Questa è la traduzione in italiano di un testo scritto da bell hooks che potete trovare in lingua originale QUI. Alcune precisazioni: “quando l’autrice scrive “Papà”, riferendosi a suo padre, lo scrive sempre con la P maiuscola. Ironico. Nella traduzione non troverete desinenze “a prova di gender”, perché probabilmente avrebbe reso difficoltosa la lettura, e perché l’autrice stessa non lo fa. Inoltre alcune prospettive proposte sono neanche troppo velatamente eteronormate. Il testo analizza il problema all’interno della società americana dei primi anni 2000, quindi non penso” – scrive la traduttrice – “che sia superato o che vi siano notevoli differenze tra il sistema neoliberista patriarcale americano e quello italiano, perlomeno non per ciò che ci interessa.” Grazie a Federica per la traduzione e buona lettura!
>>>^^^<<<
COMPRENDERE IL PATRIARCATO, bell hooks
pubblicato in: The will to change: Man, masculinity and love, Simon and Schuster, 2004
Il patriarcato è la malattia sociale che più di tutte minaccia il corpo e lo spirito degli uomini nella nostra nazione. Eppure la maggior parte degli uomini non utilizza la parola “patriarcato” nella vita di tutti i giorni. Molti uomini neanche pensano al patriarcato – cosa significa, come è generato e sostenuto. Diversi uomini nella nostra nazione non sarebbero capaci di fare lo spelling di questa parola o pronunciarla correttamente. Semplicemente, la parola “patriarcato” non fa parte dei loro normali pensieri o discorsi quotidiani. Gli uomini che hanno sentito e conoscono quest’espressione, solitamente la associano alla liberazione della donna, al femminismo, e di conseguenza la liquidano come irrilevante per le loro esperienze. Parlo – in pubblico – di patriarcato da più di trent’anni. È una parola che uso quotidianamente, e gli uomini che mi sentono usarla spesso mi domandano cosa intendo con essa.
Nulla scredita la vecchia visione propugnata dagli antifemministi di “uomo onnipotente” più della loro ignoranza riguardo un aspetto fondamentale del sistema politico che modella e informa l’identità maschile e la percezione di sé dalla nascita alla morte. Spesso uso l’espressione “patriarcato imperialista bianco-suprematista capitalista” per descrivere i sistemi politici interconnessi che sono il fondamento delle politiche della nostra nazione. Di questi sistemi quello su cui, crescendo, impariamo di più è il sistema patriarcale, anche se non dovessimo mai venire a conoscenza della parola, perché i ruoli di genere patriarcali ci sono assegnati da bambini e veniamo continuamente orientati ai modi in cui possiamo incarnare questi ruoli al nostro meglio.
Il patriarcato è il sistema socio-politico che sostiene che i maschi sono innatamente dominanti, superiori a tutto e tutti coloro che sono considerati deboli, in particolare le femmine, e investiti del diritto a dominare e governare sui deboli e a mantenere questo dominio attraverso varie forme di violenza e terrorismo psicologico. Quando io e mio fratello maggiore siamo nati, ad un anno di distanza, il patriarcato ha determinato come saremmo stati educati dai nostri genitori. Entrambi credevano nel patriarcato; erano stati istruiti al pensiero patriarcale dalla religione.
In Chiesa avevano imparato che Dio ha creato l’uomo affinché governasse il mondo e tutto ciò che conteneva, e che il compito della donna era di aiutare l’uomo in quest’impresa, essere obbediente, e di assumere sempre un ruolo subordinato in relazione ad un uomo potente. Questi insegnamenti sono stati rafforzati in ogni istituzione in cui s’imbattevano – scuole, tribunali, circoli, contesti sportivi, così come nelle chiese. Così insegnarono ai loro bambini ad abbracciare il pensiero patriarcale, così come faceva chiunque intorno a loro, perché sembrava un modo “naturale” di organizzare la vita.
In quanto loro figlia, mi fu insegnato che era il mio ruolo quello di servire, essere debole; di essere libera dal fardello di dover pensare; di sopportare e prendermi cura degli altri.
A mio fratello fu insegnato che era il suo ruolo quello di essere servito; di provvedere; di essere forte; di pensare, fare strategie e progettare; e di rifiutare di sopportare o prendersi cura di altri. Mi fu insegnato che non era proprio di una femmina essere violenta, che era “innaturale”. A mio fratello fu insegnato che il suo valore sarebbe stato determinato dalla sua capacità di fare violenza (seppur in contesti appropriati). Gli fu insegnato che per un ragazzo, godere della violenza è una buona cosa (seppur in contesti appropriati). Gli fu insegnato che un ragazzo non dovrebbe esprimere sentimenti. A me fu insegnato che le ragazze potrebbero e dovrebbero esprimere i sentimenti, o perlomeno alcuni di essi. Quando ho risposto con rabbia dopo che mi era stato negato un giocattolo, mi fu insegnato, in quanto ragazza in un contesto familiare patriarcale, che la rabbia non è un sentimento propriamente femminile, e che non solo non doveva essere espresso, ma sradicato del tutto.
Quando mio fratello rispose con rabbia dopo che gli era stato negato un giocattolo, gli fu insegnato, in quanto ragazzo in un contesto familiare patriarcale, che la sua abilità ad esprimere la rabbia era buona ma che doveva imparare qual era il contesto adatto per scatenare la sua ostilità. Non era bene per lui usare la sua rabbia per opporsi ai desideri dei suoi genitori, ma più tardi, crescendo, gli fu insegnato che la rabbia era permessa e che lasciare che la rabbia lo incitasse alla violenza l’avrebbe aiutato a proteggere la sua casa e la sua patria.
Vivevamo in una fattoria in campagna, isolati dal resto dal resto del mondo. La nostra percezione dei ruoli di genere era appresa dai nostri genitori, dai modi in cui li vedevamo comportarsi. Io e mio fratello ricordiamo bene la nostra confusione riguardo il genere. In realtà io ero più forte e più violenta di mio fratello, ed imparammo presto che era un male. E lui era un ragazzo gentile, pacifico, ed imparammo presto che era molto male. Nonostante fossimo spesso confusi, una cosa era certa: non avremmo potuto essere ed agire nel modo in cui volevamo, facendo ciò che sentivamo. Sapevamo bene che il nostro comportamento doveva seguire un copione predeterminato a seconda dell’incasellamento di genere. Abbiamo entrambi imparato la parola “patriarcato” nella vita adulta, quando abbiamo capito che il copione che aveva definito ciò che avremmo dovuto essere e le identità che avremmo dovuto costruire, era basato su valori e credenze patriarcali riguardo il genere.
Sono sempre stata più interessata, rispetto a mio fratello, a contestare il patriarcato perché era il sistema che mi teneva sempre al di fuori delle cose di cui volevo far parte. Nella nostra vita familiare degli anni ’50, il gioco delle biglie era un gioco da maschi. Mio fratello aveva ereditato le sue biglie dagli uomini della famiglia; le custodiva in una cassetta. Di tutte le forme e misure, meravigliosamente colorate, erano gli oggetti più belli del mondo ai miei occhi. Ci giocavamo insieme, spesso con me che aggressivamente mi aggrappavo alla mia biglia preferita rifiutandomi di condividerla. Quando Papà era al lavoro, la nostra madre casalinga era abbastanza contenta di vederci giocare assieme con le biglie. Eppure Papà, guardando al nostro gioco dalla prospettiva patriarcale, era disturbato da ciò che vedeva. Sua figlia, aggressiva e competitiva, era una migliore giocatrice del suo figlio maschio. Questo, invece, era passivo; al ragazzo non sembrava davvero importare la vittoria ed era disposto a concedere biglie su richiesta. Papà decise che questo gioco doveva finire, e che entrambi, mio fratello ed io, avremmo dovuto ricevere una lezione riguardo i ruoli di genere appropriati.
La sera, a mio fratello fu dato da Papà il permesso di tirar fuori la cassetta delle biglie. Espressi il mio desiderio di giocare e mi fu detto da mio fratello che “le ragazze non giocano con le biglie”, che era un gioco da maschi. Questo non aveva alcun senso per la mia mente di 4-5enne, e insistetti sul mio diritto di giocare prendendo le biglie e lanciandole in aria. Papà intervenì dicendomi di smetterla. Non ascoltai. La sua voce crebbe sempre più forte. Quindi improvvisamente mi afferrò, ruppe una tavola di legno dalla porta-finestra e iniziò a picchiarmi con questa, dicendomi, “Sei solo una ragazzina. Quando ti dico di fare qualcosa, devi farla e basta”. Mi picchiò e mi picchiò ancora, volendo che riconoscessi di aver compreso ciò che avevo fatto. La sua rabbia e la sua violenza catturarono l’attenzione di tutti. La nostra famiglia sedeva affascinata, rapita di fronte alla pornografia della violenza patriarcale. Dopo le percosse fui scacciata – costretta a stare da sola al buio. Mamma venne in camera ad attenuare il dolore, dicendomi con la sua calda voce del sud: “Ho provato ad avvertirti. Devi accettare il fatto che sei solo una ragazzina e le ragazze non possono fare ciò che fanno i ragazzi”. Al servizio del patriarcato, il suo compito era di riconfermare la giustizia di ciò che Papà aveva fatto rimettendomi al mio posto, restaurando il naturale ordine sociale.
Ricordo così lucidamente questo evento traumatico perché è una storia che fu raccontata molte volte nella mia famiglia. A nessuno importava che la costante rievocazione potesse innescare il mio disturbo post-traumatico da stress; la rievocazione era necessaria per rinvigorire sia il messaggio, sia lo stato di assoluta impotenza. Il ricordo di questa brutale fustigazione ai danni di una ragazzina, da parte di un uomo grande e grosso, serviva molto più che da promemoria per me riguardo alla mia collocazione di genere; era un promemoria per chiunque guardasse\ricordasse, per tutti i miei cugini, maschi e femmine, e per tutte le donne e madri adulte di cui il mio patriarca padre era padrone sotto il nostro tetto. Dovevamo ricordare che se non obbedivamo alle sue regole, saremmo state punite, punite anche fino alla morte. Questo è il modo in cui fummo scolarizzati, dall’esperienza, all’arte del patriarcato.
Non c’è nulla di unico ed eccezionale in quest’esperienza. Ascoltate la voce dei bambini feriti, cresciuti in case patriarcali e sentirete differenti versioni dello stesso leitmotiv, l’uso della violenza per sostenere il nostro indottrinamento e accettazione del patriarcato. In “How can I get through to You?” il terapista familiare Terrence Real racconta come suo figlio fu iniziato al pensiero patriarcale nonostante i loro genitori lavorarono per creare una casa amorevole dove predominavano valori antipatriarcali. Racconta di come il suo figlio minore, Alexander, si divertiva a vestirsi da Barbie, fin quando gli amici di suo fratello maggiore videro il suo travestimento da Barbie e gli fecero sapere, dai loro sguardi e dal loro scioccato silenzio di disapprovazione, che il suo comportamento era inaccettabile:
“Senza un briciolo di malevolenza, lo sguardo che mio figlio ricevette trasmetteva un messaggio. Non puoi fare questo. E il veicolo in cui questo messaggio era trasmesso era un’emozione potente: la vergogna. A tre anni, Alexander stava imparando le regole. Una transazione silenziosa di dieci secondi era abbastanza potente da dissuadere mio figlio a desistere da quella che era la sua attività preferita. Chiamo questi momenti di condizionamento la “normale traumatizzazione” dei ragazzi”
Per istruire i ragazzi alle regole del patriarcato, li forziamo a provare dolore e rinnegare i loro sentimenti.
Le mie storie si svolsero negli anni ’50; le storie che narra Real sono recenti. Esse sottolineano la tirannia del pensiero patriarcale, la forza con cui la cultura patriarcale ci tiene prigionieri. Real è uno dei pensatori più illuminati sul tema della virilità patriarcale nella nostra nazione, eppure dichiara ai suoi lettori che non è capace di tenere i suoi ragazzi lontani dalle grinfie del patriarcato. Loro soffrono i suoi assalti, i ragazzi così come le ragazze, in misura variabile. Non c’è dubbio che creando un ambiente familiare non-patriarcale, almeno Real offre ai suoi figli un’opportunità: loro possono scegliere di essere se stessi o possono scegliere la conformità ai ruoli patriarcali. Real usa l’espressione “patriarcato psicologico” per descrivere il pensiero patriarcale che è comune sia nei maschi che nelle femmine. Il pensiero femminista visionario contemporaneo sottolinea che non è necessario che un pensatore sia maschio per essere patriarcale, ma a dispetto di ciò la maggior parte della gente continua a vedere gli uomini come il problema del patriarcato. Questo, semplicemente, non è il caso. Le donne possono essere devote al pensiero e alle pratiche patriarcali tanto quanto gli uomini.
L’illuminante definizione di “patriarcato” dello psicoterapeuta John Bradshaw in “Creating love” è utile: “Il dizionario definisce il patriarcato come <un’organizzazione sociale contrassegnata dalla supremazia del padre nel clan o nella famiglia in entrambe le funzioni domestica e religiosa>”. Il patriarcato è caratterizzato dal dominio e dal potere maschile. Successivamente dichiara che “le leggi patriarcali regolano ancora la maggior parte dei sistemi religiosi, scolastici e familiari nel mondo”. Descrivendo le più deleterie tra queste leggi, Bradshaw elenca “cieca obbedienza – le fondamenta su cui poggia ogni patriarcato; la repressione di tutte le emozioni fatta esclusa la paura; la distruzione della forza di volontà individuale; la repressione del pensiero quantunque esso si discosti dal modo di pensare della figura autoritaria”. Il pensiero patriarcale informa circa i valori della nostra cultura. Siamo socialmente conformi a questo sistema, le femmine così come i maschi. Molti di noi hanno appreso comportamenti patriarcali dalle nostre famiglie d’origine, e solitamente erano le nostre madri a insegnarceli. Questi comportamenti erano rinforzati a scuola e nelle istituzioni religiose.
La presenza, in età contemporanea, di contesti familiari con a capo delle donne ha portato svariate persone a pensare che i bambini in questi ambienti non apprendono i valori patriarcali perché non ci sono uomini presenti. Suppongono che gli uomini siano i soli insegnanti del pensiero patriarcale. Eppure molti contesti familiari guidati da donne appoggiano e promuovono il pensiero patriarcale con passione e fervore anche maggiore delle tradizionali famiglie guidate da due genitori. Poichè non hanno una base esperienziale per ricusare le fallaci fantasie dei ruoli di genere, le donne in queste famiglie sono molto più portate a idealizzare il ruolo maschile patriarcale rispetto alle donne che vivono con uomini patriarcali ogni giorno. Dobbiamo evidenziare il ruolo che le donne giocano nel perpetrare e sostenere la cultura patriarcale così da poter riconoscere il patriarcato come un sistema che entrambi uomini e donne ugualmente supportano, anche se gli uomini ricevono più privilegi da questo sistema. Smantellare e sovvertire la cultura patriarcale è un lavoro che uomini e donne devono fare insieme.
Chiaramente non possiamo sovvertire un sistema fin quando ci impegniamo a negare, collettivamente, il suo impatto sulle nostre vite. Il patriarcato richiede la dominazione maschile ad ogni costo, perciò supporta, promuove, e condona la violenza sessista. Veniamo a sapere molto sulla violenza sessista nei discorsi pubblici sullo stupro e sugli abusi domestici dei partner. Ma la forma più comune di violenza patriarcale è quella che avviene in casa tra genitori patriarcali e figli. Lo scopo di questa violenza è di solito quello di rinforzare un modello dominante, in cui l’autorità è ritenuta sovrana su coloro senza potere ed è stata investita del diritto di mantenere questo ruolo attraverso pratiche di assoggettamento, subordinazione e sottomissione. Impedire a maschi e femmine di raccontare ciò che avviene loro all’interno delle mura familiari è uno dei modi in cui la cultura patriarcale è sostenuta. Una grande maggioranza di individui applica una legge non scritta nell’insieme della cultura per cui dobbiamo mantenere il segreto a proposito del patriarcato proteggendo, omertosamente, la legge del padre. Questa regola del silenzio è appoggiata quando la cultura rifiuta a chiunque anche solo l’accesso alla parola “patriarcato”. Molti ragazzi non sanno come chiamare questo sistema di ruoli di genere istituzionalizzati, così raramente la adoperiamo nel linguaggio quotidiano. Questo silenzio promuove la rimozione. E come possiamo organizzarci per contestare e cambiare un sistema che non può essere nominato?
Non è un caso che le femministe iniziarono ad utilizzare il termine “patriarcato” in sostituzione ai più comunemente usati “sciovinismo maschile” e “sessismo”. Queste voci coraggiose volevano che gli uomini e le donne fossero al corrente di come il patriarcato ci riguardasse tutti e tutte. Nella cultura popolare il termine stesso fu difficilmente usato durante la primavera del femminismo contemporaneo. Le attiviste antimaschili non erano meno ferventi delle loro controparti maschili nell’enfatizzare il sistema del patriarcato e il modo in cui funziona. Poichè così facendo avrebbero automaticamente esposto la nozione che gli uomini sono onnipotenti e le donne impotenti, che tutti gli uomini sono oppressori e le donne solo e sempre vittime. Posizionando la colpa della perpetrazione del sessismo unicamente sugli uomini, queste donne possono mantenere la loro fedeltà al patriarcato e alla loro brama di potere. Hanno mascherato il loro desiderio di essere dominatrici indossando il mantello del vittimismo.
Come molte femministe visionarie ho invalidato la credenza fuorviante dell’uomo come “nemico”, impugnata dalle donne che semplicemente ne avevano abbastanza dell’oppressione e dello sfruttamento maschile. Intorno al 1984 ho incluso nel mio testo “Feminist theory: From margin to center” un capitolo intitolato “Uomini: compagni nella lotta” spingendo le avvocatesse delle politiche femministe a mettere in discussione qualsiasi retorica che ponesse l’uomo come solo responsabile della perpetrazione del patriarcato e dell’oppressione maschile: “L’ideologia separatista incoraggia le donne ad ignorare l’impatto negativo del sessismo nella personalità maschile. Accentua la polarizzazione tra i sessi. Secondo Joy Justice, le separatiste credono che vi siano “due prospettive di base” nel problema di nominare le vittime del sessismo: <C’è la prospettiva in cui l’uomo opprime la donna. E c’è la prospettiva in cui le persone sono persone, e siamo tutti danneggiati da rigidi ruoli di genere>… Entrambe le prospettive descrivono accuratamente il nostro impiccio. Gli uomini opprimono le donne. Le persone sono danneggiate da rigidi modelli di genere. Queste due realtà coesistono. L’oppressione maschile sulla donna non sarà affatto rafforzata se riconosciamo l’esistenza di modi in cui gli uomini sono feriti da rigidi ruoli di genere. Le attiviste femministe dovrebbero ammettere questo danno, e lavorare per cambiarlo – esso esiste. Non cancella né riduce la responsabilità maschile nel supportare e perpetrare la cultura patriarcale che dà ad essi il potere di sfruttare e opprimere le donne in maniera assai grave, così come altrettanto serio è lo stress psicologico e il dolore emozionale causati su uomini obbligati ad essere conformi a rigidi schemi di ruolo sessisti.”
Attraverso questo saggio ho sottolineato che quando le sostenitrici del femminismo rappresentano gli uomini, fallacemente, come sempre e solo potenti, come sempre solo beneficiari di privilegi per la loro cieca obbedienza al patriarcato, colludono nel dolore degli uomini feriti da questo sistema. Ho messo in evidenza il fatto che l’ideologia patriarcale compie una sorta di lavaggio del cervello sugli uomini affinché credano che il loro dominio sulla donna sia un vantaggio quando, in realtà, non lo è:
“Spesso le attiviste femministe affermano questa logica, quando invece dovremmo costantemente definire questi atti come espressioni di relazioni di potere perverse, generale mancanza di controllo delle proprie azioni, impotenza emozionale, estrema irrazionalità e, in alcuni casi, completa follia. Il maschile assorbimento passivo dell’ideologia sessista consente agli uomini di interpretare, falsamente, in maniera positiva questo comportamento malsano. Finchè gli uomini saranno indottrinati ad associare la dominazione violenta e l’abuso delle donne con il privilegio, non avranno la minima idea del danno fatto a se stessi e agli altri, e nessuna motivazione a cambiare.”
Il patriarcato richiede agli uomini di diventare e rimanere emotivamente storpi. Dal momento che questo sistema nega agli uomini il pieno accesso alla loro libera volontà, è difficile per qualsiasi uomo di qualsiasi classe ribellarsi contro il patriarcato ed essere sleale nei confronti del genitore patriarcale, sia questo maschio o femmina.
L’uomo che è stato il mio primo legame importante per più di 20 anni fu traumatizzato dalle dinamiche patriarcali della sua famiglia di origine. Quando lo conobbi aveva circa 20 anni. I suoi primi anni li trascorse con un padre alcolizzato e violento, ma le circostanze cambiarono quando andò a vivere con sua madre. Nei primi anni della nostra relazione parlava apertamente della sua rabbia ed ostilità nei confronti del padre abusatore. Non era interessato a perdonarlo né a comprendere le circostanze che avevano formato ed influenzato, sia nell’infanzia sia nell’esperienza da militare, la vita di suo padre.
Nei primi anni della nostra relazione era estremamente critico riguardo la dominazione maschile di donne e bambini. Sebbene non usasse mai l’espressione “patriarcato”, comprendeva il suo significato, e vi si opponeva. Le sue maniere quiete e gentili spesso portavano le folle ad ignorarlo, e a considerarlo insieme ai deboli e impotenti. Verso i 30 anni iniziò ad assumere atteggiamenti più da macho, abbracciando il modello dominante che una volta criticava. Indossando il mantello machista del patriarcato, guadagnò più rispetto e visibilità. Molte donne iniziarono ad essere affascinate da lui. Veniva notato di più agli eventi pubblici. La sua critica del dominio maschile cessò. E piuttosto iniziò a dar voce alla retorica patriarcale, dicendo lo stesso tipo di robe sessiste che nel passato l’avrebbero inorridito.
Questi cambiamenti di pensiero e comportamento furono sdoganati dal suo desiderio di essere accettato e riconosciuto in un ambiente lavorativo patriarcale, e razionalizzati dal suo desiderio di arrivare in alto. La sua storia non è inusuale. I ragazzi brutalizzati e vittimizzati dal patriarcato, la maggior parte delle volte, diventano essi stessi patriarcali, incarnando la mascolinità patriarcale abusante che una volta riconoscevano essere negativa. Alcuni uomini brutalmente abusati da piccoli, in nome della virilità patriarcale, resistono a questo lavaggio del cervello e restano fedeli a se stessi. La maggior parte degli uomini si conforma al patriarcato, in un modo o nell’altro.
Tant’è, che la critica femminista del patriarcato è stata praticamente repressa nella nostra cultura. È diventata un discorso controculturale disponibile solo a élites colte. E anche in questi circoli, usare la parola “patriarcato” è considerato obsoleto. Spesso nelle mie lezioni quando uso l’espressione “patriarcato imperialista bianco-suprematista capitalista” per descrivere il sistema politico della nostra nazione, il pubblico ride. Nessuno di loro però ha mai spiegato perché nominare accuratamente questo sistema sia divertente. La risata (la derisione) stessa è un’arma del terrorismo patriarcale. Funge da delegittimazione, sminuendo il senso di ciò che viene detto. Ciò suggerisce che le parole stesse sono problematiche, prima ancora del sistema che esse descrivono. Interpreto queste risate come il modo che il pubblico ha di mostrare il disagio di sentirsi chiamato ad associarsi ad una critica antipatriarcale disobbediente. Queste risate mi ricordano che se oso sfidare apertamente il patriarcato, rischio di non essere presa sul serio.
I cittadini di questo paese hanno paura di sfidare il patriarcato e allo stesso tempo mancano della piena consapevolezza di avere paura, essendo le leggi del patriarcato così profondamente radicate nel nostro inconscio collettivo.
Spesso dico al pubblico che se andassimo casa per casa a chiedere se dovremmo fermare la violenza maschile contro le donne, la maggior parte delle persone darebbe il suo supporto inequivocabile. Ma se poi dicessi loro che che possiamo fermare la violenza dell’uomo contro la donna soltando abolendo la dominazione maschile, sradicando il patriarcato, inizierebbero ad esitare e rivedere le loro posizioni. Nonostante le numerose conquiste del movimento femminista contemporaneo – maggiore uguaglianza delle donne sul posto di lavoro, tolleranza per l’abbattimento di rigidi ruoli di genere – il sistema patriarcale resta intatto, e parecchie persone continuano, oltretutto, a credere che questo sistema sia necessario alla sopravvivenza della specie umana. Questa credenza sembra ironica, visto che i metodi patriarcali di organizzazione delle nazioni, specialmente l’insistenza sulla violenza come mezzo di controllo sociale, hanno in realtà portato al massacro di milioni di persone sul nostro pianeta.
Finchè non riconosciamo, collettivamente, il danno che il patriarcato causa e la sofferenza che genera, non possiamo rivolgerci al problema del dolore maschile. Non possiamo chiedere per gli uomini il diritto ad essere integri, di essere datori e sostenitori della vita. Ovviamente alcuni uomini patriarcali sono affidabili e addirittura benevolenti nei loro ruoli di cura, ma comunque sono imprigionati in un sistema che mina la loro salute mentale alla base.
Il patriarcato promuove la follia. È alla radice dei problemi psicologici che affliggono gli uomini nel nostro paese. Nonostante ciò, non c’è un interesse collettivo per le condizioni dell’uomo. In “Stiffed: the Betrayal of the American man”, Susan Faludi include una piccola discussione sul patriarcato:
“Chiedete alle femministe di diagnosticare i problemi degli uomini e molto spesso riceverete una spiegazione molto chiara: gli uomini sono in crisi perché le donne stanno efficacemente mettendo in discussione il dominio maschile. Le donne stanno chiedendo agli uomini di condividere le redini della vita pubblica, e gli uomini non lo possono sopportare. Chiedete agli antifemministi e avrete una diagnosi, in qualche modo, simile. Gli uomini sono preoccupati, dicono i conservatori eruditi, perché le donne sono andate ben oltre nelle loro richieste di parità di diritti e ora stanno cercando di sottrarre il potere e il controllo dalle mani degli uomini… Il messaggio implicito: se non hanno il controllo, gli uomini non possono essere uomini ma solo eunuchi. Entrambe – la visione femminista e quella antifemminista – sono radicate in una peculiare concezione americana moderna per la quale essere un uomo significa essere al comando e in ogni momento sentirti in grado di avere il controllo di te stesso.”
Faludi non interroga il concetto di controllo. Non considera mai il fatto che può essere ritenuto falso considerare gli uomini aventi controllo, accesso al potere, come soddisfatti della propria vita prima del movimento femminista contemporaneo.
Il patriarcato come sistema ha negato ai maschi l’accesso al pieno benessere emozionale, che non è la stessa cosa di sentirsi premiati, vincenti e potenti grazie alla particolare capacità di stabilire un controllo sugli altri. Per rivolgerci realmente e con attenzione a comprendere la sofferenza e la crisi maschili dobbiamo, come nazione, essere disposti ad esporre la scomoda verità, ovvero che il patriarcato ha recato danno agli uomini nel passato e continua a comprometterli nel presente. Se il patriarcato davvero avvantaggiasse gli uomini, la violenza e la dipendenza che sono così pervasive nella vita familiare non esisterebbero. Questa violenza non fu generata dal femminismo. Se il patriarcato fosse vantaggioso, l’opprimente insoddisfazione che il più degli uomini prova nella propria vita lavorativa – un’insoddisfazione ampiamente documentata nel lavoro di Studs Terkel e ripresa nel trattato di Faludi – non esisterebbe.
In molti modi “Stiffed” fu ancora un altro tradimento dell’uomo americano perché Faludi impiega così tanto tempo cercando di non contestare il patriarcato che fallisce nel sottolineare la necessità di abolire il patriarcato nel caso in cui davvero volessimo liberare gli uomini. D’altronde lei scrive:
“Piuttosto che chiedermi perché gli uomini oppongano resistenza alle lotte femminili per un’esistenza più libera ed agiata, iniziai a domandarmi perché mai gli uomini si astengono dall’impegnarsi in una loro propria lotta. Perché, nonostante un crescendo di malumori diffusi, loro non hanno offerto nessuna risposta metodica e ragionata al loro disagio: data la natura insostenibile ed insultante delle richieste sottoposte all’uomo perché esso provi il suo valore nella nostra cultura, perché gli uomini non si rivoltano?… Perché gli uomini non hanno reagito alla serie di infamie subite – le promesse infrante dei loro padri – con qualcosa di equivalente al femminismo?”
Notare che Faludi non si permette di provocare né le ire delle donne femministe, suggerendo che gli uomini possano trovare salvezza nel movimento femminista, né il rifiuto da potenziali lettori uomini solidamente antifemministi, suggerendo che possano avere qualcosa da imparare dal femminismo militante.
Finora nella nostra nazione il movimento femminista visionario è l’unica lotta politica che enfatizza la necessità di abolire il patriarcato. Nessun gruppo organizzato femminile ha mai contestato il patriarcato e né alcun gruppo di uomini si è messo insieme per guidare la lotta. La crisi che gli uomini affrontano non è la crisi della virilità; è la crisi della virilità patriarcale. Finchè non chiariamo questa distinzione, gli uomini continueranno a temere che ogni critica del patriarcato rappresenti una minaccia. Distinguendo dal patriarcato politico, che egli vede pesantemente coinvolto nella lotta al sessismo, il terapista Terrence Real spiega che il patriarcato che ci danneggia tutti e tutte è incorporato nella nostra psiche:
“Il patriarcato psicologico è la dinamica fra quelle qualità reputate “femminili” e “maschili” in cui metà delle nostre caratteristiche umane sono esaltate mentre l’altra metà è svalutata. Entrambi gli uomini e le donne partecipano a questo travisato sistema di valori. Il patriarcato psicologico è una “danza del disprezzo”, una perversa forma di relazione che sostituisce la vera intimità con celate e complesse sovrastrutture di dominanza e sottomissione, collusione e manipolazione. È l’inconfessato paradigma relazionale che ha ammantato la civiltà occidentale generazione dopo generazione, deformando entrambi i sessi, distruggendo il loro legame appassionato.”
Mettendo in evidenza il concetto di patriarcato psicologico, vediamo che ciascuno è coinvolto, e siamo affrancati dalla convinzione sbagliata che gli uomini siano i nemici.
Per abolire il patriarcato dobbiamo contestare sia la sua manifestazione psicologica che quella concreta nella vita reale. C’è gente che è capace di criticare il patriarcato ma incapace di agire in maniera antipatriarcale.
Per risolvere il problema della pena maschile, per reagire efficacemente alla crisi maschile, dobbiamo nominare il problema. Dobbiamo riconoscere che il problema è il patriarcato e lavorare per abolirlo. Terrence Real offre una valida intuizione: “Il recupero dell’integrità è un processo anche più intenso per gli uomini di come lo è stato per le donne, più difficile e più profondamente minaccioso per la cultura in generale.” Se gli uomini devono rivendicare l’essenziale bontà dell’essere maschile, se devono riconquistare lo spazio della sincerità e dell’espressività emozionale che è alla base del loro benessere, dobbiamo prevedere delle alternative alla maschilità patriarcale. Dobbiamo cambiare tutti.
Una domanda: la donna che “approva” la violenza sulle donne, dando alla donna stessa la colpa della violenza subita (se l’è cercata, non doveva provocarlo , non doveva uscire da sola ) come vive il proprio essere donna?
Grazie per questa traduzione. Oro colato