Autodeterminazione, R-Esistenze

Pentite di essere madri

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di Olivia Carballar (lamarea.com)
traduzione di Grazia

  • Rimpiangere la maternità: unanalisi sociopolitica”, uno studio elaborato dalla sociologa israeliana Oma Donath, indaga un aspetto della maternità che è praticamente un tabù nel mondo.
  • “É il più grande errore della mia vita, concludono le donne intervistate”

Sì, esiste nella nostra società qualcosa di peggiore del non voler essere madre. Pensare, e soprattutto, dire che esserlo diventata è stato un errore. “Rimpiangere la maternità: unanalisi sociopolitica”, uno studio elaborato dalla sociologa israeliana Oma Donath, indaga un aspetto della maternità che è praticamente un tabù nel mondo. Donath raccoglie e analizza con acutezza 23 testimonianze di donne che assicurano essersi pentite di essere diventate madri. “É il più grande errore della mia vita”, concludono. Sono testimonianze di donne israeliane che però potrebbero essere valide per qualunque parte del mondo occidentale più convenzionale, in cui le emozioni e i sentimenti legati alla maternità sono un monolite culturale.

Come? 23 donne che non amano i loro figli? Questo è quello che forse si sta domandando il lettore o la lettrice dopo aver terminato il primo paragrafo. E qui sta l’errore. Le donne intervistate da Orna Donath non fanno tale affermazione, al contrario. Ciò che emerge dalla lettura delle loro interviste è che quello di cui si pentono è non aver potuto vivere la loro vita come avrebbero voluto. Donath lo esprime in questo modo: “Le partecipanti (allo studio) enfatizzavano la distinzione fra l’oggetto (i/le bambin*) e l’esperienza (la maternità). La maggior parte di loro ponevano in risalto l’amore per i/le loro figl* e il loro odio per l’esperienza della maternità”.

E qui sta la radicalità della ricerca di Donath, che ha generato un forte dibattito in Germania, dove lo studio, realizzato fra il 2008 e il 2011, fu diffuso prima. I social network si fecero eco della questione pubblicando l’articolo con l’hashtag #regrettingmotherhood. Molte delle donne intervistate espressero che, in concordanza con l’immagine pubblica della non-maternità nel loro Paese, avrebbero sperimentato una sensazione di vuoto e perdita se non avessero avuto figli, però solo se non avessero saputo quello che sanno attualmente. Quando si termina di leggere le testimonianze una parola immediatamente urge alla mente: libertà. Libertà di qualunque persona di vivere la vita come desidera e non in base alle convenzioni o spinta dalle pressioni di determinati ambienti o del suo compagno. Perché essere madre, anche se tuttora è difficile assumerlo, non è un obbligo.

Charlotte, 44 anni, divorziata, madre di due figli, spiega così la complessità della sua esperienza: “Guarda, è complicato perché mi pento di essere madre, ma non mi pento di loro, di chi sono, della loro personalità. Io li amo. Anche se mi sposai con un imbecille, non me ne pento, perché se mi fossi sposata con un altro, avrei altri figli. Ed io li amo. É realmente un paradosso. Mi pento di avere figli e di essere madre ma amo i figli che ho. É così. Non è qualcosa che possa veramente spiegare. Non voglio che non stiano qui, però non voglio essere madre”.

Lo studio rivela che molte vite sono vissute senza che le loro proprietarie si domandino se effettivamente è quello che vogliono fino a che non è troppo tardi. Atalaya ha 45 anni, è anche lei divorziata e i suoi tre figli adolescenti vivono con il padre. “Passai all’essere madre in maniera automatica. Senza aver pensato alle conseguenze dell’avere figli o del non averli. Chiaramente se potessi tornare indietro, non avrei fatto figli”, sostiene nella ricerca. Tritza, 57 anni, divorziata, madre di due figli e nonna, afferma che non le venne in mente la possibilità di non avere figli: “Ogni volta che parlo con i miei amici, dico loro che se avessi avuto l’esperienza che ho oggi, non avrei creato neanche un quarto di figlio. Ciò che è più doloroso è che non posso tornare indietro nel tempo. Ormai è impossibile porre rimedio”. Era naturale avere figli in una società dove oltre i trent’anni comincia a risuonarti la frase che l’orologio biologico ticchetta.

Secondo il Centro di Studi Demografici dell’Università Autonoma di Barcellona, una ogni quattro donne nate a metà degli anni ’70 non avrà figli. Odelya, molto più giovane di Tritza, la pensa nello stesso modo. Con 26 anni assicura che da quando ebbe il suo unico figlio seppe che non era fatta per essere madre: “Però la opzione di non averlo non albergava nella mia mente”.

La ricerca di Donath, in definitiva, è un invito, in primo luogo, all’ascolto. Quando uno legge quello che dicono le donne, può comprenderle. E, in secondo luogo, è una rivendicazione delle emozioni e un invito a tutte le donne che ancora sono in tempo a vivere la loro vita, a farlo. Qualunque donna può non essere madre se non vuole esserlo. Nessuno ci può convincere del contrario.

Il Club de malas madres

In Spagna, il Club de malas madre, con una forte presenza nei social network, nacque anche con l’obiettivo di demistificare la maternità. “Vorremmo porre fine al concetto di superwoman, che ci impone la società e che non ci aiuta in nulla. Perché non abbiamo super poteri e non li vogliamo”, propongono nella loro dichiarazione di intenzioni.

Nel Diario de mala madre, Amelia Baena fa un esempio di ciò che ancora è mal visto, come trascorrere alcuni momenti non in compagnia dei figli: “Non mentire. Amerai l’interminabile coda in banca, ne invocherai l’occasione” e ti sederai su una delle sedie, fredda, sì, però comoda per il tuo corpo maltrattato e sonnolento. Godrai nel guardare all’infinito il cellulare che tieni in mano”.

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[Su questo blog in tante si sono raccontate demistificando il ruolo materno e raccontando la voglia di libertà, l’essersi pentite e l’esigenza di consegnare la cura dei figli ad altre persone perché alla fine volevano riappropriarsi delle proprie vite. Trovate tutto a partire da QUI. Seguite a ritroso i post della categoria e quando e se volete raccontare anche la vostra esperienza scrivete a abbattoimuri@grrlz.net]

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