Affido condiviso, Comunicazione, Contributi Critici

#Pas o #AlienazioneParentale? Parliamo di dinamiche di gruppo!

Questo post è dedicato ad un tema molto controverso che stimola alte dosi di conflittualità. Due fronti, due barricate, analoghi toni che lasciano poco spazio alla discussione. Se solo tenti di parlarne in modo laico, non necessariamente perché sei d’accordo ma giusto per ascoltare senza demonizzare nessuno, finiscono per attribuirti varie categorie offensive sino ad arrivare alle prove di discredito a partire da informazioni basate su un alto livello di disonestà intellettuale. A me è successo di occuparmi di Pas (ora detta alienazione parentale), di volerne discutere con chi la propone, di ribadire i miei motivi di disaccordo, giacché non amo la patologizzazione dei comportamenti e non amo, ancora di più, certo autoritarismo che puoi trovare in proposte che parlano di reati e galere. Mi è successo anche di voler discutere con chi trova utile parlarne, senza pregiudizi, senza affermare che tutte le persone che discutono di questo siano né più e né meno che dei criminali, amici dei criminali, collusi con i criminali. Non temo di confrontarmi con chi non la pensa come me e non temo perciò di pubblicare opinioni che posso o non posso condividere. I temi si discutono e non si rimuovono con campagne di discredito nei confronti delle persone, campagne condite tra l’altro della peggiore inclinazione giustizialista. Piccolo riassunto delle puntate precedenti: se un genitore parla di alienazione parentale, secondo alcune, è perché necessariamente va considerato un violento che abusa di donne e bambini.

Se un genitore viene accusato di qualcosa, secondo alcune donne che si occupano di antiviolenza, dovrebbe finire in galera e perdere ogni diritto civile, incluso quello di poter vedere i figli, ancora prima dell’inizio di un processo e di una condanna. Secondo costoro basta la denuncia di una donna (o di un genitore?) per richiedere la carcerazione preventiva da estendere a carcerazione a vita con relativo marchio di infamia che resta anche in caso di assoluzione. Per terrorizzare tutt* coloro che vorrebbero parlare di questo tema in maniera laica portano ad esempio alcuni, credo siano due, casi in cui ad un genitore violento è stato permesso, durante la visita e perfino in presenza di operatori dei servizi sociali, di uccidere i figli. Il punto è che se parliamo di figli uccisi dai genitori bisognerebbe guardarli nella sua totalità. Lo scorso anno alcune donne uccisero i figli perché non sopportavano la separazione, come affermarono i media, o per depressione. Dunque che si fa? Urliamo che tutte le madri non hanno il diritto di vedere i figli, dopo una separazione, per via di casi di infanticidio?

Quel che io so è che chi spesso conduce la discussione su questo tema – all’insegna dell’emergenza “padre violento” – lo fa toccando molle estremamente emotive obbligando chi ascolta o vorrebbe intervenire a subire insulti personali con l’imposizione che ti obbliga a schierarti con loro o contro di loro. A me non è mai interessata questa divisione tra giusti e ingiusti, buoni e cattivi. Senza offesa e con rispetto per il dolore di ciascuno, a me piace analizzare razionalmente una questione e per essere “contro” la Pas non devo necessariamente considerare gli uomini/padri dei criminali. Ecco perciò un post che espone un rispettabile punto di vista. Non necessariamente coincidente con il mio. Può piacervi o meno ma questi sono i toni che sarebbe meglio usare. Buona lettura!

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di M’ària Jezabel Muscau

Nel DSM-5 la PAS non viene introdotta perché non la si ritiene una sindrome, non può essere considerata come un disturbo mentale. Una descrizione dell’alienazione parentale (non denominata in questo modo) la si può, però, ritrovare sotto la dicitura: ‘problema relazionale genitore-figlio’.
Non credo che introdurre la PAS all’interno del DSM possa risolvere gli svariati problemi che devono affrontare coloro che si ritrovano in tribunale a lottare per la custodia del* figli*. Spesso, a creare maggiori problematiche è chi non vuole condividere il/la figli* con l’altr* partner. Insomma, spesso il problema è la custodia condivisa.

Se dovessi dare una definizione a queste dinamiche, direi che si tratta di ‘problemi nella gestione delle dinamiche di gruppo’. Sicuramente, ci sarà chi, leggendo questa mia definizione, la troverà semplicistica e riduttiva e non dà propriamente l’idea di essere un grave problema. Invece, a mio avviso, lo è.

Un gruppo è un insieme di persone che interagiscono fra loro, che perseguono un interesse in comune, comunicanti fra loro, che lavorano per raggiungere un determinato obiettivo comune (rivolto, spesso, contro altri gruppi). Il gruppo, per essere considerato tale, deve avere un numero minimo di membri: la diade.
La diade è un gruppo formato da due persone: due amici, due amiche, un’amica e un amico, un compagno e una compagna, una moglie e un marito, un genitore e un* figli*.

I gruppi sono un’ entità particolare che va oltre la somma singola dei membri che ne fanno parte. Far parte di un gruppo significa avere un linguaggio comunicativo comune, condiviso e specifico. Il gruppo è un’alleanza, un creare esclusività nel modo di relazionarsi, è complicità.
Gestire un gruppo e/o farne parte richiede capacità, competenze e risorse non da poco.

Quando il gruppo si disintegra, spesso i membri che ne facevano parte, non si lasciano in maniera ottimale. Questa separazione crea una sensazione di tradimento e subito, spesso inconsapevolmente, si cercano nuovi alleati con cui creare un altro gruppo e un sostegno, per vedere nell’altr* un nemico, colui/o colei che ha torto, nel cercare nell’altr* la colpa per la disintegrazione del gruppo.
Questa è una delle dinamiche, sempre presenti, nel momento in cui un gruppo si disgrega. Ripeto: sempre. Ci sono situazioni in cui questa dinamica viene affrontata in maniera ottimale: in un primo momento si cerca in uno dei membri il capro espiatorio, il/la colpevole, ma poi si comprende che ogni membro ha i suoi torti e si arriva a capire che il gruppo è un’entità in cui ognuno cerca, il più possibile, di mantenerne l’equilibrio.

Ci sono situazioni (la maggior parte) in cui questa dinamica viene affrontata in maniera non ottimale: si continua, per un medio/lungo periodo, a cercare nell’altr* un capro espiatorio, il motivo principale che ha portato alla disintegrazione del gruppo. In una continua ricerca di alleati che avvalori le proprie accuse verso l’altr*. Si arriva tardi, a volte non si arriva mai, a comprendere che il gruppo non è uguale alla somma delle singole parti (in questo caso persone) e proprio per questo, il motivo della disgregazione non può venire solo da un membro (nel caso fosse così, il gruppo stesso attuerebbe delle strategie per cercare di preservarsi: attraverso la censura dell’opinione del membro singolo fino ad arrivare alla sua esclusione dal gruppo, il tutto cercando di limitare al minimo le perturbazioni all’interno del gruppo).

La diade è sicuramente un gruppo particolare: composto da due persone e spesso creato attraverso una relazione affettiva. In questa situazione, entrambi i membri sono alleati di sé stessi e dell’altr*. Se uno dei membri decide di uscire dal gruppo, il gruppo non esiste più. Il cercare di mantenere un’omeostasi interna a questo tipo di gruppo, è molto difficile. I due membri, spesso, devono ridefinire il fine comune e non è raro il confronto –più o meno acceso-.
Quando la diade si disgrega, entrambi i membri sono portati a cercare alleati per far valere la propria posizione contro l’altr*. È un’azione quasi meccanica e quasi mai consapevole. Si pensa di essere nel giusto e non ci sono altri membri, interni all’ex gruppo, che possano confermarlo. A volte, il voler far valere la propria posizione ha un picco iniziale ma poi decresce fino all’indifferenza reciproca. A volte, il voler far valere il proprio punto di vista ha un picco che resta tale per lungo tempo o per un’intera vita, fino a che non si arriva a definire la separazione e l’allontanamento in maniera legale (es: in caso di matrimoni, convivenze).
Alla luce di quanto appena esposto si può dedurre il motivo per il quale, in caso di disgregazione della diade (+ figli* = triade),entrambi i membri tenderanno a volere con sé il/la figli*.

L’avere il/la figli* con sé, ha come potenziale la possibilità di poter creare un nuovo gruppo (diade) con il genitore con cui il/la bambin* andrà a stare.
La necessità di aggregazione e quindi la creazione di gruppi e la preservazione di essi, è un bisogno fondamentale dell’essere umano. Purtroppo però non sempre si è consapevoli di questo e spesso, pur di rispondere a tale bisogno, si dimenticano le conseguenze che le proprie scelte possono portare.

All’interno di un atto di separazione in cui sono presenti figli, si dimentica spesso la centralità del minore. Dove sta il bambino? Il bambino sta a metà. Lui/Lei non ha scelto di far parte di quel determinato gruppo con quelle determinate dinamiche e si ritrova, spesso, a dover combattere guerre non volute, a dover scegliere a quale fazione appartenere e con chi costruire un nuovo gruppo. La scelta, per quanto la si voglia il più neutrale possibile, non lo è. È ovvio che, il/la bambin* venga influenzat* dalle persone che più hanno rilievo nella sua quotidianità. È probabile che, se il bambino viene affidato a un genitore ancora troppo arrabbiato, sentirà ciò che tale genitore quotidianamente dice e non dice e, anche senza volerlo, potrebbe essere portato a osservare con maggior sguardo critico le azioni del genitore che vede meno. Integrerà, probabilmente, le mancanze dell’altro con le descrizioni che provengono dal genitore con cui si trova a vivere maggiormente.

Questo può comportare dei rifiuti, da parte del bambino, verso l’altro genitore (quello che non ha la custodia).
Questo non significa che tale plagio sia voluto coscientemente dal genitore affidatario, spesso non si è neppure consapevoli di tali comportamenti e tali dinamiche.

Un’altra causa di rifiuto di uno dei due genitori, da parte del bambino, può scaturire da una cattiva comunicazione interna. Una comunicazione che può essere lacunosa sia da parte del genitore affidatario, sia da parte del genitore non affidatario. Una cattiva comunicazione porta a creare delle immagini distorte delle varie situazioni in cui il bambino interagisce con uno dei due genitori. Spesso, le stesse situazioni vengono percepite in maniera distorta anche da chi sembra avere tutte le informazioni necessarie. Penso sia capitato a tutti –sia da bambini che da adulti- di interpretare in maniera errata un comportamento altrui.

I motivi che possono portare a un allontanamento del* bambin* verso uno dei due genitori possono essere svariati e non è possibile elencarli tutti. Bisogna sempre considerare che le relazioni sono tutte varie e nessuna può essere presa come parametro di paragone per valutarne un’altra.
Ci sono casi in cui il/la bambin* si rifiuta di vedere e interagire con uno dei genitori per motivazioni gravi: abusi sessuali, violenze.
È giusto proteggere i minori da tali situazioni e non obbligarli a incontrare un genitore che suscita ansia, paura, timori e traumi.

Credo però, che prendere come esempio tali situazioni per concludere che, tutte le volte che un bambino si rifiuta di vedere un genitore, sia scaturito da un abuso/violenza, mi sembra eccessivo. Mi sembra ugualmente eccessivo allontanare un minore da uno dei due genitori solo per un’accusa fatta dalla contro parte. Le prove sono indispensabili e credo sia opportuno non danneggiare la vita di nessuno preservandone la dignità e la possibilità di potersi difendere adeguatamente.

Questi argomenti stanno ritrovando nuovi spunti di dibattito, in quest’ultimo periodo, dopo la proposta di legge fatta da M.Hunziker e l’avvocato Bongiorno. Una proposta di legge per tutelare i figli dei separati e evitare che diventino un’arma contro l’ex moglie/marito. Questa proposta fa leva sul fatto che si ritiene che molt* bambin* siano vittime di alienazione parentale all’interno di un contesto di separazione e di affido non condiviso.
La proposta di legge intende promuovere la possibilità di reclusione (dai sei mesi ai tre anni) per il genitore alienante.

Tante associazioni in difesa delle donne e della violenza di genere, si sono opposte e ancora si oppongono strenuamente a tale proposta. La loro opposizione nasce dal fatto che questa proposta può portare a un’intensificazione di abusi e violenze non condannate e creare un effetto negativo nella denuncia di tali gravi situazioni da parte del genitore accusante.

Sicuramente sono tutte considerazioni da prendere in esame e il carcere non è la soluzione ideale. Se un genitore arriva a denunciare un abuso/violenza non vera, le problematiche emotive e psicologiche di tale genitore esprimono un disagio interiore che deve essere affrontato in maniera diversa dal carcere.
Invece di una proposta di legge in cui si vuole proporre come unica soluzione l’incarcerazione, sarebbe più utile sensibilizzare le istituzioni, gli operatori che si occupano di tali tematiche, le associazioni e l’opinione pubblica in generale.
La questione deve essere affrontata in maniera diversa da come la si è affrontata fino ad ora. Gli schieramenti contro o pro sono totalmente inutili se non si mette al centro l’individuo e la sua integrità.

L’integrità dell’individuo deve sempre stare al centro di ogni azione sociale.
Non ci si può dimenticare del fatto che ogni azioni nasce da un vissuto, un sentire, un’emozione. Prendere in esame il vissuto, la capacità di gestione della propria persona e dell’interazione all’interno del gruppo/nucleo familiare, è fondamentale.
Sicuramente il primo intervento deve essere rivolto al* minore, poiché è quell* che ha minore possibilità di esprimere la propria opinione e il proprio sentire all’interno delle dinamiche familiari e istituzionali. Cercare di offrire delle risorse per poter affrontare la situazione che si ritrova a dover vivere.
Il secondo intervento deve, però, essere rivolto ai due genitori. Un buon equilibrio psico-fisico e cognitivo del* bambin* è agevolato da un’ottimale interazione con i genitori o dalle persone a cui fa riferimento.

Sarebbe più opportuna una proposta in cui si richiede la presenza di centri di ascolto sparsi nel territorio, e corsi formativi in cui far conoscere e gestire le dinamiche di gruppo. Invece del carcere, in casi di non abuso e violenza (per cui il reato verrà riconosciuto e condannato in base al codice penale), perché non permettere di partecipare, per sei mesi o un anno, a tali corsi formativi?
I problemi esistono e bisogna aiutare le persone a trovare le risorse in sé stesse e nella società per poterli affrontare. Le punizioni creano solo ulteriori sensi di colpa e frustrazioni, andando a creare più danni di quelli presenti all’inizio. Creiamo le opportunità per poter dire: ho sbagliato, ricominciamo.

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Ecco i tre spot diffusi dall’associazione Doppia Difesa e criticati da persone che ritengono errati i messaggi che veicolano.

Leggi anche:

Pas: le contraddizioni di chi si oppone

Giulia Bongiorno, Michelle Hunziker e padri separati sotto attacco

Dialoghi intorno all’affidamento condiviso: la Alienazione Parentale

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6 pensieri su “#Pas o #AlienazioneParentale? Parliamo di dinamiche di gruppo!”

  1. Escludere un genitore dalla vita del figlio non si fa. Ma credo che una violazione dell’affido condiviso disposto da un giudice sia già soggetto a sanzioni, cioè, me lo auguro…

  2. Lei dice che bisogna mettere al centro il minore e non i genitori. La prima a non farlo è lei. È lei quando dice che i bambini costretti ad incontri col genitore violento e che hanno avuto la peggio sono al massimo due. Due? Solo due? E che vuole una carneficina? Non lo sa, lei, che i bambini vengono costretti sempre agli incontri col genitore, anche se violento, se la decisione proviene da un Tribunale? Che il bambino è costretto ad ubbidire anche se ha una paura folle? Ha mai avuto paura lei, quella vera? Il bambino non ha diritto di parola. Sulla carta sì, nella pratca no. Ogni sua parola viene usata contro di lui e per dimostrare che la madre lo spinge ad un insano comportamento. Il minore viene trattato come un minorato. La PAS non esiste, diciamolo chiaramente, aivoglia lei a girarci intorno per ficcarlo nel DSM per forza e di straforo sotto altre accezioni. La PAS è uno strumento usato contro le donne che denunciano violenze. Come si può chiudere la bocca ad una persona che ha avuto tale sfrontatezza e ridurla al silenzio? Toccandola nel suo punto debole: i figli. Inoltre, ma guardi un po’, la PAS è una patologia di genere, genere femminile. Perché, a ben analizzare i casi, di PAS sono accusate le donne. Ma mi dica lei! Una volta le donne venivano accusate di stregoneria, oggi di PAS. E al posto del rogo c’è una pena peggiore: l’ingiustizia di passare dall’essere vittime ad essere considerate carnefici. Un’ultima cosa: la PAS colpisce solo i bambini di quei genitori che possono permettersi certi avvocati e certi esperti del mondo della psicologia e della pschiatria. Gli altri no.
    Il suo articolo Reclama una razionalità e una lucidità che vedo scalfita.

    1. Un’ultima cosa: la PAS colpisce solo i bambini di quei genitori che possono permettersi certi avvocati e certi esperti del mondo della psicologia e della pschiatria. Gli altri no.

      Sono parzialmente d’accordo su quest’ultima affermazione è vera ma. La Pas riesce ad agire in maniera sotterranea anche in tutti quei casi in cui non ci sono mezzi, solo per il fatto di essere conosciuta e data come possibilità dagli “operatori”. Alcuni operatori, a voler essere gentili e ottimisti. Che la tirano fuori con faciloneria, in tutti quei momenti difficili della “separazione assistita dalla Stato”, per quella che è: strumento di condanna per la donna/madre e assoluto disinteresse reale per il minore (sulla cui considerazione delle capacità di comprensione della realtà ci sarebbe da discutere a lungo.)

  3. Ciao Eretica, capisco la volontà di guardare alle cose nella loro complessità a livello teorico ma purtroppo in questo caso la “supposta” teoria della Pas o come la vogliano chiamare, ha finito per diventare un ulteriore strumento per gettare fango sulle donne. In questo caso nel loro essere madri. Un ulteriore modo per guardare con sospetto le loro parole e i comportamenti. Nella pratica le norme per l’affido condiviso, che nessun* non vorrebbe, unito alle vessazioni psichiatriche, ai test inutilissimi e poco affidabili oltretutto, alle lungaggini burocratiche nei tribunali, alla verifica che non siano in atto, da parte della madre soprattutto, comportamenti alienanti del minore nei confronti del padre. Nella pratica insomma il soggetto da guardare con diffidenza e sospetto è la madre.

    Credo che con questi argomenti bisognerebbe abbandonare la teoria e scandagliare l’universo della pratica. E se schierarsi nel mondo delle idee vale poco più di niente, nella pratica diventa lotta. La Pas è un’invenzione subdola che alimenta il dubbio e finisce per screditare le madri nella maggioranza dei casi.

    E’ chiaro e umano che due persone coinvolte nella fine della loro storia possano non essere lucide e amorevoli l’un* nei confronti dell’altr* , che la dinamica di comunicazione sia compromessa, ma per questo sono efficaci le Mediazioni. Mi ripeto lo so, ma la verifica della teorica alienazione parentale, i test psicologici di duemila anni fa( 500 domande, tra cui “Ti piacciono i fiori?” ommioddio e se rispondo no mi credono una “femmina” diversa e mi tolgono il figlio?), la burocrazia, alimentano il conflitto, lo rimpolpano. Sono decisamente più aggressivi degli ex partner in conflitto, e facendosi scudo con il “diritto del minore”. generano violenza.

  4. mi pare il tuo Eretica un intervento equilibrato e di buon senso. La discussione in materia di conflitti familiari è strapiena di atteggiamenti odiosi, isterici, accuse reciproche e ingiurie varie. Ci si dimentica che nel conflitto interparentale la prima vittima è …il minore. Il minore soffre. Il minore va tutelato.
    -le associazioni femministe e gli avvocati che lo sostengono affermano che dall’altra parte vi siano dei violenti, degli abusanti. E’ molto difficile che un tribunale affidi un minore a un genitore con accuse di aggressione o di maltrattamenti ; i casi citati per fortuna sono eccezioni, gli incontri devono svolgersi in una clima sereno, spesso vi è lo spazio neutro.
    occorre però aggiungere che parecchie denunce sono strumentali, e che accanto a segnalazioni di genitori violenti (ce ne sono) vi sono denunce false, che regolarmente vengono usate nei tribunali civili mentre è in corso di accertamento la loro fondatezza nel tribunale penale.
    -le associazioni dei padri separati sostengono che la PAS esista. di fatto si tratta di persone che hanno difficoltà relazionale con i figli in corso di separazione e sappiamo che i figli al 90% dei casi e forse più vengono affidati alla madre. ora, è difficile stabilire un rapporto soddisfacente con un minore che si vede per pochissime ore al giorno; è strumentale dire che dietro ogni padre separato ci sia un violento, spesso si tratta di uomini che si comportano correttamente, non hanno denunce. spesso si tratta di vittime di ricatti e di violenza morale, semplicemente psicologica. è già violento diffamare un genitore qualunque esso sia o denigrarlo di fronte a figli minori.
    Inoltre si trascura un problema: vi sono madri vittime di “alienazione parentale” (chiamiamola così).
    non sono tante, ma vi sono, sono vittime di padri separati molto subdoli, cinici, che sfruttano spesso un attaccamento particolare dei figli nei confronti del genitore maschio per denigrarlo. Così come vanno garantiti i diritti dei padri separati, credo che occorra anche pensare al dramma umano, orribile,delle madri separate che non possono avere contatti costanti con i figli/e.
    infine, non so se il termine pas sia esatto. NON è un problema terminologico. io credo che non esista una sindrome, nè un disturbo psichiatrico, credo che esista un disagio del minore, ed è un fatto grave perchè l’ho constatato nella realtà. un figlio che rifiuta un contatto con un genitore, padre o madre, incensurato e senza denuncia penale, è un figlio che ha un problema, ha una difficoltà e deve essere aiutato. riportando al centro della discussione il minore, che ha diritto a due genitori. lui, la vittima
    di guerra, la vittima collaterale di una “guerra” che porta e porterà solo disastri negli adulti di domani.

  5. Sono una donna, sono al 100% femminista e sto subendo una situazione di alienazione parentale.
    E’ cominciato tutto con il mio ex che riversava le sue opinioni sulla nostra rottura sul bambino. I ero la colpa di tutto, io ero la stronza che lo ha lasciato. Poi, e’ come una goccia che scava la pietra – il danno si approfondisce giorno dopo giorno. Un giorno il padre condivide col bambino l’ammontare della pensione alimentare che lui, con uno stipendio due volte superiore al mio, lamenta di pagare. Un altro giorno vede una borsa nuova di seconda mano che avevo comprato per pochi spicci, e dice al bambino: Hai visto, tua madre compra le borse coi soldi della pensione alimentare. Poi succede che nelle settimane in cui il bambino dovrebbe passare con me, il bambino comincia a rifiutare di stare con me, e il padre lo appoggia. “Fa’ come vuoi tesoro, sei libero”. Non lo fa in modo esplicitamente cattivo, ma con una parvenza di democrazia, da paladino della giustizia dei diritti del bambino da ascoltare genuinamente (“tu non lo ascolti, io si'”). Il rapporto del bambino con la madre viene costantemente svalutato, l’immagine della madre agli occhi del bambino distrutta e svilita, gli accordi di affidamento sottoscritti dal tribunale presentati come opzionali e a pura discrezione di un ragazzino. “Eh ma e’ il bambino che non vuole, non lo si puo’ obbligare”. Strano perche’ prima di tutto questo incubo ho sempre avuto un rapporto eccellente con lui.
    Da li’ il climax e’ inevitabile. Mio figlio non mi rispetta piu’. Sto scrivendo in lacrime perche’ stasera si e’ rifiutato di dormire a casa mia come da accordi, e il padre ovviamente lo supporta. Non esistono piu’ regole, sono diventata un’estranea, non ho alleati, e ho gia’ speso dio sa quanto in avvocati. Quando leggo che delle associazioni femministe contestano l’idea di alienazione parentale, onestamente mi sento tradita da un “movimento” di cui mi sono sempre sentita parte.

    c

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