Antiautoritarismo, Autodeterminazione, Critica femminista, R-Esistenze

Zitta donna, è guerra. Torna il mito dell’uomo forte!

Combattente Curda in lotta contro L'Isis
Combattente Curda in lotta contro L’Isis

 

Parate militari, persone che se la giocano su quante verità abbia detto la Fallaci, lo Stato virile che con il volto di Alfano o Renzi assicura grandi mosse a protezione dell’Europa. Titoli di giornale sul salvatore parigino della donna “incinta”, ché dire donna e basta evidentemente non rendeva. Perfino su Valeria, assassinata dai terroristi, si scrive che avrebbe voluto essere madre. E tutto ciò mi ricorda il post 11 settembre descritto egregiamente da Susan Faludi nel libro “Il sesso del terrore”.

Faludi analizzò moltissime rassegne stampa, studiò il linguaggio dei media e la rinascita del mito dell’uomo forte, coincidente con la capacità di reazione del super uomo. Così tornò di moda Superman e alle donne si presentò inevitabilmente il conto. Tutte a casa a fare le vedove piangenti dei militari morti o a fare le brave donne in attesa del patriota che spendeva la sua vita in difesa della nazione. La religione, oppressiva con le donne, divenne ancora un punto di riferimento. Lo stesso Dio avrebbe dovuto salvare l’America, rispondere alle chiamate dei talebani e a quelle di chi con quella guerra non voleva avere nulla a che fare. Mai incarico più faticoso fu assegnato a Dio.

10671367_1599900483576642_2857473490733191394_nIl confronto tra le donne, perfino tra le femministe è distante da quel che servirebbe per filtrare le notizie. Manca un punto di vista di genere. Ci sono i bombardamenti e noi restiamo attonite, a subire le gesta di fanatici privi di coscienza morale e poi anche le azioni di difesa dei soldati alla guida degli aerei militari. Cosa potremmo dire noi in questo momento? Tutto rischia di apparire così banale rispetto alla gravità della situazione. E da parte di molte persone sento una specie di inibizione, un monito che fa tacere quelle donne che non parteggiano con gli inni di guerra, che non si divertono a mostrare un musulmano qualunque dicendo che è dell’Isis. O parli e pensi da macho, testosteronico, guerrafondaio, o non parli affatto.

In questo vedo già una limitazione al mio pensare che è sganciato dalla discussione sulle mosse e contromosse per “mostrare le palle” dichiarando guerra al nemico. E se io pensassi che la guerra è una cazzata? Se pensassi che la cultura che è conseguente alle politiche di reazione al terrore diventerà fortemente intrisa di autoritarismo, misoginia e machismo? La verità è che, per esempio, Giuliana mi diceva stamattina che quello che abbiamo difficoltà a mostrare è il disorientamento, tipico della Shock Economy. Mentre tu ti riprendi dallo shock altri di appropriano di un maggiore potere, stanziano maggiori contributi per l’acquisto d’armi, fanno leggi speciali per spiare perfino il tuo buco del culo, mandano a quel paese la tua privacy e se tu dici che vorresti esprimere un’opinione qualcuno ti dirà “zitta donna, torna in cucina mentre noi ti salviamo la pelle… e poi sii grata e fammi ‘sto pompino perché me lo merito”.

27est2f01kurdi-kobane-marciaIl disorientamento, la vulnerabilità, il bisogno di affidarsi ad un uomo forte, un’istituzione forte, gente con le palle. Io aggiungo la paura, per quello che accadrà, perché mi pare che tutto stia accadendo troppo in fretta. Non nutro alcuna simpatia per quei terroristi, ma nutro qualche dubbio sul fatto che la nostra libertà non sarà condizionata dalla guerra. Da quando la guerra è servita a fermare la violenza? Chi userà la bomba atomica questa volta? E se i terroristi faranno esplodere una centrale nucleare? E se i francesi, i russi e gli stati uniti useranno armi chimiche e stermineranno uomini, donne e bambini? E se chi soccorre i feriti, tutti i feriti, sarà considerato un collaborazionista.

Disorientamento, vulnerabilità e paura. Di colpo quegli uomini in divisa che vedi per le strade bloccare con i manganelli persone che rivendicano diritti, diventano punti di riferimento, acquistano credibilità, diventano necessari. Perché da noi la guerra non è come quella che combattono i curdi e le combattenti curde contro l’Isis, il fondamentalismo e il patriarcato.

20260767291_d1ccf4d8ce_oDa noi la guerra diventa un modo per riaffermare la cultura patriarcale. Che a capo della difesa ci sia una donna o meno la questione non cambia affatto. Le conseguenze degli atti di terrorismo, oltre le vittime che tristemente bisogna sempre ricordare, sono anche di tipo culturale e si ripercuotono su tutti. Per esempio, pare più facile criminalizzare le parole scritte o pronunciate. I commenti di alcuni uomini e alcune donne diventano il copione analizzato nel libro Critica della vittima. Tutto sembra urlare “sii più maschia”. E nel frattempo diventa obbligatorio dire che noi si che siamo libere. Le loro donne invece sono schiave. Aumenterà il senso di superiorità morale, neocolonialista e razzista, delle borghesi, alcune delle quali si dichiarano perfino femministe. Ci sentiremo dire più spesso che noi stiamo benissimo e che ci stanno salvando dall’invasione di uomini che ci renderanno schiave. Perciò, tu donna, inginocchiati e bacia la mano del soldato giacché è lui che garantisce la tua libertà. Che poi se la riprenda chiedendo restituzioni d’ogni tipo non importa. E’ importante affermare la superiorità dell’uomo bianco, etero e occidentale. Di nuovo.

Allora sono certa del fatto che noi, femmine e uomini sparsi che non crediamo al braccio forte del super eroe, al king kong che salva la fanciulla, abbiamo due motivi per razionalizzare, analizzare e restare a bocce ferme senza farci condizionare in ogni caso. Da un lato c’è la guerra dichiarata che subiamo e dall’altro c’è la guerra culturale che richiede nuove forme di partigianeria. Ricordarsi, per esempio, che non amiamo la guerra, che amiamo la resistenza partigiana, che odiamo il braccio di ferro tra diversi popoli e che non abbiamo bisogno di diventare islamofobe come la Fallaci per riuscire ad analizzare la realtà. Laiche, sempre e antisessiste in ogni caso.

E perdonate questa lunga riflessione a voce alta. Avevo bisogno di mettere assieme e analizzare delle stonature, umori, inclinazioni prima di esserne contagiata. Perché io sono io e il mio punto di vista non cambia, neppure quando senti un “zitta donna”. Zitta un cazzo. Ci sono persone che sanno parlare con gli insulti e i proiettili. Ci sono altre persone, uomini e donne, che usano altri linguaggi per discutere delle proprie prospettive. Eroi Vs codardi oppure acritici guerrafondai Vs pensatori/trici indipendenti?

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4 pensieri su “Zitta donna, è guerra. Torna il mito dell’uomo forte!”

  1. Già l’imperativo è urticante, quand’esso si associa ad un ordine di silenzio, diventa come una ginocchiata nei coglioni.
    Nota valida per uomini, donne, trans o frigoriferi.

  2. ti seguo, il tuo blog è molto coraggioso anche se affronti le tematiche in modo abbastanza fuori dagli schemi.
    L’esempio delle combattenti curde, in lotta contro il doppio nemico (di fronte i decapitatori di I.S., alle loro spalle lo stato repressivo turco) è calzante; siamo contro la guerra delle grandi potenze, che mettono i piedi sui conflitti locali con risultati che vediamo, ma solidali con la lotta di un popolo oppresso come i Curdi , che subiscono da sempre. L’unica battaglia da combattere è quella per la propria terra e la propria libertà, i curdi ci stanno dando un esempio incredibile di coraggio.
    eppure sono in larga parte musulmani…in lotta contro integralisti retrogradi.
    un saluto

    1. i curdi sono farsi (persiani), i turchi turcomanni e gli iraqueni sono arabi, ed erano accomunati solo dal qadi ottomano.
      ciò che è saltato nel M.O. è stato il sistema creato con il Trattato di Versailles del 1919 che in questo capitolo si comportò come se fosse la prosecuzione del Congresso di Berlino.
      nessuno mise a calcolo che possono esistere culture diverse da quella europea che possono interpretare l’idea di stato in maniera diversa da quella europea.
      hai mai sentito parlare del Seyfo?

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