Autodeterminazione, La posta di Eretica, Personale/Politico, Precarietà, R-Esistenze, Storie, Welfare

Quel tetto di bugie che ti impedisce di vedere il cielo

Avete mai abbellito il racconto della vostra vita? Io l’ho fatto, per tanto tempo. Ho detto che stavo bene e invece stavo malissimo. Ho detto che in famiglia andava tutto bene e invece era un disastro. Ho detto di avere un buon lavoro e non era vero. Ho anche raccontato aspetti di me e della mia sessualità per scandalizzare o sentirmi figa con la comitiva. Non ne ho tratto grande giovamento, ma solo una marea di delusioni.

Ho recitato per molto tempo e alla fine non sono riuscita più a mentire. Sono finita in un reparto psichiatrico dopo aver ingerito alcune pillole che mi hanno fatta addormentare. Non erano abbastanza per morire ed erano troppe per non passare inosservata. La notizia del mio tentato suicidio si è sparsa subito anche tra le persone che conoscevo. Solo un paio sono venute a trovarmi per chiedermi perché, anche se poi, quando iniziavo a raccontare la verità passavano ai sorrisi di circostanza e addio, non li ho visti più.

C’è gente a cui piaci soltanto se non sei te stessa. Non gli interessa la verità probabilmente perché anche loro mentono a se stessi. Abbiamo il dovere di apparire solidi, riusciti, allegri e soddisfatti, come se ci trovassimo in un maledetto film di fantascienza dove ti sparano una droga aliena prima di impadronirsi del tuo corpo. La mia pillola rossa, quella di Matrix, è stato il mio tentato suicidio. Così ho guardato le persone che erano ricoverate in quel reparto. Portavano con se mille fallimenti o tentativi di rinascita ed era strano vedere la donna sedata sorridere e parlare della sua vita ormai trascorsa.

Sono tornata a casa con una consapevolezza nuova. Ho visto madre e padre preoccupati. Ho visto mio fratello per lo stronzo che è. Poi ho guardato la mia bacheca facebook e mi sono resa conto di quanto false fossero tante comunicazioni. Ho eliminato quasi tutti gli amici, a parte pochissime persone con le quali mi sarebbe piaciuto avere un rapporto di vera amicizia. Niente più status sulla perfezione della mia famiglia o sulla mia abilità sessuale. Ho cominciato a guardare alla mia vita con altri occhi. Ho cominciato a ironizzare sulle mie debolezze, a esporre la consapevolezza di tanti fallimenti e fragilità in tutte le persone che mi circondavano. Ho cominciato a rivendicare il diritto di dirmi arrabbiata per la mia precarietà. Così, poco a poco, sono entrata a far parte delle comunità di persone che non hanno paura di raccontarsi per quel che sono.

Mi sono resa conto che il motivo principale per cui la gente mente è la paura di essere vittime di bullismo, cyber bullismo, attacchi ingiustificati da chi sputa sulle tue debolezze perché solo così sta meglio. Si finge perfezione per non diventare vittime di chi non ha rispetto delle persone che raccontano di sé la verità. Hanno paura anch’essi, forse, perché troppa verità fa male, ché se l’affrontassero chissà cosa verrebbe fuori su di loro. Sfuggire la realtà per esibire conversazioni che stanno in superficie.

Ed è lo strato alto che non permette di vedere la complessità, dove tutto è bianco e nero e che potrebbe incrinarsi sotto il peso di acquisite consapevolezze. Perciò sei espulsa, precipiti sulla terra, ché l’Eden è per pochi, e dopo averti espulso si chiude ancora su se stesso e non consente discussione alcuna su quella decisione. Così guardarsi allo specchio e dirsi la verità corrisponde con quel calore che arriva dritto dall’inferno. Stai tra i peccatori e le peccatrici, tra quelli che non si vergognano di mostrarsi imperfetti e umani, mentre il resto del mondo ti respinge e non gli piaci.

Ho cominciato la mia solita serie di colloqui di lavoro e mi sono ripromessa di dire la verità sul mio conto. Non posso vivere in uno stato di eterna dissociazione. Ho detto che ho tentato il suicidio, della mia depressione, dei problemi familiari, senza specificare quali, e ho pregato affinché mi dessero un lavoro che avrebbe potuto risolvere il mio umore oltre la precarietà.

Il fatto è che chi cerca personale discrimina le persone come me. Preferisce pescare giusto su Matrix, o dall’Eden. Vuole gente che si finge realizzata, con abiti ben stirati e l’espressione del volto sorridente. Che importa se per raggiungere quello stato di grazia chi colloquia ha assunto qualche droga appena un attimo prima. Ti assumono se fingi la perfezione e quel patto tra datore di lavoro e bugiardo diventa il primo compromesso che ti porterà ad un esaurimento nervoso qualche tempo dopo.

Con me sono stati tutti gentilissimi, per carità. Non mi hanno detto subito che non volevano assumermi. Mi facevano chiamare dalle segretarie o mi mandavano comunicazione scritta a casa. E io leggevo rassegnata, per nulla sorpresa di quelle decisioni e tenacemente rivolta ad un futuro mai più fatto di menzogne. La fame, poi, ha avuto la meglio. Per pura necessità a un colloquio poi ho mentito. Mi sono mostrata spigliata e sbarazzina, senza problemi di alcun genere e disponibilità massima per lavorare il più possibile. Mi hanno assunta, come prevedevo, e sono ancora a lavorare nello stesso posto.

Le mie colleghe ogni tanto si lamentano del fatto che l’azienda paga in ritardo e io, invece, non chiedo mai informazioni a tal proposito. Sorrido e accorro ad ogni chiamata del capo e ascolto i suoi pettegolezzi su altre impiegate che non sono brave e disponibili quanto me. Ieri sera pensavo a come sia difficile ritagliarsi spazi per continuare a esistere senza che il tuo viso si amalgami alla maschera che lo nasconde. Ho telefonato a un’amica per chiederle come stava e anche lei mi ha propinato un sacco di balle senza fine. Poi ho deciso di scriverti la mia storia perché devo pur dirla a qualcuno e perché vorrei fosse chiaro che quel che avviene a me ha un significato politico.

Quello che succede a me succede a tante altre persone precarie, ne sono certa, e la responsabilità è di chi decide sulla nostra pelle togliendoci diritti, reddito, prospettive e anche il diritto di essere semplicemente quello che siamo. Non è il suicidio che infastidisce chi monopolizza il mercato economico, giacché, anzi, se noi dubbiosi ci togliamo dalle balle è molto meglio. La cosa che invece dà fastidio è proprio la nostra verità. Così immagino di dirne tanta e spesso, e consiglio a tutti di fare lo stesso, così l’Eden crollerà e, finalmente, invece che un tetto di enormi bugie, noi potremo tornare a guardare il cielo.

Ps: è una storia vera. Grazie a chi l’ha raccontata.

1 pensiero su “Quel tetto di bugie che ti impedisce di vedere il cielo”

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.