Io non ce l’ho più l’utero. Ho subito un intervento necessario, perché tenermelo – l’utero – significava accorciare la mia vita. Il fatto di non averlo non mi ha condizionata più di tanto. Non mi sentivo donna per il solo fatto di avere un utero e non mi sento meno donna ora che non ce l’ho più. Quello che mi ha ferita è stata una osservazione di una dottora che mi ha detto che “tanto tu non hai fatto figli fino ad ora, perciò l’utero a che ti serve? Stai tranquilla…” – e io avrei dovuto ridere alla sua “battuta”, perché è sempre divertente dire ad una donna che va bene diventare sterile giacché non ha adempiuto al suo dovere riproduttivo.
Il fatto di non avercelo, l’utero, oggi è causa di ulteriore stigma. Se provo a inserirmi nel dibattito sulla Gestazione per Altri, cioè quando una donna fa un figlio che è frutto di un ovulo fecondato da un seme – con ovulo e seme estranei alla donna che gestirà la gravidanza – mi dicono “che vuoi saperne tu… se avessi l’utero potresti parlare… ma non ce l’hai”, e io mi sento come al centro di una dinamica atroce realizzata da chi ti insulta se non sei riproduttiva ma ti insulta anche se riproduci un figlio per donarlo ad un’altra coppia. Dico per scelta, libera, possibilmente gratuita, perché io ci credo ancora ai doni tra persone solidali. Invece non ho diritto di parola.
Allora vorrei spiegare che questo mi fa male più della mia stessa malattia che è stata causa dell’isterectomia. Mi fa male il fatto che ci sia chi dice di avere il diritto di parlare in nome delle donne perché in possesso di utero e mi fa male il fatto che ci sia chi dice – da uomo – che può parlarne perché il suo sapere, si sa, è sempre universale. Io non ho utero, e non ho figli, e con l’utero ho perso anche i neuroni, pare, e la mancata esperienza della maternità mi toglie quell’alone di santità dal quale sono circondate le madri martiri e sacrificate in onore ai propri figli. “Tu non sei madre… cosa vuoi saperne tu…” – e giù a parlare del dramma del distacco, del fatto che il figlio che ti cresce dentro è tuo perché l’hai partorito tu. E secondo lo stesso principio dovrei marchiare la pelle dei figli, come per gli animali da allevamento (gran brutta cosa pure quella). Riassumendo: io non ho figli, non ho provato le gioie della maternità, e, perdinci, non ho neppure l’utero e quindi mi manca l’empatia nei confronti di una “vera madre”. E io chiedo a voi che siete madri se distinguete la vera dalla falsa; se esiste la differenza tra le due tipologie e se non ci sono madri che invece non amano essere piazzate in quegli schemi, poverini, da gente, poverina, che pur avendo utero, figli, alone santificante eccetera, a me sembrano talmente concentrate in direzione del proprio buco del culo, da farmi dubitare del fatto che non santifichino anche i pezzi di merda, man man che li cagano (fisiologicamente parlando: vengono dal corpo, sono stati parecchio in contatto con il ventre tuo materno, è altra “vita” – buona a concimare – che ti cresce dentro, come fai a separartene?).
Non voglio offendere nessuna. Sono io che sono maledettamente offesa per tutti gli stereotipi del cazzo che devo subire ogni giorno. Ma voglio comunque dare la mia opinione sulla questione e lo faccio perché mi spiace per quello che subiscono i genitori di bambini partoriti con GpA. Mi spiace per quei bambini che secondo qualche parlamentare tanto “umano” (che si oppone alla step child adoption) dovrebbero essere tolti ai genitori, gli unici che conoscono, per essere affidati a famiglie etero. Un po’ come quando si parla di pulizia etnica e di sottrazione dei figli ad una particolare etnia o categoria di persone per non permetterne l’evoluzione. Vogliamo solo figli ariani, cresciuti in famiglie etero, secondo i principi dettati dalla nazione, e Dio/patria/famiglia, via i froci dai destini dell’umanità (ché secondo alcuni possono nascere solo in famiglie frocie. Le famiglie etero non generano froci e frocie, no?).
E poi si lamentano quando gente simile viene chiamata nazista? E come dovremmo chiamarla, di grazia? Voglio esprimere la mia opinione perché credo non sia il tempo e il luogo di starcene zitti a nicchiare (libertà di coscienza, un corno) per non farsi nemici o per non perdere “consenso”. Io sto con quelle persone che combattono per ottenere rispetto per quelle che sono famiglie, pur senza la benedizione dei parlamentari catto/fascisti che ci ritroviamo in Italia. Parlamentari di cui vergognarsi, dove quelli di sinistra sono tanto più conservatori di certa gente di destra di altre, più civili e illuminate, nazioni.
Se io avessi un utero lo metterei al servizio di una coppia di persone, gay, lesbiche, etero, per partorire un figlio del quale si prenderanno cura. Se avessi un utero mi piacerebbe prestare la mia donnità, senza martirio e senza sacrificio, a chi ne ha bisogno. Si dona il sangue, la volontà e la gentilezza, la solidarietà, nei confronti di chi manca di qualcosa. Non vedo perché non si possa generare un dono che per altr* è tanto prezioso solo perché c’è chi si aggrappa al concetto di “natura” per penalizzare categorie di persone che gli stanno sulle palle.
Se vogliamo parlare di natura allora parliamo di quei bimbi che nascono ambisesso e che vengono mutilati alla nascita per intrappolarli in un solo sesso, ovvero quello che decidono medici in preda al delirio di onnipotenza. Io non ho un utero e se per qualcuno, assai stronzo, può essere una conseguenza delle mie cattive scelte, per il fatto di non aver generato figli eccetera (perché mi hanno detto anche questo: “Dio dà e Dio toglie…” descrivendo Dio come un perfido stronzo vendicativo e funesto), per chi si occupa di scienza è solo conseguenza di un male che ad oggi la medicina stenta a poter curare diversamente se non lo prendi in tempo.
Ma se io avessi ancora il mio utero, per quanto io non abbia mai avuto voglia di essere madre, l’avrei messo a disposizione di una coppia di persone e in favore ad un bambino che assieme a loro sarebbe stato certamente felice. E’ il 2016 e la scienza ci permette di vivere più a lungo, ci serve a stare meglio, a correggere problemi, a valorizzare quel che di buono può regalarci il nostro corpo. Se io avessi dovuto seguire la natura sarei dovuta crepare anni fa. Invece sono viva, e lo siete anche voi che avete dieci bypass (naturalissimi, si si, come no) che vi permettono di sentire ancora il battito del vostro cuore. Lo siete anche voi che avete ricevuto in dono – grazie ad un vostro o una vostra parente – un rene, un po’ di midollo osseo, o un pezzo di fegato, se compatibili. Lo siete quando c’è da curarvi, da integrare vostre capacità, da guarire i vostri figli, fin da piccoli, per permettere loro di stare meglio a partire da terapie prima inimmaginabili.
La morale che viene usata solo quando si parla di coppie gay è vomitevole, omofoba e offende anche me, come donna, per il mio diritto a scegliere liberamente. E dato che la penso così, come già una volta mi hanno detto, qualcuno scriverà, forse, che è per questo che Dio mi ha tolto l’utero, perché altrimenti l’avrei usato malamente. Ebbene: c’è più perfidia nelle persone che oggi, nel corso di questo dibattito, dicono di difendere i bambini che in molti altri soggetti cattivi che ho avuto la disgrazia di conoscere negli anni passati. Oh, dimenticavo: io sono stata cresciuta da mia madre e mia nonna, tecnicamente due donne, come fossero una coppia lesbica, perché mio padre non c’era mai, come molti genitori assenti per varie ragioni, lavoro, vita, scelte, nel periodo di crescita dei figli. E no, non è per questo che mi è “cascato” l’utero.
Ps: questa è una storia vera. Grazie a chi l’ha raccontata.
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Grazie per aver condiviso questa esperienza. Io personalmente non sarei capace di portare a termine una gravidanza neppure per mettere al mondo un figlio mio, perciò ritengo questa pratica della “gravidanza per altri” un atto di generosità che a stento riesco ad immaginare.
In quanto donna giovane, alla frase ‘non voglio figli’ mi sento sempre dire ‘sei giovane, non sai davvero quello che vuoi, cambierai idea’.
Naturalmente ciò non può rispecchiare l’irritazione ed il dolore provati dall’autrice di questa testimonianza, tuttavia in quei momenti anch’io mi sento paragonata ad una specie di macchinario che prima o poi dovrà adempiere al proprio dovere.
Mi sembra quasi di avere una data di scadenza, o di essere fredda e ‘cattiva’ perché i bambini non mi risvegliano alcun tipo di istinto materno. Non vado in brodo di giuggiole vedendo un bambino, non impazzisco per le scarpine fatto all’uncinetto, e ciò agli occhi di molti fa di me una ‘pessima madre’ e, di conseguenza, una ‘pessima donna’.
Sono perfettamente cosciente della mia inadeguatezza al ruolo materno – questo è uno dei motivi, infatti, per cui non desidero figli – ma vorrei, una volta tanto, non essere guardata con sufficienza non appena espongo tale pensiero, come se tanto il mio destino fosse già segnato. ‘Prima o poi toccherà anche a te’.
Io non sono il mio utero, né la mia vagina, né il mio seno.
Vorrei ci fossero più persone pronte a capirlo.
Pronte a capirlo.