Autodeterminazione, Precarietà, R-Esistenze, Sessualità, Violenza

Cosa vuol dire essere una vittima di tratta

Per fermare la tratta si deve legalizzare il lavoro sessuale
Per fermare la tratta si deve legalizzare il lavoro sessuale

Per me, essere una vittima di tratta, può non essere lo stesso che per te. Io non mi considero una vittima. Fui vittimizzata? Sì, assolutamente sì. Ma non voglio che sia parte della mia identità.

Nel 2004 avevo 18 anni e da poco mi ero trasferita nella parte alta del quartiere ovest di New York. Durante gli anni del liceo partecipai ad un programma per il quale dovevo seguire delle lezioni all’università. Questo comportò che cercassi un lavoro – in nero e probabilmente non molto legale – come cameriera, che mi occupava dalle quaranta alle cinquanta ore alla settimana. Risparmiai a sufficienza per trasferirmi a New York senza averlo previsto – senza famiglia, amici o altro – subito dopo la fine del liceo.

Neanche un mese dopo il mio trasferimento conobbi un ragazzo. Mi disse che voleva essere il mio fidanzato e che saremmo andati a vivere insieme, che però prima aveva bisogno di più denaro. Dopodiché si presentò con un gruppo di trafficanti di droga in un auto nera – come in un film – e andammo nella terra di nessuno, in una zona industriale del Bronx (dove allora non era ancora in atto il processo di gentrificazione). Fui rinchiusa in una stanza con i trafficanti di droga – che ovviamente mi scoparono come vollero. Nessuno mi disse mai cosa andavamo a fare quando salivo sul SUV nero e ogni volta il mio cosiddetto “fidanzato” mi diceva che sarebbe stata l’ultima. Anche dopo che vidi scivolare i soldi nella sua mano o che mi offrì ad un ubriaco in cambio di 5 $, non pensai mai di essere abusata o vittimizzata. Pure dopo gli stupri, anche di gruppo, molti sotto minaccia di armi, che mi umiliarono completamente, le mie sole maniere di affrontare la cosa furono la droga e l’alcol e il distanziamento dal mio stesso corpo.

Di nessun aiuto sono le discussioni fatte dalla comunità in difesa dei diritti delle sex workers o dalla comunità anti tratta (che spesso sono in disaccordo fra loro) su cosa sia una vittima di tratta senza che ci sia data la possibilità di parlare. Lasciatemelo dire – SONO UNA SEX WORKER. Ho fatto sesso perché costretta e ho partecipato all’industria del sesso per libera scelta. Anche coloro che dicono che non sono state oggetto di tratta possono aver sperimentato forzatura, abuso o coercizione; pure se è stata la situazione di mancanza di denaro a spingerle verso l’economia sessuale. Per questo, per favore, non fottetemi dicendo chi sono io – attivisti in difesa di sex workers o qualsiasi altro attivista della questione. Abbiamo bisogno di un modo più complesso, inclusivo e dinamico di conversare su quello che il sex working sembra essere, perché non è esclusivamente una cosa o l’altra. Il sex working è come la sessualità… una traiettoria complicata dell’essere. E so che non sono l’unica sex worker che ha scelto di lavorare nell’industria del sesso e che ha subito abusi da questa stessa industria. Perché io sono una sex worker. A volte forzata, a volte per scelta. Punto.

[scritto su feministnomadblog – pubblicato da elestantedelaciti – tradotto da Grazia]

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