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Le donne: vulnerabili per “natura” o “costrizione”?

La vulnerabilità dipende da tante cose. Mi sento vulnerabile perché scoperta, denudata, violata nella mia intimità. Sono vulnerabile quando ho paura e in genere reagisco con freddezza. Uso delle strategie, quasi che fossi stata addestrata lungamente per arrivare integra fino a quel momento. Gli sconosciuti, l’uomo nero, barbablù, rappresentano la metafora di figure che minano l’autonomia di una donna che vuole camminare sola, per strada, a qualunque ora del giorno e della notte. Mi dicono che a sentirsi vulnerabile è anche un uomo che teme di essere rapinato e ucciso, ma io so che non è la stessa cosa.

Quel che potrebbero fare a me non è una rapina, e il loro bottino non sarebbe del denaro, un orologio, gioielli o carte di credito. Io so che mi sento vulnerabile perché è esposta la mia pelle, il sangue, la carne. Vuoi davvero paragonare un orologio con lo scippo che riguarda il mio corpo, il mio consenso, la mia volontà? Addestrata a camminare senza attirare l’attenzione. Coperta dalla testa ai piedi, capelli dentro un cappello per sembrare un uomo, cappuccio nero sulla testa per diventare ancora più anonima. Se vuoi limitare i danni devi diventare un uomo, e questo è un pezzo di storia che può inserirsi nel capitolo sul privilegio maschile.

La vulnerabilità, per me, si misura in respiri, affannosi, o addirittura assenti, perché trattenere il respiro, per diventare invisibili, è quello che si fa normalmente di fronte ad ogni pericolo. Quel che odio è sentirmi vulnerabile perché mi sembra così di essere derubata della mia libertà, della mia voglia di conoscere, scoprire, parlare con chiunque. Non sono libera, ho paura, temo che qualcuno possa mettermi le mani addosso e privarmi del mio sacrosanto diritto di scelta. Quello che odio di più è il fatto che tanti diano per scontato il fatto che io sia vulnerabile. Come si può costruire una società in cui tutti hanno pari dignità se una donna nasce e cresce con l’idea costante di doversi proteggere da qualcuno e se un uomo nasce e cresce sapendo che in ogni caso la donna è facile preda perché vulnerabile?

Ma vulnerabilità non è solo quella che riguarda il corpo ma è anche la cultura che mi ha resa quello che sono. Mi hanno cresciuta lasciandomi pensare che l’unico modo per difendermi è nascondermi, perché l’uomo per natura è predatore e se io mi espongo e poi lui mi sfida, mi prende, mi strappa via il coraggio e la forza, allora è solo colpa mia. Non mi sono nascosta abbastanza. Non sono stata sufficientemente invisibile. Guai ad essere desiderabile o anche solo vestita con abiti aderenti, un pantalone che segna le curve, una maglietta che lascia intravedere un po’ di seno.

Ti dicono che vulnerabile sei fuori casa e con la tua famiglia invece puoi abbassare le difese. Poi scopri che chiunque, perfino i familiari, possono farti del male e che quello che ti hanno raccontato è falso. Sono stata picchiata da mia madre e mio fratello. Sono stata molestata da vecchi e bambini, perché i bambini a volte sono educati a molestare perché è bello, sono stata limitata nelle mie abitudini, nelle mie scelte, nella mia vita, come se avessi appresso un esercito di stalker legittimati a essermi da ostacolo. Ultimamente però ho preso una decisione. Mi sono messa a scrivere di tutte le molestie e le violenze subite. Per ricordarle e per non assuefarmi ad esse. Per abituarmi a percepirle anche quando tutto dice che così è normale. Perché voglio poter tornare in strada e chiamare per nome chiunque mi molesti. L’ho fatto un paio di volte: ho urlato “tu sei uno stupratore” e quello è corso via, spaventato. Ho detto a mio fratello “tu sei un violento” e ora mi guarda come se io fossi una matta che vuole rovinargli la vita.

Perché nessuno si rassegna, in fondo, all’idea che tu abbia smesso di essere così vulnerabile. Se non sei vulnerabile, dimmi, che razza di donna sei?

Ps: è una storia vera. Grazie a chi l’ha raccontata.

5 pensieri su “Le donne: vulnerabili per “natura” o “costrizione”?”

  1. Protagora è passato alla storia per la sua celebre affermazione: “l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono”.
    le paure più grandi sono quelle dentro di noi, maschio, donna o lgbt che si sia. sentirsi umiliati appartiene alla singola persona non al gender. e le paure vivono fin quanto noi li vogliamo fare vivere,e l’unico metodo per sconfiggerle è proprio quello di tenerle in considerazione la loro esistenza. chi afferma di non aver paura è uno sciocco che non prende in considerazione le situazioni a cui può venire incontro.

    se poi volete fare una scala delle paure…………. accomodatevi!

      1. Non ho capito bene se il “nega che esistano” del tuo commento si riferisce alle “scale” o alle “paure in sé”, ma non sono molto d’accordo in nessuno dei due casi.
        Io personalmente non amo fare scale tra paure diverse e dire “questo è peggio di quest’altro”, perché è un discorso di cui non capisco il senso (ed è quello che fa l’autrice dell’articolo, che trovo comunque bello ed interessante e che critico per questo spezzone, nel momento in cui dice che subire violenza non è come subire un furto, e che quindi la paura che potrà provare l’uomo non è la stessa della donna – e a me è sembrato di leggere bello grosso, tra le righe, che non solo non è la stessa, ma è inferiore). Si tratta indubbiamente di cose diverse, anche per i beni che entrano in gioco, non ho problemi a dirlo. Da qui a dire che una cosa è meno grave dell’altra, c’è un passaggio che non voglio fare, e non perché non pensi che la libertà sessuale sia più importante della proprietà, ma perché subire un furto o una rapina porta con se una sensazione di paura, impotenza, umiliazione per essere stati alla mercé di un altro che val al di là della perdita economica che pure può essere significativa. Sarei curiosa di sapere se e come un atteggiamento del genere – che nega esistano scale tra le paure – contribuisca a crearne.
        (continua)

      2. Se invece ti riferivi alle paure… Non mi pare che Zagaro nega che esistano le paure, semmai ritiene che le paure che uno prova possono essere eccessive rispetto a quello che è il problema reale (chiedo scusa all’autore del commento se ho interpretato male, è la frase “le paure vivono finché le facciamo vivere” che mi ha ispirato questa conclusione), che è un punto stimolante su cui interrogarsi. Io non credo che la mia paura – che è, in certi casi, simile a quella dell’autrice del post – sia del tutto “interiore”. Sono convinta che alcuni problemi esistano a prescindere dall’immagine mentale che me ne faccio, e tra questi il pericolo che una donna corre di subire aggressioni a sfondo sessuale. Ma mi rendo anche conto che questa consapevolezza rischia di ingenerare paure eccessive. Io fino a 22 anni non sono salita in ascensore da sola con un uomo adulto che non conoscevo. Quattro anni dopo, mi sento di dire che questa paura era eccessiva, e che sconfiggerla mentalmente è stato un bene.
        Tutto questo senza nessuna polemica, Antonella, solo per offrire un punto di vista diverso. Leggo quasi sempre i tuoi interventi su FB e molti mi piacciono.

        1. la paura è soggettiva non oggettiva. ma l’Uomo che non ha paura è uno sciocco perchè non prevede situazioni a cui potrà venire incontro, anche per questo la paura si domina

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