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Per le “pazze” che si toccano senza timore

Rosarita è nata pazza, dicevano in paese, perché aveva la brutta abitudine di dire quello che pensava. È nata cinquantadue anni fa ed è passata da uno psichiatra all’altro, per il suo bene, perché aveva anche un’altra brutta abitudine: si toccava in pubblico. Mostrava le mutandine ai bambini. Faceva giochi che imponevano una certa dose di rimproveri. Più le dicevano di evitare di comportarsi così e più lei ci prendeva gusto. Quando arrivò a 11 anni le vennero le mestruazioni, e allora i rimproveri si fecero ancor più violenti. Sei una signorinella, una piccola donna, ti devi comportare bene, perché se fai la troia non ti si piglia più nessuno.

La madre tentò di scoraggiarla facendole nascere complessi, sensi di colpa, vergogna. Intorno ai 13 anni la portò dallo psichiatra per farle dare un calmante. Bisogna calmarla questa ragazza, non sa quello che fa, non ha pudore, non ha limiti. Lo psichiatra non accettò di fare niente che non fosse giusto. Non gli sembrava che la ragazza avesse niente da correggere. Allora la madre la portò da un altro dottore e un altro ancora fintanto che non trovò quello che accettò di farla ricoverare, tra schizofrenici e donne con varie patologie, giusto per darle l’impressione di essere una ragazza poco sana.

C’era tanto di morboso in quello sconsiderato interesse per la sua sessualità. Tutti a dirle questo è giusto e l’altra cosa no. Ma Rosarita fece diventare la sua curiosità un dispetto. Allargava le gambe e si toccava davanti a tutti e in ospedale le legarono le mani. Per il suo bene. Quando una zia ne ebbe abbastanza minacciò di denunciare tutti quanti e allora rimandarono la ragazza a casa e lì furono madre e padre a legarla su un letto. Per il suo bene.

Di lei tutto il paese diceva che era pazza. Poverina. E “povera sua madre che si porta addosso quella croce”. Non ha avuto fortuna. Invece di una figlia amorevole e disponibile ad aiutarla con i lavori di casa si è ritrovata con quell’essere malato. Qualche buona vicina consigliò alla madre di rivolgersi perfino a un esorcista. La madre chiamò il prete, perché era una credente con i controfiocchi, e il prete non fu tanto convinto dalla sua versione dei fatti. A ben vedere le figure “maschili” alle quali lei si era rivolta per fare aggiustare la figlia non furono tutte così disponibili al suo gioco. La donna, allora, se la prese con il marito, perché se fosse stato un uomo come Dio comanda la figlia sarebbe cresciuta meglio.

Legata, abusata, per risolvere le crisi “isteriche” di questa ragazzina che non ne poteva più di quelle “soluzioni”. Quando venne il tempo di mandarla alle superiori la madre si rifiutò, dapprincipio, e fu la solita zia a dirle che se non la mandava avrebbe fatto un casino. La “zia” era la sorella del padre della ragazza. Una donna di mezz’età e senza figli. Una insegnante delle elementari che da tutti veniva considerata una poco di buono perché abitava da sola e non si era mai sposata. Non contava in termini sociali ma si temeva sempre che si rivolgesse a qualcuno di più grande e grosso.

La sessualità adolescenziale di Rosarita fu dispettosa, depravata, offensiva, provocante. Voleva forse dimostrare qualcosa e di certo le ore passate con i lacci stretti ai polsi non avevano giovato alla sua equilibrata crescita. I genitori smisero di legarla e di picchiarla sulle mani. La madre aveva escogitato un altro trucco meno invasivo ma funzionale alla penitenza. Le faceva immergere le mani nel peperoncino, e una volta lo aveva versato dentro le mutande, per ricordare alla ragazza che “il peccato provoca dolore”.

Voi non ci crederete (ironia mode/on) ma Rosarita finì per desiderare di fuggire via, lontano, e per un po’ andò a vivere con la zia. Era arrivata all’età in cui poteva permettersi di compilare una denuncia per maltrattamenti, sebbene sarebbe stato complicato dire alle polizie in cosa consistessero in realtà. Come si fa a spiegare ad un adulto in divisa che il maltrattamento è la repressione della tua sessualità? Se fosse stato così immediatamente comprensibile tanti genitori, inclusi quelli che punivano le figlie con prove di verginità, sarebbero finiti davanti a un giudice. Avete mai sentito una ragazzina chiamare il telefono azzurro per dire “mia madre mi impedisce di toccarmi”?

Deve essere raro, secondo me. Raro pensare che hai diritto a vivere la tua sessualità e che impedirti di viverla è una violenza. Sicuramente è difficile dire anche che se tua madre si rivolge a medici e preti per “la tua salvezza contro il peccato” sta compiendo un abuso. Un enorme abuso. Dovrebbe essere scritto a caratteri cubitali da qualche parte: “se un genitore impedisce ai figli di esplorare la propria sessualità compie un maltrattamento”. Invece, e ci pensavo giusto in questi giorni, siamo arrivati al punto in cui sessuofobi e no/gender dicono che della sessualità ai bambini non bisognerebbe proprio parlare. E non sto dicendo che sarebbe okay spiegarglielo a scuola. Ma almeno a casa, i genitori, non dovrebbero traumatizzarli se vedono il bambino che si tocca il “pipillo” o la bambina che “titilla la passerina”.

È una cosa naturale. Quello che non va bene è il fatto di credere che una bambina che si tocca sia malata. Ma per tornare a Rosarita, la storia si conclude con un ventennio di cure contro la depressione, sicuramente provocata dalla cattiva educazione subita. Un ventennio di antidepressivi, di visite da psichiatri, di senso di colpa nel vivere la propria sessualità, finché la zia non morì lasciandole la casa. Così, da sola, fissando i propri limiti e affrontando mostri e fantasmi, Rosarita trascorse l’età adulta senza dover dipendere da nessuno. Oggi vive ancora in quella casa, assieme al suo compagno. Non parla con i suoi da tanto tempo. I suoi non hanno mai smesso di chiamarla pazza. Quest’otto marzo lo vorrei dedicare anche a lei. Buon otto marzo, cara, e un forte abbraccio a te e al tuo compagno.

Ps: è una storia vera. Grazie a chi l’ha raccontata.

3 pensieri su “Per le “pazze” che si toccano senza timore”

  1. Forse sbaglio, ma una bambina che si tocca e si spoglia davanti ai compagni, agli amici e agli adulti, un problema lo ha.
    La reazione dei genitori é stata sbagliata e sicuramente ha provocato ancora piu danni di quanti già non ce ne fossero, ma dei danni c’erano senza dubbio.
    Per quanto una persona possa e voglia essere mantalmente aperta, é impensabile che possa essere considerato normale che un bambino, ragazzino o adulto che sia possa masturbaesi davanti a amici, estranei o a parenti.
    Poi a un bambino si dice che é sbagliato e gli si fa capire quando e dove fare certe cose, non lo si lega a letto.
    In ogni caso, penso un po’ di poter capire la vergogna e la paura di quei genitori.

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