Antisessismo, Comunicazione, Critica femminista, Personale/Politico, Violenza

Non si dovrebbe arrivare ad un’accusa di stupro per dimostrare che una sex worker può essere stuprata

James Deen e Stoya ad una prima a Venezia
James Deen e Stoya ad una prima a Venezia

 

Questo articolo è stato pubblicato sul The Guardian. La traduzione è a cura di Laura. Buona lettura!

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di Chelsea G. Summers

L’idea che alcune donne perdano il diritto al consenso è repellente.  Ma non si dovrebbe arrivare alla confessione pubblica di una porno star per far capire che no significa no.

L’attrice di film porno Stoya è entrata su Twitter lo scorso Sabato e, in due concisi tweet, ha lanciato l’accusa di stupro contro l’ex fidanzato e coprotagonista di film porno, James Deen. “Quella certa cosa di quando ti connetti ad Internet per un secondo e vedi la gente idolatrare il tipo che ti ha stuprata in quanto femminista. Quella cosa fa schifo”, ha scritto.
Poco più di dieci minuti dopo, ha chiarito: “James Deen mi ha tenuta giù e scopata mentre dicevo no, fermati e usavo la mia safe word. Non posso più sorridere e fare sì con la testa quando lo nominano.”

La reazione è stata veloce: da sabato pomeriggio il tweet è diventato virale, dando vita a due hashtag di sostegno (#SolidartywithStoya e #Standwith Stoya); Kink.com e Evil Angel hanno depennato Deen dalle loro liste; il magazine The Frisky ha chiuso la rubrica sul sesso tenuta da Deen e altre due attrici, Tory Lux e Ashley Fires, si sono fatte avanti con le accuse di presunti abusi da parte di Deen.

I tweet di Stoya e la loro repentina entrata nel ciclo delle notizie accennano ad un più grande movimento culturale: ché la gente crede alle donne, anche alle sex workers, quando affermano di essere state stuprate.

Lunedì Deen ha negato su Twitter le accuse lanciate da Stoya: “Mi sono state rivolte accuse sui social media. è una montatura.” ha tweettato. “Voglio rassicurare i miei amici, fans e colleghi che queste accuse sono sia false che diffamatorie”.  I supporters di Deen hanno anche lanciato il loro hastag per contrastrare i precedenti: #TeamDeem; i detrattori di Stoya la accusano di mentire, di essere solo alla ricerca di attenzioni o peggio.

Come ha scritto Tory Lux in un articolo sul Daily Beast, la reazione di colpevolizzare la vittima non è del tutto inaspettata: Stoya ha detto di non essersi fatta avanti prima perché “le persone -inclusi gli appartenenti alle forze dell’ordine –  tendono a credere che i/le sex workers si siano messi da soli in una posizione pericolosa, e che quindi non ci possa essere abuso”.

L’attrice di film porno Christy Mack ha sperimentato lo stesso pregiudizio la settimana scorsa nel tribunale di Las Vegas, in Nevada, dove si sta discutendo una causa da 34 capi d’accusa (compresi due per tentato omicidio e cinque per violenza sessuale) relativi all’assalto del suo ex fidanzato contro di lei.

Jonathan Koppenhaver, un atleta di MMA che ha cambiato il proprio nome da Jonathan Koppenhaver a War Machine (Macchina da Guerra), avrebbe presumibilmente attaccato la Mack nel corso di un anno, arrivando al culmine in una violenta frenesia che ha mandato in ospedale la Mack e che ha fatto accusare War Machine.

Nel discorso di apertura della difesa, l’avvocato Brandon Sua ha dichiarato che le accuse di violenza sessuale sarebbero dovute decadere, in quanto la professione di attrice di film pornografici della Mack avrebbe creato “il desiderio, la preferenza e la tolleranza verso una particolare forma di attività sessuali che sono da considerarsi fuori dalla norma”. In altre parole, Sua ha dichiarato che, a causa del fatto che si mantiene lavorando come attrice porno, la Mack avrebbe dato il suo tacito consenso o, come scritto senza troppi giri di parole dal NY Daily News: “Non è stato stupro perché lei è una Porno Star”.

Nonostante l’obbrobrio spesso rivolto agli/alle sex workers, inclus* quell* che lavorano nell’industria del porno, e il pregiudizio repellente che i/le sex workers non possano essere stuprati, le rivelazioni di Stoya hanno catturato l ‘attenzione di un grosso numero di lettori e incoraggiato le persone a dare il loro supporto.

L’idea di “cultura dello stupro” – quella sacca di misoginia che permette e addirittura approva la violenza sessuale contro le donne- non si evolverà in qualcosa di buono nell’immediato futuro. Tuttavia, il supporto a Stoya suggerisce forse che la “cultura dello stupro” non sia il monolite che era una volta, forse l’onnipresente colpevolizzazione della vittima, contro la quale tutt* i/le sopravvissuti* devono combattere, sta favorendo reazioni antisessiste e sta facilitando il lavoro, e addirittura alcune tra le vittime più vulnerabili potrebbero trarre giovamento dal portare alla luce un episodio di violenza sessuale, cosa che nei campus universitari avviene frequentemente.

La categoria de* sex workers è ampia: raccoglie sia chi opera nella legalità sia chi lavora al di fuori della legge, e le persone occupate nel settore vanno dagli/dalle strippers, cam girls o cam boys, operatori e operatrici dei call center erotici, prostitut*, attori e attrici di film pornografici e tutt* quell* che si guadagnano da vivere nelle aree grigie in mezzo. Nonostante le dimensioni della categoria, I/le sex workers hanno tutti una cosa in comune: lo scetticismo da parte della legge quando c’è un’accusa di violenza sessuale o stupro.

I/Le predatori/predatrici sessuali sanno che I/le sex workers sono riluttanti a parlare con la polizia e, in effetti, contano proprio su questo. In questo momento, l’agente di polizia Daniel Holtzclaw (membro delle forze dell’ordine di Oklahoma City) sta subendo un processo poichè accusato di stalking, molestie e stupro ai danni di 13 donne di colore, alcune delle quali erano precedentemente state arrestate con l’accusa di lavorare come sex workers, ma c’è una lunga, spaventosa scia di corpi di sex workers nella storia.

Come è ben noto, il serial killer conosciuto come Jack lo Squartatore uccise almeno cinque prostitute a Londra, nel 1888 senza che mai fu identificato o catturato. Il 1970 ed il 1980 videro quattro killer prendere di mira i/le sex workers;  questi uomini ( Peter Sutcliffe, Gary Ridgway, Robert Hansen e Joel Rifkin) hanno ucciso complessivamente quasi 100 donne, quasi tutte occupate nel sex working. Più recentemente, il killer della Spiaggia Gilgo, a Long Island (ad oggi non ancora arrestato) ha ucciso circa 15 donne, per la maggior parte occupate nel sex working. Giusto nel passato luglio, una prostituta del West Virginia ha sparato ad un uomo per legittima difesa, uccidendolo; un “kit per omicidio” è stato poi ritrovato nell’auto dell’uomo.

L’omicidio è il più visibile e sanguinoso indizio lasciato dalla violenza perpetuata contro i/le sex workers, ma non è l’unica forma di violenza che sono costrett* a sperimentare. Il 17 Dicembre si celebra la Giornata Internazionale per la Fine della Violenza contro i/le Sex Workers, e ogni anno le organizzazioni leggono una lista di nomi di persone che sono state uccise.
Sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità che Amnesty International hanno riconosciuto che la violenza perpetrata ai danni delle/dei sex workers è una minaccia. A rischio di essere rapit*, stuprat*, derubat*, assalit* e accoltellat*, i/le sex workers spesso non hanno risorse legali e, quando provano a denunciare le aggressioni alla polizia, si ritrovano spesso il loro stile di vita puntato contro- anche quando il loro lavoro è legale, come la pornografia.

E mentre c’è tutto un branco di gente che dà la colpa a Stoya e alla sua professione per la violenza di cui è accusato Deen, pare che più persone le stiano dando credito e che, ancora meglio, stiano facendo qualcosa a riguardo. Le sue accuse stanno facendo qualcosa più che notizia, forse stanno aiutando a fare la storia.  Forse stavolta, la donna (sex worker o no) che accusa un uomo di averla sessualmente assalita, non verrá soltanto ascoltata, forse stavolta verrà “addirittura” creduta.

[Nota del Redattore: l’autrice dell’articolo e Stoya sono amiche]

Leggi anche:

Accuse di stupro per il pornoattore James Deen. Ma non scordiamoci del garantismo e della critica culturale

 

2 pensieri su “Non si dovrebbe arrivare ad un’accusa di stupro per dimostrare che una sex worker può essere stuprata”

  1. Cara Laglasnost, ovviamente è una brutta cosa il fatto che quando una sex worker accusa di essere stata stuprata non venga creduta.In proposito mi sento di farti una domanda: le femministe anti-prostituzione ed anti-pornografia come reagiscono alla notizia che una sex worker dice di essere stata violentata? Le credono oppure no?

    1. personalmente trovo l’argomento stupido. una involuzione del diritto.
      una sex worker è una persona umana.
      tanto basta.
      a meno che ubriachi di follia si vorrebbe sostenere che le sex workers fossero qualcos’altro o avrebbero un’anima diversa. come dire una riedizione dell’antropologia razzista ma stavolta su basi metafisiche.
      operando una speculazione cinica, operando con una tesi simile, si potrebbe anche sostenere che mentre per una compravendita di un’automobile si potrebbe sempre andare dal giudice in caso di una supposta truffa,per una sex-worker,che tecnicamente è una fornitrice di servizi sessuali, ciò non sarebbe sempre possibile, in quanto ……………. cosa?

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