Antirazzismo, Contributi Critici, R-Esistenze

Da Bagdad a Parigi : nessuna pace senza giustizia !

Elisabetta traduce questo articolo e spiega: “è di Zahra Ali dal titolo “Nessuna pace senza giustizia”, pubblicato il 2 dicembre su un blog di quartieri popolari “quartiers XXI”, ancora a proposito del clima post-attentati. Lei è curatrice di “Féminismes islamiques”, credo la prima raccolta francofona di contributi sul femminismo musulmano di autrici femministe e musulmane in giro per il mondo.” – Grazie a Elisabetta e buona lettura!

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di Zahra Ali

Figlia di una famiglia di esuli politici iracheni, nata in Francia, musulmana e militante antirazzista e femminista, Zahra Ali analizza gli attentati del 13 novembre – « Per una sera, Parigi è stata Bagdad » e conclude : « Oggi più che mai abbiamo bisogno di un movimento contro la guerra, il razzismo e di solidarietà con i rifugiati » 

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Manifestazione contro la corruzione, piazza Tahrir, Bagdad, Iraq, 16 ottobre 2015.

La mattina del 14 novembre 2015, ricevo messaggi dalla mia famiglia di Bagdad, e da amici in Siria e in Libano : « Stai bene ? », « Sei al sicuro ? ». Vedo apparire sulla mia pagina Facebook uno status che indica come un centinaio dei miei « amici » siano « al sicuro ». Consulto le informazioni e capisco che si è verificata una tragedia, e a poco a poco vengo a conoscenza dell’ampiezza della strage.

La paura e la tristezza mi invadono, ho i sudori freddi, e il mio cuore si spezza : 130 morti e più di 300 feriti, a Parigi, città dove sono nata.

Spontaneamente, la mia mente va anche a Bagdad, dove ho vissuto e dove vive la mia famiglia, e dove quasi ogni settimana si produce questa tragedia, questa paura, questa tristezza che spezza il cuore mille volte. « Occupate tutti i nostri pensieri, che Dio vi aiuti » mi scrivono in tanti, cugini e cugine di Bagdad, all’indomani dei massacri del 13 novembre.

Questi messaggi mi toccano tanto più che, in quanto a loro, non riceveranno messagi di solidarietà dal mondo intero, non avranno diritto a una rubrica su Facebook che permette loro d’indicare che sono « al sicuro », e nessun paese, gruppo o dirigente non canterà l’inno nazionale iracheno, né brandirà i colori della sua bandiera.

Ad oggi da più di dieci anni, la vita degli iracheni e delle irachene è segnata dalle esplosioni, dalle sparatorie, dai rapimenti, dai checkpoint che dividono i differenti quartieri di Bagdad e tutto il suo territorio, e dalla presenza di uomini armati ad ogni angolo di strada. Gli Iracheni vivono nel bel mezzo di questo stato di guerra, di terrore e di orrore dal momento dell’invasione e dell’occupazione inaugurate dall’amministrazione statunitense nel 2003.

            « Per una sera, Parigi è stata Bagdad »

Per una sera, Parigi è stata Bagdad, in un certo senso, immersa in un terrore impronunciabile che niente può giustificare, l’orrore più totale. Una violenza immonda, un traumatismo senza precedenti. Un avvenimento che determina un prima e un dopo 13 novembre. 130 morti e più di 300 feriti. Non ci sono parole per esprimere la mia pena e il mio dolore, per queste vittime parigine e per quelle di Bagdad, Beyrouth, di ovunque in Siria, Afghanistan, Turchia, Libia, Mali e in tutti gli altrove.

Il tempo del lutto, del silenzio, della preghiera e della riflessione, un tempo necessario e sano.. ma in questo stesso tempo, altri ne approfitteranno per strumentalizzare l’emozione collettiva. Altri che non perdono di vista le rispettive agende : i venditori di odio, di teoria dello shock di civiltà, di armi e di violenza.

Per loro, la violenza chiama ancor più violenza. Ed ecco che, ancor prima che i tre giorni di lutto siano passati, ancora più violenza si riversa sulla città siriana di Raqqa, detta « il feudo di Da’ech ». Quanti morti tra i civili laggiù ? Molti non osano neppure porre la questione.

Tuttavia bisogna pensare, certo con emozione, bisogna riflettere, spiegare, cercare le cause e soprattutto chiedersi come mettere fine a questo ciclo di violenza che non finisce e che fa tante vittime. Bisogna sforzarsi di capire che « noi » cittadini di Parigi, di Bagdad e d’altrove di ogni confessione e colore, « noi » non siamo in guerra ma « loro » – gli adepti dello shock di civiltà » e i predicatori di odio d’oriente e d’occidente, i razzisti, gli adepti dell’imperialismo neoliberale – lo sono e da molto tempo, ed alimentano un’atmosfera guerresca nelle nostre vite.

Figlia di una famiglia di esuli politici iracheni, nata in Francia, musulmana e militante antirazzista e femminista, mi situo al primo posto delle vittime del terreno ideologico essenzialista di Da’ech, come lo sono del sistema che l’ha fatto nascere. Il mio impegno politico ed intellettuale si situa all’intersezione del conservatorismo e dell’essenzialsimo caratteristici di Da’ech e delle condizioni che l’hanno fatto nascere : le inuguaglianze, il trattamento indegno, il razzismo e i suoi risvolti ideologici di esclusione dell’Altro e della sua riduzione ad un’ essenza barbara e diabolica.

Da un lato, Da’ech e i suoi adepti considerano « l’Occidente », gli Sciti, e tutti quelli che gli si oppongono come il male assoluto che merita di essere giustiziato. Dall’altra, degli attori economici e politici considerano che di tutto ciò che genera più denaro e potere valga la pena, e che tutto ciò che vi si oppone deve essere sottomesso, vedi soppresso.

In Iraq, numerosi miltanti della società civile hanno capito e denunciano le strutture confessionali dello stato iracheno post invasione statunitense, la sua corruzione e la sua assenza di lotta contro le inuguaglianze sociali, economiche e comunitarie come terreno fertile di Da’ech. Le manifestazioni popolari a piazza Tahrir a Bagdad, che si sono estese in tutto il paese e che continuano ogni venerdì da questa estate, si sono levate contro la corruzione e le divisioni confessionali del sistema politico iracheno. I manifestanti della società civile irachena, di ogni confessione, hanno espresso chiaramente la loro lettura della situazione politica : Da’ech e la violenza nella quale è immerso l’Iraq non saranno combattuti che attraverso l’acceso ad una società giusta, egualitaria e grazie all ‘accesso di tutti i cittadini iracheni ad una vita degna.

« Il discorso musulmano progressista e alternativo è stato escluso e stigmatizzato »

In Francia, all’ora della vita sotomessa nel suo insieme alle misure securitarie, è difficile far assumere questa parola pertanto necessaria. Anche se Da’ech fosse vinto militarmente, l’ideologia che l’ha fatto nascere non sarebbe comunque morta.

Bisogna fare i conti con la sorgente di ciò che forgia la mente di questi giovani francesi che aderiscono a Da’ech. A lungo mi sono investita nella militanza musulmana, femminista e antirazzista in Francia. E la mia esperienza è stata di constatare con collera e delusione come la parola di quelle e quelli che facevano sentire un discorso musulmano progressista e alternativo, promotore di una visione egualitaria e di giustizia sociale nelle moschee, nei quartieri e nella società nel suo insieme, è stato escluso e stigmatizzato.

A Al Houda (Associazione di Donne Musulmane a Rennes), provavamo a promuovere la parola delle donne musulmane, una visione egualitaria e giusta della nostra religione, una visione cittadina di participazione e di contribuzione alla società maggioritaria di cui denunciamo il razzismo e il sessismo.

Chiamavamo a mobilitarsi contro il sessismo da ovunque venga, il razzismo, le violenze della polizia, le leggi discriminatorie alla moschea, per strada, nei quartieri. Lottavamo allo stesso tempo per una visione femminista ed emancipatrice dell’islam alla moschea e per un trattamento egualitario delle musulmane e dei musulmani nella società.

Cosa abbiamo ricevuto da parte del mondo associativo e delle autorità politiche per più di 10 anni ? Siamo state escluse e stigmatizzate, trattate da comunitariste e integriste con il pretesto che alcune di noi portano lo hjiab. La nostra parola non è stata rispettata, ne’ ascoltata. Durante l’intero nostro percorso abbiamo vissuto razzismo, sessimo ed esclusione da parte della società maggioritaria, delle autorità politiche, ma anche delle associazioni che si dicono di sinistra e femministe.

Abbiamo continuato e continuiamo ancora, forse ora è il momento di ascoltarci ? Noi le militanti e i militanti musulmani e antirazzisti, quelle e quelli che hanno visto arrivare la radicalizzazione in misura crescente a forza di delusioni e del trattamento indegno dei nostri, i musulmani, gli abitanti dei quartieri popolari e tutti quelli che soffrono di questo malessere in un paese malato di questo razzismo coloniale dai toni di laicismo.

«La violenza non ha frontiere »

La violenza che ha colpito Parigi mostra anche che tra qui e laggiù in Iraq, in Siria, in Libano, in Mail etc. in realtà non ci sono frontiere : la violenza del razzismo e delle discrimnazioni di qui ha un’ eco laggiù dove i nostri giovani vengono a sfogarsi, e la violenza laggiù, alimentata dai governi americano, francese, britannico e altri, ha un impatto qui. É il momento di capirlo, la violenza non ha frontiere, che siano militari o economiche. La violenza delle élites neoliberali e imperialiste qui e là miete vittime qui e là. Per una volta, ispiriamoci ai manifestanti di Bagdad, Siria e altrove, chiediamo più giustizia, più uguaglianza, la fine di un sistema neoliberale imperialista che si finanzia con le armi e l’impoverimento di una maggioranza a beneficio di una minoranza : non c’è scontro di civiltà, ma un conflitto radicale che separa tutta la civiltà umana : queli che sono per l’uguaglianza, la giustizia sociale, la dignità, e quelli che sono per il profitto, la disumanizzazione dell’altro e la banalizzazione della violenza. Francesi, Iracheni, Siriani, Libanesi, Maliani, etc., sono tutti legati gli uni agli altri da questo stesso sistema-mondo.

E ancora, diciamo che vivere un avvenimento traumatizzante rende più sensibili alla sofferenza degli altri. Allora, mi dico che la società francese in questo momento, sotto lo shock dell’orrore degli attentati del 13 novembre, è in grado di capire le migliaia di rifugiati che oggi attraversano il mare rischiando la loro vita e quella dei loro familiari per fuggire l’orrore dei bombardamenti e degli attentati che fanno scorrere il sangue ogni giorno nel loro paese. In Francia, non siamo mai stati tanto capaci di capire questa sofferenza, allora siamo solidali, aprofittiamo dell’emozione collettiva per essere giusti e attenti nei confronti di coloro che attraversano tanto orrore.

Più che mai, abbiamo bisogno di un movimento contro la guerra, il razzismo e di solidarietà con i rifugiati.

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