, dal momento che questa mancanza inaccettabile rivelerebbe una malvagità inquietante o un’ignoranza bisognosa di un processo di recupero urgente. Se si trattasse di un professore, sarebbe convocato e sanzionato dai suoi dirigenti. E chi sono i dirigenti della ministra? Il popolo, no?

p.s. Una petizione è stata lanciata per chiedere di sanzionare Laurence Rossignol per le sue dichiarazioni, nonché un appello di diversi gruppi antirazzisti francesi a mobilitarsi per lo scorso 2 aprile, davanti agli studi di RMC.

Note:

* l’articolo è stato originariamente pubblicato sul sito Les Mots Sont Importants, co-fondato nel 2001 dalla sociologa Sylvie Tissot e da Pierre Tevanian, insegnante di filosofia. La traduzione dal francese è di Marta Panighel.

(1) Jean Plantureux, fumettista specializzato in satira politica, i cui lavori sono attualmente pubblicati dal quotidiano Le Monde.

(2) Dipartimento francese situato a nord-est di Parigi, nella regione Ile-de-France.

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