Katy, 22 anni, famiglia italiana d’origine, si è spostata in una grossa capitale Usa per fare l’attrice porno. Il suo agente promuove la sua immagine. Organizza il book fotografico. Gestisce il sito. Mette a punto il profilo su webcam per darle un primo palcoscenico in cui muoversi. Lei impara a valorizzare profili e linee del suo corpo. Controlla il ritmo della sua voce. Si rende così conto di quel che piace ai clienti. Quello della webcam girl è sex work, racconta, e anche il porno lo è. Eppure in certi stati viene considerato una cosa a parte o in altri viene vietato esattamente come si vieta la vendita di servizi sessuali.
Katy, all’inizio, ha guadagnato in pochi mesi circa ventimila dollari. Dice che vuole metterli da parte per studiare o viaggiare e poi trovare altro lavoro. Quando le chiedo quel che piace, per esempio, ai suoi “clienti” online sorride e dice che immagina io lo sappia già. Gli uomini, così lei dice, non sono poi così diversi tra di loro. Hanno particolari fantasie ma lei si presta solo in alcuni casi. Se uno chiede che lei si penetri con uno scopino per il cesso gli dice di risolvere con una penetrazione anale e lo lascia solo a far l’oggetto della sua stessa fantasia. Ride ancora, perché per lei questi sono esempi di stranezza, sebbene abbia capito che non c’è nulla di cui sorprendersi. Ride perché di questi aneddoti parla con naturalezza, come se tu e tu e tu parlaste del vostro cliente strano della libreria, della profumeria o della bottega della frutta.
Nel frattempo il suo manager, che per contratto guadagna il dieci per cento del guadagno, posta video su vari canali e social e propone le sue foto a registi e produttori di film porno. Quello che dapprincipio tocca fare sono porno amatoriali. Si tenta di imitare quel che altre grandi porno star sanno fare e nel frattempo quel che guarda delle attrici più conosciute serve da lezione per farla migliorare. Il contesto del porno amatoriale è un po’ più povero e meno gratificante. Piccole stanze in cui si girano film dalle cattive immagini e cattivi copioni, per lo più improvvisati. Ma il guadagno è buono e allora chi ha le idee chiare e non lascia trasparire alcuna ombra di pentimento continua per tentare la scalata al successo.
Quelle che in genere lasciano a metà della gavetta sono le stesse che non vorrebbero far sapere ai genitori quel che fanno. Si vergognano. Forse hanno un fidanzato che non sa proprio nulla o una famiglia bigotta, religiosa. Allora si assiste a grandi pentimenti perché certe famiglie sono così. Se tu fai qualcosa che a loro non piace ti condannano alla solitudine affettiva. Ti lasciano sola e per riaverli devi far la parte della redenta pentita. Devi piangere, disperarti, dire che è tutta colpa delle cattive compagnie o di chissà cosa. Invece Katy ha, per sua fortuna, una famiglia aperta che non l’ha mai ricattata su questo. È una tua scelta, le dice la madre, anche se non vuole vedere un solo film girato dalla figlia.
Le dico di aver letto di alcune attrici porno studentesse che hanno fatto coming out e vengono insultate online. Mi dice che probabilmente hanno un ottimo professionista che cura la comunicazione, perché agli annunci/scandalo seguono quasi sempre, oltre gli insulti, anche gli inviti in grosse trasmissioni di famosi canali televisivi. Quello è il momento in cui l’attrice porno cambia palcoscenico e così le pioveranno addosso insulti delle femministe da un lato e inviti a partecipare a grosse produzioni dall’altro. Grosse nel senso che hanno una migliore distribuzione, copioni migliori, talvolta una decente colonna sonora.
Chiedo se conosce il porno femminista e mi dice che sostanzialmente tentano di farsi strada dando un’idea diversa del porno, più eticamente accettabile, più rispettosa della sessualità femminile, ma dal suo punto di vista si tratta di piccoli lavori che non fanno guadagnare nulla, spesso vanno in crowdfounding e lo fai per la gloria e nulla più. Dico che c’è tutta una filosofia e un’idea politica importante dietro e lei dice che va bene ma a lei non interessa. Si tratta comunque di femministe che pensano che il loro porno sia moralmente più accettabile del suo. Sono moraliste in un diverso modo, dice, e per quanto sia apprezzabile il tentativo di fare cambiare linguaggi all’industria del porno in ogni caso resta il fatto che si può fare una partecipazione, un paio al massimo, ma il lavoro principale, per guadagnare, resta quello che porno mainstream.
Racconto del fatto che il mainstream è visto da alcune con la puzza sotto il naso come un contesto in cui alla meglio lei sarebbe vista come vittima della mercificazione del corpo femminile. Lei ride e dice che ciascun@ di noi è merce. Ogni lavoro impone una forma di mercificazione. Alla fine che differenza c’è tra un lavoro e l’altro? Per lei si tratta di guadagno. Ci sono posti in cui sei sottopagata e altri in cui ti pagano bene. Lei sceglie questi ultimi.
Chiedo che ne pensa delle discussioni che alcun* fanno a proposito di violenza nell’ambito del porno. Dice che a lei non è mai capitato. Il contesto in cui ha sempre lavorato era ed è sicuro. In quanto attrice porno è obbligata a controlli sanitari frequentissimi e si usa il preservativo se richiesto. Vive bene, guadagna, la vita le sembra una perenne vacanza e nel frattempo si è iscritta a dei corsi per completare gli studi.
Le giovani attrici porno sono tantissime. Tante studentesse lo fanno per un periodo e poi fanno altro. Lo stigma arriva dall’esterno. Le tizie perbene che giudicano te da quel che ti passa tra le gambe, perché l’America, in fondo, è un luogo assai bigotto, afferma. Così si sorprende del fatto che anche l’Europa non sia più quel contesto libertario di cui lei aveva sentito parlare.
Le chiedo se vuole dire un’ultima cosa. “Fatevi i cazzi vostri” ripete un paio di volte, in senso letterale “o le vagine vostre“, per quell* che le preferiscono. Ride. Si aggiusta per l’ennesima volta il ciuffo e poi chiude la comunicazione skype. Rifletto su un dettaglio: quando iniziamo a chiacchierare lei indossa una canotta che lascia intravedere un po’ di seno e poi si copre, come se ancora fosse influenzata dall’idea che una donna scoperta non sarà mai presa sul serio. Forse avrei dovuto togliermi qualcosa anch’io. Peccato non averci pensato prima.
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