
Questa è la seconda parte, e ce ne sarà una terza, di una introduzione al tema trattato. Trovate QUI la prima parte. Buona lettura!
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di Margherita D’Arnaldo
La prima persona che credette al messaggio coranico e si convertì all’Islam fu una donna, Khadija bint Khuwalid, che fu l’unica moglie di Muhammad per venticinque anni ed ebbe un ruolo determinante nei primi tempi della sua missione profetica. Di lei, dopo la sua morte, il Profeta avrebbe detto: “Credette in me quando nessun altro lo fece; accettò l’Islam quando nessuno vi prestava fede; e mi sostenne e mi diede conforto quando altri mi abbandonarono”. Anche la prima persona a subire il martirio in nome dell’Islam fu una donna, Sumayya bint Khayyat, che fu torturata e uccisa per aver rifiutato di rinnegare la sua nuova fede.
Le testimonianze tramandateci dalla tradizione islamica sulla vita della prima società musulmana (note in arabo come hadith) ci raccontano che le donne non furono seguaci passive dei loro uomini, ma partecipanti attive alla vita della comunità. Se qualcosa non piaceva loro, non esitavano a far sentire la propria voce, anche su questioni politiche e religiose; e quel che è più importante, le loro rimostranze non rimanevano inascoltate. Uno degli aneddoti più celebri in proposito è legato a Umm Salama, una delle mogli del Profeta, che un giorno chiese al marito come mai il Corano si rivolgesse solo agli uomini, e mai direttamente alle donne. In quei giorni, Dio usava rispondere, attraverso il suo Profeta, alle domande della sua comunità; e non fece eccezione per Umm Salama, che qualche tempo dopo udì il marito salire sul minbar (il pulpito della moschea) e pronunciare una nuova rivelazione:
In verità i dati di Dio e le date di Dio, i credenti e le credenti, i devoti e le devote, i sinceri e le sincere, i pazienti e le pazienti, gli umili e le umili, i donatori d’elemosine e le donatrici, i digiunanti e le digiunanti, i casti e le caste, gli oranti spesso e le oranti, a tutti Iddio ha preparato perdono e mercede immensa (Q. 33:35)
L’uguaglianza morale e spirituale degli uomini e delle donne fu affermata apertis verbis con questo versetto, che peraltro rese il Corano l’unico, fra i testi sacri delle religioni abramitiche, a rivolgersi direttamente ed esplicitamente alle donne. Negli anni successivi seguirono altri versetti a regolare, da un punto di vista più strettamente pratico, le relazioni fra i generi nella comunità musulmana; ma non in tutti possiamo ritrovare lo stesso spirito egualitario. In particolare, nel Corano fu elaborata una concezione gerarchica del matrimonio, in cui gli uomini “sono preposti alle donne” e hanno diritto di disciplinare le mogli disobbedienti, con diversi metodi che nei casi più gravi comprendono le misure corporali (Q. 4:34). Il Corano ha imposto alle donne la più totale monogamia, mentre la poliginia, seppure limitata e fortemente sconsigliata, è rimasta lecita per gli uomini (Q. 4:3). Il diritto al divorzio è riconosciuto per entrambi i generi, ma è reso molto più semplice per gli uomini (Q. 2:228). Il piacere sessuale, che non ha nell’Islam lo stesso stigma attribuitogli dal Cristianesimo, viene infine riconosciuto come diritto maschile, mentre il Corano non è altrettanto esplicito nei confronti delle donne (Q. 2:223).
I versetti che sancivano l’uguaglianza tra i due sessi, tuttavia, non vennero mai abrogati; cosicché si creò nel Corano un contrasto evidente tra la concezione etica delle relazioni di genere, esplicitamente egualitaria, e le norme pratiche destinate a regolamentare la vita della comunità musulmana, che riproponevano, seppur mitigandole, molte delle consuetudini misogine in vigore nell’Arabia preislamica. Come si vedrà, questa ambiguità nella definizione coranica delle relazioni di genere sarebbe stata abilmente sfruttata dalle élite dirigenti dei secoli successivi per legittimare la subordinazione delle donne sul piano privato come su quello pubblico. Ma al tempo della prima comunità musulmana le donne erano ben lungi dall’essere escluse dalla sfera pubblica o dall’accettare passivamente le situazioni avverse che potevano presentarsi loro. Esse partecipavano alla preghiera collettiva, commerciavano, e prendevano voce nelle assemblee pubbliche; si presentavano al Profeta per chiedere il divorzio o giustizia contro un marito violento; e prendevano parte alle spedizioni belliche contro gli avversari politeisti della Mecca, non solo nei tradizionali ruoli di cura, ma imbracciando talvolta le armi in prima persona. Nusaybah bint Ka’ab è la più celebre fra queste donne guerriere: nel corso della battaglia di Uhud, quando le sorti dei musulmani sembrarono volgere al peggio e lo stesso Muhammad venne ferito, Nusaybah si gettò nel combattimento armata di spada e scudo e protesse il Profeta, privo di sensi, dalle frecce nemiche.
Tra i primi seguaci dell’Islam furono numerose le donne che divennero poi celebri per le loro gesta; ma nessuna di queste può eguagliare la fama di Aisha, la sposa favorita di Muhammad.
Nel mondo occidentale, Aisha viene ricordata soprattutto per la giovane età in cui andò in moglie al Profeta: dodici anni, o forse nove, a seconda delle fonti. Un fatto sconvolgente dal nostro punto di vista; ma non bisogna dimenticare che, nel contesto dell’epoca, non si trattava di qualcosa di inusuale. Aisha era infatti già stata promessa a un altro uomo quando il primo fidanzamento fu rotto in favore di quello con il Profeta. E in ogni caso, la storia di questa donna più che notevole non può certo essere descritta come quella di una vittima traumatizzata da un matrimonio troppo precoce. Finché il Profeta fu in vita, Aisha rimase la preferita fra le sue mogli; lo consigliò, lo seguì in numerose battaglie, e le fonti la descrivono come una donna indipendente, che non esitava a rimbeccare l’illustre marito quando non era d’accordo con la sua opinione o il suo comportamento. E’ fra le sue braccia che Muhammad andò a morire; e la sua stanza, dove il Profeta fu poi sepolto, è oggi il luogo più sacro dell’Islam dopo la Mecca.
Aisha rimase molto attiva nella comunità musulmana anche dopo la morte del marito, e non esitò a dire la sua in materia di religione, così come nelle questioni politiche e successorie. Dopo l’assassinio del terzo califfo Uthman e l’elezione di Ali, cugino e genero del Profeta, come suo successore, Aisha rifiutò di riconoscere l’autorità di quest’ultimo, cui era legata da decenni da un profondo e reciproco disprezzo. La contesa sfociò in una battaglia, cui Aisha partecipò in prima persona, seppur nascosta in un baldacchino montato su un cammello fulvo – una presenza tanto importante, la sua, che lo scontro sarebbe stato ricordato come la “battaglia del cammello”.
L’esercito di Aisha e dei suoi alleati perse la battaglia, e la sua sconfitta segnò l’inizio del declino del ruolo politico delle donne all’interno della comunità musulmana. Nei decenni successivi, l’Islam si sarebbe espanso a una velocità impressionante, conquistando un territorio immenso che si estendeva dalla Spagna all’India. Mentre l’Europa attraversava il suo Medioevo, il mondo musulmano conobbe la sua età dell’oro; ma fu proprio negli anni del suo splendore che le donne furono allontanate dalla scena pubblica e scomparvero dai libri di storia. Il diritto musulmano, così fluido negli anni del primo Stato islamico di Medina, si coagulò in una forma che privilegiava la lettera della legge rispetto alle dimensioni etiche e spirituali della religione. I costumi dell’Arabia preislamica e dei popoli conquistati dall’Islam, che furono assorbiti nel nuovo impero multiculturale, contribuirono a rendere preminenti gli aspetti androcentrici del Corano e a costringere le donne in un ruolo subordinato.
Questo non significa che le donne siano scomparse dalla storia: le donne hanno fatto parte della forza lavoro, soprattutto nelle aree rurali; hanno fondato attività caritatevoli, scuole, e perfino università – si narra che la prima università del mondo fu fondata nella città marocchina di Fèz proprio da una donna, Fatima al-Fihri, nell’859. Ci sono state donne che hanno avuto un ruolo importante in ambito religioso: fra queste, va sicuramente citata Rabi‘a al-Adawiyya (m. 801), che diede un contributo importante alla storia del sufismo, la corrente mistica dell’Islam. Nonostante il califfato sia stato interdetto al genere femminile, ci furono inoltre donne che governarono interi paesi, come Shajarat al-Durr in Egitto (m. 1257) o la sultana Raziyya in India (m. 1240). E non mancò neppure una regina pirata, Sayyida al-Hurra (“la libera”), che scampata bambina alla caduta di Granada, divenne governatrice della città marocchina di Tetouan e terrorizzò le flotte spagnole alleandosi con il famigerato corsaro Hayreddin Pasha, meglio noto come Barbarossa.
Ma in termini generali, il ruolo sociale e politico delle donne fu relegato in secondo piano, dietro le quinte degli harem, e le gesta di quelle donne che uscirono dal ruolo subordinato loro imposto furono di rado registrate negli annali di storia musulmana, redatti quasi unicamente da una mano maschile. Agli ostacoli posti da una legge islamica sempre più rigida si aggiunse quindi la marginalizzazione storica, che cancellò progressivamente le donne dalla memoria collettiva – almeno fino a quanto le storiche musulmane dei nostri giorni hanno cominciato faticosamente a riportare alla luce il contributo delle donne alla storia del mondo islamico.
(…continua)
- La rubrica Un altro genere di Islam è a cura di Margherita D’Arnaldo (QUI la sua biografia)
1 pensiero su “Un altro genere di Islam – un po’ di storia classica”